Rimpatri migranti, l’Ue apre all’esternalizzazione: stretta sulle espulsioni

La Commissione Ue propone di esternalizzare i rimpatri dei migranti, aprendo a hub di espulsione nei Paesi terzi. Italia e Danimarca tra i primi a valutare il nuovo sistema

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Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

Pubblicato: 11 Marzo 2025 18:17

L’Unione Europea cambia approccio nella gestione dei rimpatri dei migranti. La Commissione ha presentato una proposta di regolamento che apre ufficialmente all’esternalizzazione dei processi di espulsione. Se approvata, la normativa permetterà ai singoli Stati membri di trasferire i richiedenti asilo respinti in Paesi terzi, anche se questi ultimi non hanno mai rappresentato una tappa nel loro percorso migratorio.

La nuova legge Ue introduce la possibilità di costruire veri e propri “hub di rimpatrio” in Paesi fuori dall’Unione, dove trattenere i migranti in attesa di espulsione definitiva. Il regolamento prevede regole più severe per i richiedenti asilo respinti e mette le basi per un sistema di espulsioni che potrebbe ridisegnare le politiche migratorie dell’Europa nei prossimi anni.

Cosa prevede il nuovo regolamento sui rimpatri migranti

La proposta presentata dalla Commissione Europea è il primo passo concreto verso l’esternalizzazione della gestione dei migranti irregolari. L’obiettivo dichiarato è aumentare il tasso di rimpatri, che attualmente si ferma tra il 20 e il 25%. Il piano prevede la possibilità di inviare i migranti respinti in Paesi terzi, anche senza il loro consenso, superando così i limiti imposti dalle regole precedenti.

Le novità principali:

  • gli Stati membri potranno stipulare accordi bilaterali con Paesi terzi per costruire centri di rimpatrio, nei quali trasferire i migranti in attesa di espulsione;
  • il nuovo regolamento rimuove l’obbligo del consenso volontario del migrante per il rimpatrio, previsto dalle norme precedenti;
  • sono stabiliti criteri minimi per garantire il rispetto dei diritti umani nei centri di accoglienza, ma le ong temono che la sorveglianza sia insufficiente.

La legge prevede anche nuovi obblighi per i richiedenti asilo respinti, come la consegna dei documenti personali, dei dati biometrici e la disponibilità costante per il rimpatrio. In caso di mancato rispetto delle regole, i migranti rischiano la revoca dei permessi di lavoro, il blocco dei sussidi sociali e il divieto d’ingresso futuro nell’Ue.

Italia, Danimarca e Paesi Bassi: chi vuole applicare il nuovo piano Ue

L’Italia è tra i Paesi che sembrano intenzionati ad adottare per primi il nuovo regolamento sui rimpatri. Il governo sta valutando la possibilità di trasformare i centri in Albania, già destinati all’esame delle richieste di asilo, in hub di rimpatrio definitivi. Questi centri però sono attualmente vuoti, dopo una serie di sentenze della Corte d’Appello di Roma che hanno bloccato temporaneamente il progetto.

Anche Danimarca e Paesi Bassi hanno mostrato interesse per l’outsourcing dei rimpatri. La strategia prevede incentivi finanziari ai Paesi terzi che accetteranno di ospitare i migranti rimpatriati, in cambio di gestione e controllo dei centri.

L’Italia, attraverso i centri in Albania, potrebbe diventare il primo laboratorio di questa nuova politica europea, ma non mancano dubbi sulla sostenibilità di tale sistema e sulla tenuta dei diritti fondamentali delle persone migranti.

Le critiche sull’esternalizzazione dei rimpatri

La nuova proposta ha sollevato non poche critiche. Le organizzazioni umanitarie denunciano il rischio di violazioni dei diritti umani, in particolare legati alla detenzione prolungata dei migranti nei centri esterni all’Ue. Le ong parlano di un approccio “punitivo” e di un sistema che rafforza stereotipi pericolosi.

Infatti il regolamento consente la detenzione per un massimo di due anni negli Stati membri, ma non stabilisce limiti per i centri esterni, lasciando spazio a detenzioni indefinite. Un altro punto critico è la mancanza di una valutazione d’impatto da parte della Commissione, segno – secondo la società civile – di una corsa politica accelerata per soddisfare le richieste dei governi conservatori.

Anche la politica europea si divide: mentre i partiti di destra esultano, l’eurodeputata Cecilia Strada (S&D) attacca duramente: “La Commissione ha cambiato le definizioni legali pur di aggirare i diritti fondamentali. Trasferire migranti in Paesi dove non hanno mai messo piede è una deriva preoccupante”.