Una “zona morta” e profondità difensiva, cosa vuole Israele in Libano

Mentre proseguono i raid israeliani sul sud del Libano e Beirut, le Idf puntano a creare un'area di 5 chilometri libera da edifici civili utilizzabili dai miliziani di Hezbollah. Ma più in generale, lo Stato ebraico vuole cambiare il Medio Oriente

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Pubblicato: 4 Ottobre 2024 00:46

Israele non ha intenzione di frenare la sua offensiva contro i suoi vicini ostili in Medio Oriente. Nonostante l’attacco scenografico dell’Iran con centinaia di missili, condotto con le stesse “telefonate” modalità del primo sferrato il 13 aprile. Le forze dello Stato ebraico ora sono rivolte all’eradicazione di Hezbollah dal sud del Libano.

Mentre prosegue i bombardamenti nel quartiere meridionale Dahiyeh di Beirut, roccaforte del “Partito di dio”, Tel Aviv rivela sempre più il suo obiettivo strategico: realizzare una “zona morta” di almeno cinque chilometri al di là del confine libanese, in modo da aumentare la propria profondità difensiva. Ma cosa significa nel concreto?

La strategia “dei 5 chilometri” di Israele in Libano

Le Forze di difesa israeliane (Idf) lo hanno ribadito chiaro e tondo: l’esercito non vuole invadere e occupare il Libano. L’obiettivo è Hezbollah, decapitato dei suoi vertici e di figure di spicco molto vicine al patron iraniano e in via di annullamento delle sua capacità missilistiche a ridosso del confine. Il giorno dopo il maxi attacco di Hamas di un anno fa, l’organizzazione libanese si è schierata al fianco dei “colleghi” della Striscia di Gaza inaugurando uno scontro a bassa intensità con Israele che è durato e resistito fino a un paio di settimane fa. L’impressionante ondata di raid a Beirut e nella valle della Beqa’ hanno segnato una nuova fase del conflitto, in cui Tel Aviv si è concentrata contro l’altro grande agente di prossimità dell’Iran nella regione, sicuramente il più potente della rete sciita.

Gli attacchi israeliani, che hanno preso di mira centinaia di edifici civili utilizzati come depositi e sedi operative da Hezbollah, hanno di fatto creato una “zona morta” profonda circa 5 chilometri oltre confine. Ciò emerge bene dall’analisi delle immagini satellitari, proposta dal Financial Times in collaborazione con il Cuny Graduate Center e l’Oregon State University. I bombardamenti aerei a cadenza quotidiana, i colpi di artiglieria e il fosforo bianco incendiario hanno reso inabitabili gran parte di questa fascia di territorio a nord della cosiddetta “Linea Blu”, che segna la demarcazione fra i due Paesi.

Bisogna però intendersi su termini e intenzioni. Come ha precisato un alto funzionario delle Idf, Israele non vuole una “zona cuscinetto” nel sud del Libano. No, vuole proprio rendere l’area inabitabile per evitare qualunque rischio di insediamento da parte di Hezbollah. Le parole della fonte sono lapalissiane: “Vogliamo solo che i terroristi vengano respinti. Non abbiamo problemi con le truppe di peacekeeping dell’Onu, con le Forze armate libanesi o i civili libanesi che rimangono lì. Ma dobbiamo ripulire l’area della presenza di Hezbollah. Perché essa rappresenta una minaccia diretta per le case israeliane tramite il fuoco dei cecchini, i missili anticarro guidati, gli attacchi transfrontalieri e altri mezzi. Questa è una necessità tattica per garantire la sicurezza dei residenti israeliani”.

Lo Stato ebraico vuole privare i nemici sciiti della loro capacità di lanciare missili a corta gittata da quei 5 chilometri oltre il confine, che per un anno hanno tenuto in apprensione i residenti del nord di Israele costringendoli all’evacuazione. Secondo l’intelligence israeliana, Hezbollah utilizza le strutture civili abbandonate come rifugio e deposito di armi. “Una casa su tre nel Libano meridionale viene utilizzata da Hezbollah come magazzini bellici, siti di addestramento, postazioni di tiro e punti di incontro per un possibile attacco transfrontaliero. Tel Aviv giustifica così il fuoco continuo e la devastazione. In questo senso la zona meridionale del Libano, così come la periferia sud di Beirut, stanno diventando una “seconda Gaza”.

Centinaia di case distrutte e danni per 2 miliardi di dollari

Secondo gli analisti militari, nella zona sono rimasti soltanto piccoli gruppi di civili libanesi. La maggior parte dei palazzi sono ormai vuoti o distrutti. Sono state identificate almeno 1.500 strutture gravemente danneggiate, una stima rivista decisamente al ribasso. Un funzionario libanese, Hashem Haidar, ha riferito al Financial Times che tremila case nel sud del Paese sono state completamente rase al suolo e oltre 12mila hanno subìto danni di medio livello. Il tipo di armamenti utilizzati da Israele è molto più letale rispetto a quelli adoperati durante la precedente guerra in Libano, nel 2006. “Prima, quando una casa veniva bombardata, il danno era limitato alla casa e alle sue immediate vicinanze. Ora, ci sono interi quartieri che vengono colpiti da un bombardamento”, ha spiegato Haidar. Il costo complessivo dei danni ha già superato 1,7 miliardi di dollari.

In base alla risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, adottata nel 2006 per porre fine alla guerra tra Israele e Hezbollah, le forze di peacekeeping dell’Unifil (che comprende anche un migliaio di soldati italiani) sono state stanziate nell’area per monitorare il cessate il fuoco lungo la linea di demarcazione di 120 chilometri. La risoluzione chiedeva anche ai fondamentalisti di ritirare le loro forze dietro il fiume Litani, circa 30 chilometri a nord della frontiera. Una richiesta che il “Partito di dio” ha respinto, affermando senza mezza misura: “Chiedere di ritirarci dal sud del Libano è come chiedere a un pesce di non nuotare nel mare”. Anche dal loro punto di vista, infatti, vale la questione della profondità strategica.

Israele vuole cambiare l’equilibrio del Medio Oriente

A un livello più ampio, la strategia di Israele mira a cambiare l’equilibrio del Medio Oriente. Innanzitutto spezzando il contenimento della Mezzaluna sciita, o Asse della resistenza, costruitogli intorno dall’Iran. Obliterata la capacità militare di Hamas, che però rischia di radicalizzare un numero sempre maggiore di estremisti islamici, lo Stato ebraico scommette di poter annullare anche Hezbollah. Ma per farlo dovrebbe invadere per forza di cose il Libano, andando incontro a un disastro annunciato.

Se si applica un minimo di approfondimento storico, si nota che Israele ha già provato ad annullare l’avversario libanese. Senza mai riuscirci, evidentemente. Prima nel 1982, durante l’invasione del Libano, quando l’obiettivo era annientare l’Organizzazione per la liberazione della Palestina e impiantare un governo malleabile dominato dai cristiani a Beirut. Cinque anni dopo, la prima Intifada scoppiò a Gaza e si diffuse in Cisgiordania, che sarà di certo un prossimo teatro di scontro nelle mire di espansione israeliane. Hezbollah continuò a combattere contro lo Stato ebraico sino alla grande escalation del 2006 e negli anni successivi non fece che rafforzarsi, anche grazie al significativo supporto iraniano. Oggi Hezbollah è paralizzato e in disordine, ed è chiaramente zeppo di infiltrati dell’intelligence israeliana. Tuttavia, è decisamente prematuro dichiararne la fine.