È rovente il clima in Israele, soprattutto sul fronte della politica. Da sette mesi lo Stato mediorientale è attraversato da una profonda crisi. A gennaio il premier Benjamin Netanyahu ha presentato un disegno di legge volto a erodere i poteri della Corte suprema israeliana. Netanyahu è al suo sesto mandato e la sua coalizione di governo comprende partititi di estrema destra.
Proteste per la riforma della giustizia in Israele
La riforma è apprezzata da chi desidera che la Corte, il massimo organo giurisdizionale israeliano, non interferisca con le attività dell’Esecutivo; ed è criticata da chi ritiene che il nuovo corso aumenti a dismisura i poteri de governo a discapito dei controlli esercitati dal potere giudiziario.
Israele è un paese tecnologicamente all’avanguardia per gli standard del Medio Oriente, ma anche rispetto agli standard occidentali. Molti lavoratori di quella che viene chiamata “Startup Nation”, dal nomignolo che alcuni hanno attribuito a Israele per la grande presenza di nuove aziende soprattutto nel settore digital, sono scesi in piazza per protestare contro il governo chiedendo che venga ritirato il testo della riforma della giustizia.
Silicon Valley israeliana sul piede di guerra
E le dirigenze delle aziende tech hanno espresso preoccupazione relativamente alla tenuta della stabilità economica del Paese.
Sono circa 200 le aziende tech apertamente contro il governo. Nella maggior parte dei casi i manager sostengono i dipendenti che si assentano dal lavoro per aderire alle manifestazioni. L’iter di approvazione della riforma ha superato il primo step. All’indomani del voto, un gruppo di dipendenti del settore tecnologico denominato “Movimento di protesta hi-tech” ha acquistato alcuni spazi pubblicitari su diversi giornali. I quotidiani coinvolti hanno esibito pagine interamente nere per simboleggiare il giorno nero per la democrazia.
La crisi colpisce anche le aziende tecnologiche israeliane
Ma la protesta non si esaurisce esclusivamente in cortei e azioni dimostrative: Start-Up Nation Central, un’associazione no-profit che promuove la tecnologia israeliana all’estero, ha rilevato come quasi il 70% delle startup israeliane sia sul piede di guerra: le dirigenze si stanno organizzando per lasciare Israele ritirando investimenti o spostando la sede legale aziendale. Per il Paese si tratterebbe di un colpo devastante. Il settore tecnologico è la punta di diamante dell’economia israeliana. Il 18% del prodotto interno lordo deriva dalle aziende tecnologiche, le quali distribuiscono il 14% dei salari del Paese.
Se il trend dovesse concretizzarsi andrebbe ad aggravare una situazione già compromessa: secondo i dati riportati nell’ultimo report annuale dell’Israel Innovation Authority i finanziamenti nel campo dell’industria high tech sono calati di oltre il 70% rispetto al 2022. La flessione è iniziata nella seconda parte del 2022 a causa delle conseguenze sui mercati internazionali derivanti dalla guerra in Ucraina e della conseguente inflazione.
Naturalmente a protestare non è solo la Silicon Valley israeliana: si sono mobilitati anche altri settori professionali, così come gran parte della società civile. Alle proteste ha aderito, fra gli altri, anche l’Associazione medica israeliana, che afferma di rappresentare circa il 95% dei medici. I camici bianchi hanno incrociato le braccia per 24 ore. Migliaia di manifestanti sono scesi nelle strade delle principali città e le agitazioni hanno visto anche la partecipazione di cittadini palestinesi. Nel corso di alcuni scontri in Cisgiordania sono morti almeno 3 palestinesi.