Alzheimer, inquinamento e basso reddito aumentano i rischi

Ci sono elementi che impattano, magari in modo impercettibile sul fronte clinico ma pesantemente su quello sociale, su quanto avviene al sistema nervoso

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Federico Mereta

Giornalista scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica. Raccontare la scienza e la salute è la sua passione, perché crede che la conoscenza sia alla base di ogni nostra scelta. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Col tempo, si sa, il cervello invecchia. Come del resto il corpo. E’ un processo fisiologico, legato a tanti fattori, a partire dalle circolazione del sangue. Ma, a prescindere dalle opportunità e dai rischi offerti dalla predisposizione genetica, non bisogna pensare che non esistano fattori sociali in grado di accelerare, o al contrario rallentare, i fisiologici processi di senescenza. Perché ci sono elementi che impattano, magari in modo del tutto impercettibile sul fronte clinico ma pesantemente su quello sociale, su quanto avviene al sistema nervoso.

Ora una ricerca ha provato a vedere quanto nei paesi in cui sono più forti le disuguaglianze sociali, che nascono dalle condizioni economiche oltre che dalla specifica situazione ambientale, possano avere un peso nel processo di invecchiamento cerebrale e sulle disparità tra età anagrafica e biologia. La ricerca, apparsa su Nature Medicine, mette in luce come quando sono presenti più spiccate disparità sociali, economiche ed ambientali aumentino i rischi di processi degenerativi. Anche e soprattutto se si valutano le persone anziane o quelle che presentano patologie come la malattia di Alzheimer.

Quanti anni ha il cervello?

Lo studio mostra come il ritmo di invecchiamento cerebrale possa variare significativamente tra gli individui. Questo comporta un divario tra l’età biologica stimata del cervello e l’età cronologica, ovvero quanto viene riportato sul documento d’identità.
L’indagine ha preso in esame la combinazione di fattori economici ed ambientali per verificarne l’impatto sul processo di invecchiamento cerebrale, utilizzando una sorta di “cronometro” biologico che ha valutato l’apprendimento profondo delle reti cerebrali. La ricerca ha preso in esame oltre 5.000 persone di 15 diversi Paesi, suddivise in nazioni latinoamericane e caraibiche e di altre aree. Per valutare la condizione cerebrale si sono analizzati i dati della risonanza magnetica funzionale (fMRI) e dell’elettroencefalografia (EEG),. In questo modo si sono quantificati i gap di età cerebrale in individui sani e in quelli con condizioni neurodegenerative come il deterioramento cognitivo lieve, la malattia di Alzheimer e la degenerazione del lobo frontotemporale (FTLD).

Donne più a rischio

Come riporta in una nota dell’Università del Surrey uno degli autori dello studio, Daniel Abasolo, “la ricerca dimostra che nei paesi in cui la disuguaglianza è più elevata, il cervello delle persone tende a invecchiare più velocemente, soprattutto nelle aree del cervello più colpite dall’invecchiamento. Abbiamo scoperto che fattori come la disuguaglianza socioeconomica, l’inquinamento atmosferico e l’impatto delle malattie svolgono un ruolo importante in questo processo di invecchiamento più rapido, in particolare nei paesi più poveri”.
I partecipanti con una diagnosi di demenza, in particolare l’Alzheimer, hanno mostrato i gap di età cerebrale più critici. La ricerca ha anche evidenziato differenze di genere nell’invecchiamento cerebrale, con le donne nei paesi caraibici e latino-americani che hanno mostrato più significativi divari di età cerebrale, in particolare in quelle con malattia di Alzheimer. Insomma, i risultati sottolineano il ruolo dei fattori ambientali e sociali nelle disparità nella salute cerebrale.

Scelte politiche su misura

I risultati di questo studio sono molto importanti per la valutazione dell’impatto di ambiente e condizioni economiche sulla salute cerebrale, in particolare nella comprensione dell’interazione tra l’esposoma e i meccanismi che sono alla base dell’invecchiamento cerebrale in diverse popolazioni nell’invecchiamento sano e nella demenza. Il quadro che ne emerge potrebbe aiutare ad identificare gli individui a rischio di malattie neurodegenerative e sviluppare interventi mirati per mitigare questi rischi.
Inoltre, i risultati dello studio evidenziano l’importanza di considerare l’integrazione biologica di fattori ambientali e sociali nelle politiche di sanità pubblica. Sta alla politica trovare le strategie per ridurre le disparità nell’età cerebrale e promuovere un invecchiamento più sano tra le popolazioni affrontando questioni quali la disuguaglianza socioeconomica e l’inquinamento ambientale.

L’inquinamento pesa fin da giovani

In occasione del recente World Brain Day, la Società Italiana di Neurologia (SIN) ha richiamato l’attenzione sulla relazione tra inquinamento atmosferico e sviluppo delle attività cognitive dimostrato da uno studio scientifico americano della Wayne State University e del Cincinnati Children’s Hospital.
I ricercatori, diretti da Clara Zundel, dopo aver studiato 10mila giovani americani con età fra 9 e 12 anni ricavati dal database ABCD (Nationwide Adolescent Brain Cognitive Development), hanno scoperto come l’esposizione agli inquinanti dell’aria, alle polveri sottili e in particolare al PM 2,5, provochi alterazioni delle loro connessioni cerebrali con conseguenti disturbi dell’attenzione e problemi mentali. Lo studio pubblicato sulla rivista Brain Connectivity da un gruppo di neurologi, psichiatri, epidemiologi ambientali e biostatistici indica che l’esposizione in un’età in cui si stanno sviluppando le principali connessioni cerebrali è particolarmente pericolosa. Peraltro, al danno da PM 2,5 responsabile anche di problemi respiratori come l’asma o di respirazione nel sonno che ne viene conseguentemente disturbato, si associa pure quello degli inquinanti presenti nel cibo e nell’acqua come ha fatto notare anche la Società Italiana di Neurologia. L’ allarme viene ora confermato dalla principale autrice dello studio secondo cui occorre attivare quanto prima un nuovo filone di ricerca di neurologia e psichiatria ambientale.

Cos’è la LATE e quanto impatta

In più del 30% degli ultraottantenni vi possono essere nel cervello alterazioni vascolari così come alterazioni neuronali dovute a quelli che chiamiamo processi abiotrofici. Tra questi, negli ultimi anni è diventata oggetto di studio una condizione età-dipendente che chiamiamo LATE (Limbic-predominant age-related TDP-43 encephalopathy). In verità, questa entità non ha una causa specifica e risente di fattori diversi, così come succede per la pelle oppure per la vista oppure ancora per l’udito. Si sa che le aree limbiche sono particolarmente sensibili e che nei neuroni di queste aree si accumula una proteina chiamata TDP-43 che interviene nelle condizioni di stress neuronale. I sintomi sono in larga parte confinati nei meccanismi di memoria, soprattutto di acquisizione di nuove informazioni.