La Cina ha un piano speciale per riprendersi Taiwan, e non prevede la guerra

Oltre allo scenario più temuto e temibile dell'invasione, Pechino si sta preparando ad annettere l'isola di Taiwan attraverso il cyber power. E forse anche tramite una quarantena, per la forte preoccupazione degli Stati Uniti

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Pubblicato: 22 Settembre 2024 00:37

Durante il seguitissimo faccia a faccia fra Donald Trump e Kamala Harris in vista delle presidenziali americane, è stato affascinante osservare come non sia emerso il dossier più importante e strategico per il loro Paese: la difesa di Taiwan e la tenuta dell’Indo-Pacifico. Niente, neanche un accenno se si escludono vaghe menzioni sulla Cina. Eppure gli apparati, i veri decisori delle questioni nazionali, pongono il quadrante asiatico in cima alla lista delle priorità e delle preoccupazioni di Washington.

La motivazione principale è la massiccia presenza statunitense nel braccio di mare antistante la costa cinese. L’Aquila sa bene che il Dragone non è ancora forte abbastanza da riprendersi l’ex Isola di Formosa, figurarsi proiettarsi in mare aperto una volta superato l’ostacolo. Per lo stesso motivo gli Usa non vogliono una Russia sconfitta in Ucraina, in quanto finirebbe preda dell’impero vicino rafforzandolo in vista della sfida finale. Ma Pechino ha in serbo un piano preciso che va oltre la potenza militare e la forza. Un piano che, proprio per queste sue caratteristiche, preoccupa gli egemoni globali.

Ecco come e quando la Cina vuole riprendersi Taiwan

Secondo l’ultimo Reagan National Defense Survey, quasi tre americani su quattro sono preoccupati per una potenziale invasione cinese di Taiwan. Timore che ha contagiato anche una parte degli apparati, i quali hanno previsto uno scenario di attacco da parte della Cina entro il 2027. Pechino vuole riprendersi Taiwan entro il 2049, in occasione del centenario dalla fondazione della Repubblica Popolare. Il presidente Xi Jinping lo ribadisce a gran voce ogni volta che ne ha occasione. Per riuscirci, il gigante asiatico deve scalzare l’estrema difesa messa in piedi dagli egemoni Stati Uniti, il cui strapotere è plasticamente evidente nella militarizzazione dello Stretto di Formosa. Ma la via delle armi e dello sbarco anfibio è da scartare, l’isola è davvero un fortino. Anche se dovesse miracolosamente espugnarla, Pechino dovrebbe poi affrontare con maggiore forza l’altra catena di isole satelliti degli Usa che circondano l’area e impediscono al Dragone di guadagnare il mare: dalle Filippine al Giappone, fino all’Australia. Un quadrante apparentemente bloccato, sotto il saldo controllo di Washington.

Eppure la Cina pensa davvero di riuscire nell’impresa di riannettere a sé “l’altra Cina”. Come? Non con il fuoco, ma con il cyber power. Come ha evidenziato la testata Politico, la Repubblica Popolare escluderebbe lo scenario di un’invasione, che anzi sarebbe percepito come una mossa disperata, un fallimento strategico. La Cina non è attualmente in grado di dominare neanche il proprio continente con la forza militare, figurarsi sconfiggere la prima potenza del pianeta. Al contrario, la competizione nel settore della cyberwarfare (guerra cibernetica) è più aperta che mai, nonostante internet e la galassia social siano emanazione e creatura della nazione americana. La strategia di Pechino prevede di isolare, indebolire e infine assorbire Taiwan proprio attraverso il cosiddetto cyber power agendo in vari ambiti: politico, militare ed economico.

