Medici di base lavoratori dipendenti del Ssn, la riforma a cui lavora il governo

I medici di base potrebbero diventare dipendenti del Ssn con un riforma a cui lavora il governo: andrebbero ad aumentare l’efficienza delle Case di comunità e dei Cot

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Riccardo Castrichini

Giornalista

Nato a Latina nel 1991, è laureato in Economia e Marketing e ha un Master in Radio, Tv e Web Content. Ha collaborato con molte redazioni e radio.

Pubblicato: 8 Gennaio 2025 10:49

Il 2025 si apre con l’ipotesi di alcune grandi novità per i medici di base, con il governo di Giorgia Meloni che starebbe lavorando a un testo di legge per renderli lavoratori dipendenti del Ssn (Servizio sanitario nazionale) e non più dei liberi professionisti. La riforma è portata avanti dal ministero della Salute in collaborazione con le Regioni e ha il principale fine di far lavorare i medici di base nelle Case di comunità e nei Cot, (Centrali operative territoriali).

I medici di base diventano dipendenti

Per comprendere l’impatto che potrebbe avere la riforma del governo sull’intero sistema sanitario è necessario fare un passo indietro e partire dallo stato attuale delle cose. Oggi i medici di base sono dei liberi professionisti con un proprio studio convenzionato con il Ssn. Il risultato è che gestiscono i propri ambulatori e prendono in carico i pazienti nel numero massimo di 1.500 persone che, però, in pratica arriva fino a 1.800.

Con la riforma in stesura, i medici di base – oggi circa 40mila in Italia – diventerebbero dipendenti del Ssn e avrebbero come sede di lavoro soprattutto le Case e gli Ospedali di comunità così come le Centrali operative territoriali (Cot). In questo modo, secondo il parere del governo, sarà più semplice gestire il personale a disposizione della sanità territoriale.

È bene tuttavia precisare che il cambiamento descritto non dovrebbe essere obbligatorio per tutti i medici di base. Al sistema aderirebbero i nuovi specializzandi, cioè coloro che avviano la professione dopo l’introduzione della riforma, mentre chi esercita già l’attività come libero professionista dovrebbe poter scegliere se rimanere tale o diventare dipendente del Ssn. In ogni caso, comunque, il medico dovrà obbligatoriamente garantire un certo numero di ore a settimana alla sanità del suo territorio, verosimilmente tra le 14 e le 16 ore.

I perché della riforma

Con la riforma in stesura, il governo ha il principale obiettivo di migliorare l’offerta sanitaria per i cittadini, soprattutto a livello territoriale, portando come detto a un potenziamento delle Case di comunità e dei Cot. Già lo scorso settembre, infatti, il ministro della Salute Orazio Schillaci aveva annunciato che con la Manovra 2025 “il ministero si è impegnato a elaborare due disegni di legge collegati, finalizzati al potenziamento dell’assistenza territoriale e ospedaliera, nonché alla riforma delle professioni sanitarie, che intendo definire e portare all’approvazione quanto prima. Nessuna vera riforma sanitaria può avere speranza se non si rivede il ruolo svolto dai medici delle cure primarie”.

La sfida delle Case di comunità

La principale sfida che la riforma dei medici di base intende affrontare è rivolta al potenziamento delle Case di comunità, così come previsto dalla missione numero 6 del Pnrr. Entro la seconda metà del 2026, infatti, il numero di Case di comunità in Italia dovrà arrivare a 1.430, così da poter essere il primo punto di riferimento per il cittadino che ha bisogno di cure e alleggerire il carico che attualmente grava sugli ospedali e i pronto soccorsi.

Allo stato attuale, secondo quanto riportato da Agenas, la maggior parte delle Case di comunità non sono attive, se ne contano 413 in tutto lo stivale (in totale in 11 Regioni). Manca, soprattutto, il personale medico al loro interno, con i dati che riferiscono di 120 strutture prive di medici di assistenza primaria e di 137 in cui non è prevista la presenza di pediatri.