Chi sono i franchi tiratori e perché si chiamano così

L'espressione è stata utilizzata durante tutta la storia del voto del Presidente della Repubblica per identificare gli elettori infedeli

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Annunciando il suo ritiro dalla corsa al Colle, Silvio Berlusconi ha tenuto a specificare di aver “verificato l’esistenza di numeri sufficienti per l’elezione”. Perché allora il leader di Forza Italia ha deciso di fare un passo indietro a qualche ora dal primo voto per il Quirinale?

Per quanto il Cavaliere potesse dirsi certo dei voti dei suoi parlamentari e del sostegno degli alleati nel centrodestra, non poteva considerarsi al riparo dall’impallinamento da parte di figure ricorrenti nell’elezione del Capo dello Stato: i “franchi tiratori”. Un’insidia per il suo nome come per quello di qualsiasi altro aspirante alla presidenza, presente da sempre nella storia della Repubblica, che in alcune occasioni ha provocato “vittime” eccellenti.

Quirinale, chi sono i “franchi tiratori” e perché si chiamano così: la storia

“Franchi tiratori” è il termine con cui vengono etichettati i grandi elettori che, approfittando del segreto dell’urna, tradiscono l’indicazione del proprio gruppo parlamentare, partito o coalizione, sul nome da votare. In questo caso per l’elezione del Presidente della Repubblica. Una delle prime attestazioni dell’espressione risale al periodo immediatamente successivo alla Rivoluzione Francese, in riferimento a singoli individui o piccoli gruppi di fanteria leggera che aprivano il fuoco contro truppe regolari ma senza essere giuridicamente soggetti agli ordini dei comandanti dell’esercito. A questi combattenti, utilissimi nel decimare il nemico soprattutto nei contesti urbani o con edifici in cui nascondersi, era concessa una notevole libertà di azione e iniziativa.

Come spiegato dall’enciclopedia Treccani, la locuzione è attestata per la prima volta nell’italiano scritto dal 1870, all’interno di cronache giornalistiche sulla guerra franco-prussiana. La locuzione ricalca infatti il francese “franc-tireur”, dalla quale proviene la definizione storica: “Guerrigliero che opera, per lo più isolato o in piccoli gruppi, contro forze regolari, soprattutto nei centri abitati che il nemico cerca di occupare o sta evacuando”. A portarla in Italia furono con ogni probabilità i volontari agli ordini di Giuseppe Garibaldi, di ritorno dalla Francia sconfitta dalla Prussia.

Il termine venne utilizzato anche durante la Seconda Guerra Mondiale, in occasione alla Battaglia di Firenze del 1944 quando la città venne liberata, in riferimento ai cecchini nazifascisti che decisero di non seguire le truppe in ritirata ma di continuare a combattere dai tetti delle case, e per indicare i Francs-tireurs et partisans (Ftp), un importante gruppo della Resistenza francese.

Quirinale, chi sono i “franchi tiratori” e perché si chiamano così: l’espressione in politica

L’espressione derivata dal lessico militare, viene però utilizzata da sempre nel gergo giornalistico, in particolare modo durante l’elezione del Presidente della Repubblica, che rappresenta forse la dimostrazione per eccellenza dei rischi del voto segreto nell’ordinamento italiano. Per utilizzare la definizione della Treccani in politica il “franco tiratore” è semplicemente chi “in votazioni a scrutino segreto vota in modo diverso da quello deciso dal proprio partito”.

Figure immancabile nella storia del voto del Capo dello Stato, le loro gesta sono annoverate in numerosi esempi di candidati ufficiali saltati per un pugno di voti: forse l’occasione più famosa in epoca recente è quella che ha visto sabotare la candidatura dell’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, per colpa dei celebri, ma tuttora anonimi, 101 franchi tiratori che fecero saltare il nome indicato in direzione dalla direzione del Pd. Nella drammatica partita che porta alla vigilia di Natale 1971 all’elezione di Giovanni Leone, con 23 scrutini andati a vuoto, le ambizioni dell’ex primo ministro della Dc Amintore Fanfani vengono bruciate appunto dai 36 voti mancanti, tra i quali la scheda che lui stesso si trova davanti nello spoglio: “Nano maledetto, non sarai mai eletto”.

Ma, sempre all’interno delle trame della Dc, si potrebbero citare a partire dall’elezione del 1948 anche i casi di Carlo Sforza e Cesare Merzagora al quale non furono dati 160 voti nel ’55, di Arnaldo Forlani che ancora nella Democrazia Cristiana mancò l’elezione nel 1992, nonostante gli stratagemmi adottati per stanare gli infedeli. Infine sempre nel 1992, ma tra le file del Psi, a subire il cecchinaggio dei franchi tiratori fu Giuliano Vassalli.