Pechino orchestra operazioni di intelligence e influenza online per erodere la fiducia nel governo di Taiwan. Conduce attività di spionaggio e disinformazione per esporre le difese dell’isola e seminare dubbi sulla capacità di mantenere segreti condivisi con governi stranieri. Utilizza controlli e censura sul web per fare pressione sulle aziende straniere affinché affermino che Taiwan è parte della Repubblica Popolare. Non solo: il Dragone si insinua nei sistemi informatici che supportano le industrie infrastrutturali critiche degli Stati Uniti, nel tentativo di minare la partnership di sicurezza offerta all’ex Isola di Formosa.

Il vero obiettivo della Cina è l’America: quali rischi corrono gli Usa

L’irruzione cinese nei sistemi infrastrutturali critici degli Stati Uniti rappresenta un pericolo immediato per Washington e rivela quanto lontano Pechino possa spingersi prima di arrivare al conflitto armato per raggiungere i suoi obiettivi. Le incursioni informatiche, perpetrate dal gruppo di hacker Volt Typhoon, mettono a rischio di interruzione settori cruciali come quello idrico, dell’elettricità e delle comunicazioni. In caso di una futura crisi che coinvolga Taiwan, la Repubblica Popolare potrebbe trasformare in un’arma questa sua capacità di penetrazione “a distanza” nel tentativo di scoraggiare l’intervento diretto degli Usa nell’Indo-Pacifico.

La Cybersecurity and Infrastructure Security Agency, la National Security Agency, l’Fbi e altre entità statunitensi e internazionali hanno pubblicato un programma congiunto all’inizio del 2024, avvisando i leader delle infrastrutture critiche del “rischio urgente” rappresentato da Volt Typhoon e fornendo indicazioni su misure di protezione specifiche. Eppure Washington ha ancora molto lavoro da fare. Secondo gli analisti, il governo federale deve collaborare a fondo con queste aziende per una risposta nazionale coesa ed efficace. Altrimenti il timore è che i cinesi trovino una falla, anche una sola, per colpire al cuore l’America.

In che modo gli Stati Uniti possono evitare il pericolo cinese

Secondo Brad Medairy, dirigente del National Cyber Security Center, per gestire meglio i rischi legati alla Cina apparati e grandi imprenditori dovrebbero in primis condurre wargame che prevedano una competizione senza guerra. Si tratta di simulazioni computerizzate di situazioni di conflitto, proprio come quelle dei videogiochi usati dagli adolescenti. I wargame specializzati possono replicare l’approccio cinese nell’erodere in maniera subdola le posizioni strategiche di Taiwan e degli Stati Uniti senza innescare un conflitto armato. Al contempo, dovrebbero essere sviluppati anche wargame attorno agli scenari di crisi che potrebbero scatenarsi di conseguenza.

In secondo luogo, le organizzazioni nei settori pubblico e privato dovrebbero aumentare i costi e gli ostacoli per gli “avversari informatici”. Il governo degli Stati Uniti può definire chiaramente quali sono considerate “attività informatiche inaccettabili”, come ad esempio prendere di mira le infrastrutture critiche civili, e imporre sistematicamente costi strategici per le trasgressioni. Sia le agenzie federali sia le aziende possono modernizzare in tal senso le loro cyber difese, applicando una mentalità di “fiducia zero” per rendere più difficile l’offensiva online degli aggressori.

In linea generale, il diktat che circola negli alti ambienti statunitensi è che le azioni della Cina devono essere contrastate a ogni livello. Ciò comporta lo sviluppo di tattiche per individuare e contrastare gli sforzi di Pechino per influenzare Taiwan, gli Stati Uniti e i principali attori e alleati globali in merito all’annunciata “riunificazione” delle “due Cine”. Come? Utilizzando l’Intelligenza Artificiale e coinvolgendo ad esempio realtà informatiche come Disarm, che forniscono un linguaggio comune per i difensori nella lotta alla disinformazione. Nell’intento comune di dare la caccia, rilevare, identificare, valutare e neutralizzare le campagne di manipolazione e interferenza delle informazioni.

