Aviaria, prossima pandemia in arrivo? Già 900 casi per il virus dal latte, l’allerta dei virologi

Il virus sta iniziando ad evolversi e potrebbero comparire nuovi ceppi portatori di potenziali mutazioni per il contagio da umano a umano

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

La prossima pandemia potrebbe essere quella dell’aviaria? Da mesi il ceppo di un virus dell’influenza degli uccelli si sta diffondendo tra i bovini degli Stati Uniti e gli scienziati da tempo stanno lanciando l’allarme sui rischi che questa malattia potrebbe portare all’uomo.

Alla domanda se il virus che colpisce e uccide gli uccelli possa innescare la prossima pandemia negli uomini, molti virologi rispondono che è “fortemente possibile”.

I dati nel mondo

A lanciare l’allarme in Italia è Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia (Siv-Isv), che non usa mezzi termini nel descrivere i timori suscitati dall’epidemia che si sta diffondendo tra i bovini da latte negli Stati Uniti.

L’epidemia è causata da un ceppo altamente patogeno del virus H5N1, che è stato trovato anche nel latte pastorizzato venduto negli Stati Uniti. “Il passaggio dell’aviaria nei mammiferi e la circolazione in questi animali – avverte – è un passo avanti verso l’uomo”.

Non è la prima volta che viene lanciato l’allarme aviaria e sebbene al momento non vi siano evidenze di contagio diretto tra persone, gli scienziati temono che il virus dell’influenza aviaria possa mutare passando dai bovini all’uomo, facilitando la sua diffusione. Dall’inizio del 2003 all’1 aprile 2024, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha registrato un totale di 889 casi umani di influenza aviaria in 23 Paesi, con 463 decessi, per un tasso di mortalità allarmante del 52%. Un recente caso di contagio in Texas, negli Stati Uniti, solleva interrogativi sulla via di trasmissione, ma non è ancora chiaro se l’uomo abbia contratto il virus da un bovino infetto o da un uccello.Il caso riguardava un lavoratore di un’azienda lattiero-casearia commerciale che ha presentato soltanto una malattia lieve, con comparsa di congiuntivite, curata fuori dall’ospedale.

Alla luce dei fatti che stanno avvenendo in America, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie e l’Autorità europea per la sicurezza alimentare hanno proposto una serie di misure quali il potenziamento della sorveglianza e la condivisione dei dati genomici, nonché una pianificazione attenta dell’allevamento di pollame e animali da pelliccia, specialmente nelle zone ad alta densità di uccelli acquatici. Si raccomanda anche la vaccinazione degli animali e delle persone a rischio dovuta all’attività lavorativa svolta.

L’allerta dei virologi: “Bisogna preparasi, mutazioni in arrivo”

“Non dobbiamo mettere la testa sotto la sabbia. Bisogna invece essere realisti e prepararsi”. Pensando a una futura emergenza pandemica, Caruso sottolinea come il virus aviario sia l’unico che preoccupa realmente per più di una ragione. Innanzitutto perché “è un virus influenzale che in quanto tale si trasmette per via aerea, la più efficace in termini di contagio”. E anche perché l’agente patogeno è estremamente diffuso dato che è stato scoperto come sia presente in moltissime anatre selvatiche, come quelle che vediamo nelle nostre città.

Ma altro dato allarmante è che il virus sta mutando. “Diversi ceppi di virus aviario si stanno modificando, a livello di più recettori di superficie, per potersi adattare all’uomo. Un salto sempre più facile, dopo che è passato ai mammiferi e tra i mammiferi circola”. Non c’è quindi una sola aviaria com’era anni fa, ma differenti tipi di influenze che stanno entrando negli organismi dei mammiferi e e che sono tutte potenzialmente pericolose per l’uomo.

Secondo delle linee guida del Ministero della Salute, sintomi gastrointestinali quali nausea, vomito e diarrea sono stati riportati più frequentemente nell’infezione da A(H5N1). Anche la congiuntivite è stata riportata in alcuni casi. In molti pazienti con virus dell’influenza aviaria, la malattia ha un decorso clinico aggressivo. Quelli iniziali sono quelli comuni dell’influenza, come febbre alta (maggiore o uguale a 38°C) e tosse seguiti da sintomi che coinvolgono le basse vie respiratorie, tra cui dispnea o difficoltà respiratorie. I sintomi delle alte vie respiratorie come mal di gola o raffreddore sono meno comuni.

Cosa possiamo fare per contrastare il rischio di una nuova pandemia

Per Caruso è fondamentale una sorveglianza rigorosa e pronta per contrastare l’influenza aviaria, che sta diffondendosi tra i bovini da latte negli Stati Uniti. “Vanno monitorati non solo gli uccelli, come già si fa da tempo, ma anche altri animali e gli alimenti che ne derivano, dal latte alla carne. E bisogna cominciare a fare controlli, magari a campione, anche sull’uomo”.

Inoltre, sottolinea l’urgenza di sviluppare rapidamente vaccini che possano essere somministrati in caso di necessità. Non solo vaccini mirati al virus H5N1, ma anche a altri ceppi che si stanno diffondendo tra i mammiferi. Caruso tiene a puntualizzare come sia “estremamente improbabile che il contagio possa avvenire attraverso il cibo, specie se parliamo di latte pastorizzato o carne cotta. Ma la sorveglianza è fondamentale, considerata la circolazione in animali che forniscono latte e carne”.

È quindi importante rafforzare la sorveglianza e fare controlli per comprendere l’entità della circolazione del virus aviario, anche a livello sub-clinico. Questo perché, prima che il virus si adatti all’uomo e diventi in grado di trasmettersi da persona a persona, è fondamentale comprendere quanto sia diffuso. Ad oggi tutto questo non si sta facendo: “Non è escluso che il virus possa già cominciare a circolare, che da qualche parte del mondo si sia già stabilizzato nell’uomo. Non lo possiamo sapere perché non stiamo facendo sorveglianza, però adesso questa sorveglianza si impone, per evitare di trovarci impreparati a una possibile prossima pandemia”.

Insomma, il virologo esorta a implementare una sorveglianza completa che includa non solo gli animali e i loro prodotti destinati all’alimentazione, ma anche un monitoraggio della popolazione umana per individuare eventuali focolai di circolazione del virus aviario. Un network di controllo che dovrebbe essere organizzato in modo casuale per comprendere se il virus sta già diffondendosi in determinate enclave a livello globale o se è ancora limitato agli animali.

Quanto infine a oggetti e superfici, “sappiamo che lì il virus non può sopravvivere – rassicura Caruso – Se esposto all’aria, infatti, l’involucro che lo riveste tende a seccare e il patogeno non è più in grado di infettare cellule bersaglio. E’ inoltre molto sensibile a saponi e detergenti”.