In ogni talk show ce n’è uno. Ecco l’opinionista controcorrente che dice: più gli ucraini combattono e più dura la guerra. Siccome alla fine vincerà comunque Vladimir Putin, prima il capo del Cremlino vince e prima ci sarà la pace. Elementare, dunque, secondo il loro ragionamento, per il bene degli ucraini non bisogna aiutarli a resistere, né con le pesanti sanzioni imposte da tutti i membri della comunità internazionale, né con l’invio di armi da parte dei singoli Stati.
Questa inversione dell’onere della pace, per cui dovremmo essere noi, come Occidente, a cessare una guerra avviata da Mosca, evitando di farlo arrabbiare e fingendo di non sentire – ovviamente per il loro bene – gli ucraini che ci chiedono aiuto, può avere effetti paradossali. Per esempio, una valente filosofa, Donatella Di Cesare, in questi giorni ha cercato di convincere in tv una esterrefatta profuga ucraina, con i familiari sotto le bombe, che “non si conquista la libertà attraverso la guerra” e che “la pace è anche pensare di poter avere torto”. Ma gli ucraini la libertà ce l’avevano già, e pure la pace. E tornerebbero volentieri al 23 febbraio, a prima dell’invasione.
Neutrali nelle guerre, cosa insegna la storia
I precedenti storici non mancherebbero, anche nella sola Italia, da Mazzini a Garibaldi. Come anche illustri personaggi che, nel tentativo di sventare nuovi scenari bellici, cedettero alle pressioni di sovrani dispotici e autocrati: l’esempio principe è quello di Neville Chamberlain, primo ministro britannico alla fine degli Anni Trenta del Novecento, che nella conferenza di Monaco del 1938 cedette alle pressioni di Adolf Hitler, che così annesse al Terzo Reich la regione cecoslovacca dei Sudeti. Tutti sappiamo com’è andata, fu la mossa che fece scivolare l’Europa e il mondo intero nella Seconda Guerra Mondiale.
Oggi a non schierarsi apertamente né con l’invasore moscovita né con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il suo strenuo popolo di eroi sono alcune realtà molto importanti della geopolitica globale. Chi per interesse, chi per paura di ripercussioni militari, chi perché già impegnato su altri fronti. A dare l’idea sullo scenario mondiale è stato il voto sulle sanzioni alla Russia tenutosi presso l’undicesima sessione d’emergenza dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Chi non scegli da che parte stare: lo scenario di oggi
Solo 4 Paesi – Siria, Eritrea, Bielorussia e Corea del Nord – si sono schierati apertamente con Mosca votando contro la risoluzione: 141 invece i Paesi che hanno approvato il documento, mentre 35 sono stati gli astenuti. Tuttavia, le posizioni di molti governi risultano in realtà più sfumate dei voti espressi, come nel caso della Serbia (alleato storico della Russia) che, pur votando a favore, si colloca in una posizione neutrale.
Se in Europa e in Nord America c’è stato un sostanziale allineamento sulla condanna all’aggressione e sull’adozione di sanzioni, il resto del mondo offre uno scenario più vario: l’Asia risulta spaccata tra gli Stati che hanno condannato apertamente con l’invasione e quelli che sono rimasti neutrali. In America Latina ha prevalso una presa di posizione di condanna mentre Cuba si è astenuta alla luce dei forti legami con Mosca; in Africa molti Paesi rimangono ancora in una posizione di neutralità, per quanto un numero significativo abbia rotto il silenzio nel voto del 2 marzo scorso esprimendo parere favorevole alla risoluzione, un approccio condiviso anche dalla maggior parte dei Paesi del Medio Oriente, con l’eccezione importante della Siria di Assad.