Infine, gli Usa dovrebbero rafforzare le capacità informatiche dei partner indo-pacifici che svolgono un ruolo cruciale nel resistere ai tentativi della Cina di spostare l’equilibrio di potere della regione. Supportare alleati o, meglio, satelliti in questo modo è un passo decisivo per mantenere la deterrenza integrata nell’area, indispensabile per impedire la proiezione del Dragone oltre la sua costa.

L’alternativa cinese all’invasione di Taiwan: la quarantena

La promessa cinese di volersi riprendere Taiwan ha spinto analisti e strateghi militari americani a concentrarsi su due scenari principali: l’invasione su vasta scala, come detto, o il blocco militare dell’isola. Un think tank di Washington, il Center for Strategic and International Studies (Csis), sostiene però che esiste una terza via: la quarantena, che non è ovviamente la stessa di cui abbiamo fatto esperienza durante la pandemia Covid. Utilizzando tattiche da “zona grigia” – e cioè operazioni appena al di sotto di quelle che potrebbero essere considerate azioni di guerra – la Guardia costiera cinese, la sua milizia marittima e varie agenzie di polizia e sicurezza potrebbero avviare una quarantena totale o parziale di Taiwan. Eventualmente interrompendo l’accesso ai porti e bloccando forniture strategiche come quelle energetiche di raggiungere i 23 milioni di abitanti dell’isola.

Le componenti navali, aeree e terrestri dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese, la più grande forza militare del mondo, potrebbero svolgere ruoli ausiliari e di supporto, hanno osservato gli esperti del Csis. Pechino “ha aumentato significativamente la pressione su Taiwan negli ultimi anni, alimentando i timori che le tensioni possano sfociare in un conflitto vero e proprio. È stata prestata molta attenzione alla minaccia di un’invasione, ma Pechino ha delle opzioni oltre all’invasione per costringere, punire o annettere Taiwan“, si legge nel rapporto.

Lo scenario della quarantena germina da una considerazione tecnica: la Guardia costiera cinese, come la maggior parte delle guardie costiere del mondo, è considerata un’agenzia di polizia. Ciò significa che può fermare e regolare la navigazione intorno all’isola in quella che viene definita una quarantena, che differisce dal cosiddetto blocco. “Una quarantena è un’operazione condotta dalle forze dell’ordine per controllare il traffico marittimo o aereo all’interno di un’area specifica, mentre un blocco è principalmente di natura militare”, afferma il Csis. Il diritto internazionale considera il blocco militare un atto di guerra, ma la quarantena no. Una tattica di questo tipo metterebbe dunque gli Stati Uniti in una posizione molto complicata. Ma se navi o aerei militari di Washington intervenissero in quella che la Cina definisce un’operazione di contrasto, gli Stati Uniti potrebbero essere considerati come coloro che hanno avviato ostilità militari.

Taiwan è una fortezza

Al netto di tutto, gli Stati maggiori di Cina e Usa fanno quello per cui sono nati: preparare la prossima guerra. Riprendendo le parole dell’analista geopolitico Phillip Orchard, Taiwan non è l’Ucraina. A prima vista la situazione dei Paesi appare molto simile: entrambi territori strategicamente cruciali, la cui sovranità nazionale e territoriale è messa in discussione da un impero confinante, col quale condivide aspetti culturali ed etnici ma dal quale prende le distanze in favore dell’Occidente a guida statunitense. Eppure non potrebbero essere più diverse.

Per cominciare, Taiwan appare come una fortezza naturale inespugnabile a chiunque provi a invaderla via mare. A differenza dell’Ucraina, geograficamente e storicamente terra di invasioni da parte di eserciti stranieri che sono entrati come lame nel burro nella piana sarmatica, senza trovare ostacoli orografici. Estesa su una superficie di circa 36mila chilometri (una volta e mezzo la Sardegna, per intenderci), Taiwan presenta solo due aeree pianamente pianeggianti: la più estesa (450 chilometri circa) è sul lato occidentale, prospicente alla Repubblica Popolare Cinese, e va dalla capitale Taipei fino quasi all’estremo sud dell’isola; l’altra, molto meno estesa (30 chilometri), si snoda sul lato nord-orientale nella hisien (“contea”) di Yilan. Le difese dell’ex isola di Formosa scoraggerebbero qualunque aspirante conquistatore, grazie a un mix di fattori geografici e militari:

