Tutti vogliono un pezzettino di Gaza. Con la prima fase del piano di pace in attuazione, dopo l’ok da parte del governo israeliano, la possibilità che questo non venga portato a termine è ormai piuttosto lontana. Il motivo? Si sono palesati gli interessi economici sul fazzoletto di terra che, per fare un confronto comprensibile a molti, è quattro volte più piccolo del comune di Roma. Non solo Trump ha già parlato di ricostruzione in una chiave che rimanda al tristemente noto piano per “Riviera Gaza”, ma anche Giorgia Meloni ha deciso di essere in prima linea sul futuro dei palestinesi in tre modi: governance, forza di stabilizzazione e ricostruzione.
Per quanto si tratti di un piccolissimo pezzo di terra, gli interessi per la ricostruzione ci sono eccome. Basti pensare a come le azioni del settore europeo delle costruzioni e del cemento siano salite, a partire da Cementir, che ha incrementato il proprio guadagno in un solo giorno di +9,96%. Secondo Banca Akros, Cementir potrebbe davvero beneficiare della conclusione della guerra non solo a Gaza, ma anche in Ucraina e in Siria, perché gestisce quattro cementifici in Turchia, che logisticamente, per vicinanza, potranno servire le zone coinvolte.
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Il ruolo dell’Italia a Gaza
Provando a immaginare che la pace prosegua, quale sarà il ruolo dell’Italia nei territori palestinesi? Meloni potrebbe voler riscattare il proprio orgoglio, si legge sui giornali italiani, dopo essere stata denunciata alla Corte penale internazionale e dopo che le piazze, che hanno mobilitato milioni di persone con gli scioperi per Gaza, l’hanno accusata di avere le mani sporche di sangue insieme ad altri membri del suo governo. Questi, infatti, non hanno atteso molto prima di commentare online l’esito dell’accordo di pace: da Arianna Meloni a Giovanbattista Fazzolari, oggi si dicono “complici sì, ma della pace in Palestina”.
Giorgia Meloni parla di guardare avanti, cioè di ritagliarsi di fatto un ruolo nel piano che porterà alla pace in Medio Oriente, e l’Italia sa già come farlo. Sono almeno tre le direttrici:
- governance;
- contributo alla forza di stabilizzazione;
- ricostruzione.
Governance, forza di stabilizzazione, ricostruzione
L’Italia vuole sicuramente un posto nella governance, quindi nell’organismo transitorio di stampo internazionale, prima del passaggio di potere nelle mani palestinesi. Si spera che non accada come durante il fallimentare contributo britannico che lasciò, nel 1948, ai coloni sionisti il completo controllo sulle terre palestinesi, andando contro la Risoluzione di spartizione e causando numerose vittime civili.
Le prospettive non sono delle migliori, perché tra i nomi pensati per garantire l’accordo per la pace a Gaza ci sono quelli di Giorgia Meloni e di Tony Blair. Quest’ultimo incontra l’opposizione dei palestinesi, perché considerato inaffidabile nel mondo arabo a causa dei tanti fallimenti in Medio Oriente.
Altro ruolo dell’Italia sarà quello nella forza di stabilizzazione. L’Italia è pronta a inviare 250 carabinieri (anche se Trump ne aveva richiesti 500) per missioni sul territorio. Saranno necessari per mantenere la sicurezza, ma anche per il disarmo di Hamas e per lo sminamento della Striscia.
Infine, c’è il tema della ricostruzione. Gaza è stata completamente rasa al suolo, restano in piedi pochi edifici, ma moltissime delle infrastrutture indispensabili sono da ricostruire, a partire dagli ospedali, ma anche la rete fognaria, quella idrica ed elettrica. Sarà l’Egitto a organizzare un vertice sulla ricostruzione nelle prossime settimane e Meloni aspetta l’invito per fare la sua parte, forse persino nella Riviera Gaza.
L’industria del cemento vola in Borsa
Al di là dell’umano sollievo per la fine dei bombardamenti contro i civili, c’è chi pensa già ai guadagni. Dopotutto, Gaza è un affare. Lo sa bene Cementir, che ha visto crescere il proprio guadagno nella giornata del 9 ottobre. L’italiana si è portata a casa un +9,96% a 15,46 euro e spunta un altro +4,9% a 16,22 euro (+46,6% da inizio 2025).
Lo stesso Ceo, Francesco Caltagirone junior, ha dichiarato che la società ha un potenziale di crescita dei volumi in caso di un cessate il fuoco in Palestina, ma anche in Siria e Ucraina. L’azienda ha infatti il 40% della sua capacità produttiva in Turchia e questo permetterebbe di trasportare velocemente grandi quantità di materiale proprio nella Striscia.
Cosa va ricostruito a Gaza
Ci si domanda cosa andrebbe ricostruito a Gaza, ma forse è più facile dire cosa è rimasto in piedi. Secondo le Nazioni Unite, andrebbero eliminate 53 milioni di tonnellate di macerie, equivalenti a sette piramidi di Cheope messe insieme. Per questo le stime parlano di circa 21 anni per rimuoverle tutte, con un costo totale di 1,2 miliardi di dollari.
Ed è solo la prima fase. La seconda è la ricostruzione vera e propria. A Gaza quasi tutti gli edifici sono stati distrutti: si parla di circa 200.000 strutture rase al suolo o danneggiate. Sono stati distrutti:
- il 94% degli ospedali;
- il 90% degli appartamenti;
- l’86% dei campi, che non sono più coltivabili;
- il 77% delle scuole;
- il 65% delle strade.
Quanto costa la ricostruzione?
C’è tanto lavoro da fare a Gaza e, inevitabilmente, gli autori non potranno essere palestinesi: servirà un aiuto esterno. Per ricostruire serviranno tempo e denaro, ed è possibile che in questo margine ci sia qualcuno che ci guadagnerà più di altri.
Secondo una stima della Banca Mondiale, a febbraio 2025 la cifra necessaria per ricostruire era stata fissata in 53 miliardi di dollari (tre volte il Pil della Palestina). Con più attori in campo potrebbe volerci meno tempo e le spese potrebbero essere ridistribuite. Preoccupa, in ogni caso, il destino della popolazione palestinese. Secondo le stime, per recuperare il reddito perso a Gaza servirebbero 350 anni. Inevitabilmente, quindi, la popolazione dovrà essere sostenuta ancora una volta per tutto il necessario dalle potenze estere o dagli aiuti umanitari di privati ed enti.