Calo demografico in Europa, quanto pesa la crisi sui conti pubblici: la situazione dell’Italia

È crisi di natalità in tutta Europa: il calo demografico è un problema continentale, anche se l'Italia rimane tra i peggiori

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

I nuovi dati Eurostat sulla popolazione europea confermano che la crisi demografica è un problema per l’interno continente europeo. Nessun Paese, anche allargando lo sguardo fuori dall’Ue, ha un tasso di natalità che raggiunge quello di sostituzione di 2.01 figli per donna. La popolazione sta invecchiando e la piramide della popolazione sembra destinata a invertirsi completamente in pochi decenni.

In questo contesto l’Italia rimane una delle nazioni in cui la crisi della natalità è più grave. Le donne italiane sono tra quelle che fanno meno figli in tutta Europa, mentre si susseguono i record negativi di mese in mese, rilevati dall’Istat, per quando riguarda il tasso di fertilità e la nascita di nuovi bambini.

Crisi demografica: la situazione in Europa

La crisi demografica non è un problema soltanto italiano, ma europeo. La questione della natalità è molto discussa nel nostro Paese, ma anche nel resto del continente la fertilità delle donne sta calando a ritmi molto elevati e quasi dappertutto è sotto il tasso di sostituzione, che si dovrebbe attestare a 2.01 figli per donna. in media, in Europa si attesta a 1,46 figli per donna. 

Si tratta di un dato molto negativo, anche perché dall’inizio del secolo la fertilità in Ue è stata fluttuante. Nel primo decennio del secolo, dopo un lungo calo durante gli anni ’90, il numero di figli fatti dalle donne europee ha ricominciato ad aumentare toccando, nel 2010, 1,57. La crisi del 2011 ha portato un lento calo, che sembrava però essersi stabilizzato. Nel 2016 la natalità era tornata a 1,57 e ancora nel 2021 si attestava sopra 1,50. Dopo la pandemia però le nascite sono crollate, arrivando al dato dello scorso anno.

Non si tratta però di una situazione omogenea. Nonostante recenti dati allarmanti che vedono un’inversione di rotta, la Francia rimane lo Stato più vicino alla sostituzione, con un tasso di natalità di 1,79. Seguono Romania, Bulgaria e Cechia, tutte sopra 1,6. Anche nei Paesi nordici si rimane sopra la media europea nei casi di Svezia, Irlanda e Islanda. Tassi attorno alla media invece per i Balcani, i Baltici e l’Europa Centrale.

Ad abbassare il dato europeo c’è l’area mediterranea. Se la situazione in Grecia è in miglioramento a 1,32, Italia e Spagna fanno segnare numeri record in senso negativo. Nel nostro Paese, il tasso di natalità si attesta a 1,24, con dati più recenti che indicano un raggiungimento prossimo del dato più basso di sempre, 1,19, fatto registrare nel 1995. Tra i grandi Paesi, la Spagna è però largamente il peggiore, con 1,16. Sul fondo della classifica c’è Malta a 1,08.

Questo comporta un calo del saldo naturale al netto dell’immigrazione. In Europa, in media il rapporto tra nuovi nati e deceduti è di -2,7‰, ma anche in questo caso ci sono significative differenze regionali. In questo caso, la distinzione è molto netta tra est, con tassi quasi sempre più negativi nelle nazioni orientali. L’Italia si distingue in negativo anche in questo caso, con dinamiche più simili a quelle dell’ex blocco sovietico che a quelle dei suoi vicini occidentali.

La situazione in Italia

L’Italia vive una delle peggiori situazioni demografiche a livello europeo. Come già descritto, è tra i peggiori per fertilità e per rapporto tra nascite e decessi, ma anche altri aspetti demografici si rivelano molto negativi  e in continuo peggioramento. A cominciare dal dato sul saldo naturale al netto dell’immigrazione, che è positivo soltanto nel caso della provincia autonoma di Bolzano. Relativamente poche zone si difendono poco sotto la negatività, rimanendo nella media europea, e sono tutte concentrate nel nord della pianura padana. Il resto del Paese presenta tassi tra i 3,5‰ e il 7‰, se non peggiori.

Anche l’età delle mamme al primo figlio è sempre più alta e tra le peggiori a livello europeo. La situazione è paragonabile soltanto a quella di Spagna e Irlanda, con buona parte del Paese che fa segnare un dato superiore ai 32 anni e mezzo. Soltanto la Sicilia e la bassa padana mostrano contesti leggermente migliori, ma comunque superiori o nei casi migliori pari alla media europea di 31 anni.

Dati simili, se non peggiori in paragone al resto d’Europa, anche per la percentuale di figli nati dal madri con più di 35 anni. In quasi tutto il Paese più di un terzo dei bambini nasce da una donna di più di 35 anni, con le regioni del centro che sfiorano il 40%. Anche in questo caso, le uniche situazioni paragonabili sono quelle di Spagna, Irlanda e Grecia. Particolarmente elevato il divario con il resto d’Europa, dove la media è del 26%.

Le conseguenze della crisi demografica

I dati Eurostat rilevano, con alcune proiezioni, anche le conseguenze di questo calo demografico, su tutte l’invecchiamento della popolazione. Nonostante una situazione già grave, l’Italia continua a rimanere in media per quanto riguarda la rapidità di invecchiamento, grazie al tasso di fertilità bassissimo registrato nel nostro Paese. Sono gli Stati dell’Est Europa però a far segnare i dati peggiori in questo senso, con Polonia Slovacchia e Croazia oltre il 4,5%.

È però la proiezione sulla piramide della popolazione ad essere la più allarmante. Questo grafico, che indica le persone vive per fascia d’età in un’area geografica, è chiamato così in quanto, in caso di una popolazione in crescita, dovrebbe mostrare un numero di giovani, posizionati in basso, più alto di quello degli anziani, posizionati sempre più in alto. In Europa, calcola Eurostat, entro il 2050 la piramide sarà rovesciata. Con l’invecchiamento della generazione più numerosa, quella che oggi ha un’età compresa tra i 50 e i 60 anni, l’Ue si troverà ad avere più persone ultra ottantenni che di qualsiasi altra età.

Le conseguenze di questa proiezione sull’economia possono essere disastrose. In sistemi con welfare molto esteso come quelli europei, e soprattutto quello italiano, il peso della spesa pubblica per il sostentamento e la cura delle persone anziane ricade su coloro che lavorano e pagano le imposte. Ritrovandosi a dover sostenere un numero di anziani sempre più alto, i governi saranno costretti o ad alzare la pressione fiscale, con conseguenti riduzioni sugli investimenti, sul potere d’acquisto e sul tenore di vita, oppure a tagliare la spesa sociale, eventualità che costringerà i cittadini a sopperire con le proprie risorse alla spesa sanitaria.