  • le acque troppo poco profonde (in media 70 metri) impediscono un’azione su vasta scala dei sottomarini cinesi, soprattutto nella parte occidentale, nelle quali i taiwanesi possono posizionare migliaia di mine;
  • il potenziamento dell’esercito “di casa” grazie a un aumento del budget militare di ulteriori 8,6 miliardi di dollari a inizio 2022;
  • la presenza di fortificazioni e di basi aeree e navali nei pressi dei principali porti e aeroporti e dei grandi centri geopolitici;
  • la dotazione taiwanese di centinaia di aerei, sistemi antiaereo e antinave di ultima generazione, fra cui i missili Harpoon a lunga gittata, impiegabili sia da bordo che da batterie costiere e la cui portata permette di coprire tutta l’area dello stretto.

L’isola è inserita inoltre in un fronte, quello indo-pacifico, ben più strategico per gli Stati Uniti rispetto ai teatri europei. Una “portaerei inaffondabile”, un “porcospino” militare. La Cina ne è consapevole e tenta di stringere la presa sul Mar Cinese Meridionale, in un’area marittima tra le più contese al mondo. Il coinvolgimento “laterale” degli Usa in Ucraina, con l’invio di armi e addestratori sul campo, non ha nulla a che vedere con quello “diretto” che invece assumerebbero per difendere l’Isola Bella da un eventuale attacco dalla Cina continentale. Coinvolgimento che si è dipanato, soprattutto negli ultimi anni, anche con il sostegno al riarmo di Taipei, che ha potenziato arsenale e tattica per scoraggiare ed eventualmente respingere l’esercito della Repubblica Popolare.

La guerra fra Usa e Cina per Taiwan è vicina?

La pista dello scontro militare fra Occidente e Cina resta comunque lo scenario più probabile e preoccupante nelle acque di Taiwan. A fine luglio ha preso il via la seconda fase delle esercitazioni militari annuali “Han Kuang”, le più massicce che coinvolgono le difese dell’isola. Una mossa scenografica il più delle volte, per rimarcare proprio in faccia alla Cina la potenza della rete di alleanze americane nell’Indo-Pacifico. Eppure quest’anno le simulazioni non sono apparse come la solita routine. Dopo decenni di sostanziale spettacolo, le ultime esercitazioni sono state effettuate per avvicinarsi il più possibile a un combattimento reale, simulando ad esempio la risposta a fuoco vivo a un attacco cinese. Già durante la prima fase, tenutasi dal 15 al 19 maggio, i militari coinvolti hanno utilizzato la piattaforma Jtls (Joint Theater Level Simulation) per mettere alla prova le tattiche di controffensiva.

A Taiwan come negli Usa, classe politica e popolazione avvertono che la competizione con la Cina sta entrando in una fase caldissima. Se dovesse deflagrare in un momento storico in cui l’America è stanca e sovraesposta su troppi fronti, dall’Ucraina al Medio Oriente, si scatenerebbe la tempesta perfetta. I nemici di Washington potrebbero approfittare militarmente proprio di questa situazione di forte instabilità globale, come in sostanza già stanno facendo al netto delle opposte strategie a lungo termine.

non come un’invasione armata, ma attraverso una competizione al di sotto della soglia del conflitto armato. Le strategie informatiche di Pechino rappresentano un rischio globale inaccettabile. Mantenere aperte le linee di comunicazione con la Repubblica Popolare è fondamentale. I passi che i leader intraprendono oggi possono aiutare a mantenere la pace e la stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan, salvaguardare la democrazia di Taiwan e ridurre al minimo il rischio di una crisi.