Non bastava il perenne stato di guerra e l’occupazione russa in cui la Crimea versa da oltre dieci anni. Ora la penisola sul Mar Nero deve affrontare uno dei peggiori danni ambientali della sua storia recente, dopo che il 15 dicembre due petroliere sono state colpite da una tempesta riversando in acqua migliaia di tonnellate di greggio.
La Russia, che gestisce la penisola come fosse una sua regione amministrativa dopo averla annessa unilateralmente nel 2014, ha dichiarato il disastro ambientale. Il pericolo non è soltanto per il delicato ecosistema marino e costiero, ma anche per i già difficoltosi trasporti via nave, soprattutto di grano e cereali, attraverso il bacino che si tuffa nel Mediterraneo tramite la Turchia.
Quanto è grave l’emergenza in Crimea
Oltre 10mila persone, quasi tutti volontari, sono impegnate da giorni nel ripulire oltre 86mila tonnellate di sabbia e terreno contaminati dal petrolio, soprattuto nei dintorni di Anapa, importante meta di villeggiatura estiva nella regione di Krasnodar. Scavano con pale, alcuni a mani nude e con la paura di restare intossicati. Come decine di delfini, trovati morti al largo dello Stretto di Kerch, che divide la Crimea dalla Russia. E come migliaia di residenti, che hanno visto centinaia di sacchi pieni dei rifiuti rimossi dalla costa scaricati nei pressi di centri abitati e riserve naturali dove altri animali trascorrono l’inverno.
Vecchie di 50 anni e colpite da “venti fortissimi e ondate”, il 15 dicembre una petroliera è affondata e l’altra si è arenata, riversando circa 2.400 tonnellate di un olio combustibile pesante chiamato mazut nelle acque circostanti. Si tratta di un combustibile pesante di grado M100, che solidifica già a una temperatura di 25 gradi e, a differenza di altri prodotti petroliferi, non galleggia in superficie, ma affonda o rimane sospeso nella colonna d’acqua. Tradotto: rimuoverlo dal mare sarà molto più difficoltoso. Le due petroliere trasportavano in totale circa 9.200 tonnellate (62mila barili) di questo derivato del petrolio, di cui circa il 40% è finito in acqua.
Il tratto di mare interessato dal disastro petrolifero era già stato dichiarato critico per la massiccia presenza di mine e altri ordigni bellici, trasportati dalla corrente dalle zone in cui erano stati installati o impiegati. La Crimea ora appare come una landa post-apocalittica, con spiagge inquinate e lidi disegnati dalle linee delle trincee, fortificazioni a picco sul mare e macerie ovunque, con lo strategico Ponte di Kerch ormai rintuzzato talmente tante volte dopo gli attacchi da costituire un pericolo per i trasporti.
Mare, cibo, geopolitica: perché la Crimea è così importante
Lo si ricorda sempre troppo poco, ma la Crimea è un territorio cruciale per le dinamiche geopolitiche da almeno tre secoli. A metà Ottocento la guerra di Crimea determinò i destini di diverse nazioni anche lontane, come l’Italia che di lì a poco si sarebbe unificata anche grazie all’intervento speso in quel conflitto. Senza farla troppo lunga, oggi la penisola rappresenta senza dubbio uno dei nodi principali della contesa fra Mosca e Kiev.
Non a caso la Federazione l’ha occupata, senza colpo ferire, e annessa in brevissimo tempo, proprio per via della sua posizione strategica per lo sbocco sul mare. Dopo l’invasione su larga scala del febbraio 2022, i russi hanno cercato di sottrarre il resto della costa meridionale al controllo di Kiev. Il comando ucraino, da parte sua, ha cercato in ogni modo di far saltare il Ponte di Kerch, consapevole che la sua definitiva distruzione avrebbe condizionato fortemente la guerra. Più della celebrata incursione nella regione russa di Kursk, per intenderci.
La Crimea è importantissima anche per la rotte marittime che consentono il commercio e il trasporto di uomini e merci tra Asia ed Europa. La crisi del grano e dei cereali che ha minacciato di affamare tre quarti di Africa, e che ha fatto schizzare in alto i prezzi di centinaia di beni alimentari e materie prime, ne è un esempio lampante.
La guerra allargata al Mar Nero, la postura sempre più ondivaga della Turchia (passaggio obbligato tra Mar Nero e Mediterraneo), le frattura fra Europa e il blocco anti-americano Russia-Cina-Iran si uniscono alla crisi vissuta anche dagli altri colli di bottiglia marini dai quali passa l’80% del commercio mondiale. In particolare il Canale di Suez e lo Stretto di Bab-el Mandeb alle due estremità del Mar Rosso per via dell’altro conflitto in corso, in Medio Oriente.
Nello specifico, il disastro ambientale occorso in Crimea non avrà ripercussioni così profonde sulla nostra economia più di quanto le ostilità non ne abbiano già provocate. Resta però il problema naturalistico e umano in un bacino chiuso a qualsiasi nave militare esterna e col traffico mercantile ridotto al minimo da più di due anni. La centralità del Mar Nero è condivisa anche dalla Nato, che sta costruendo sulla costa romena quella che sarà la base militare più grande d’Europa. Intanto la bonifica prosegue, come i bombardamenti. Nell’attesa dei negoziati per una tregua che dovrebbero svolgersi nei primi mesi del 2025, dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca.