Esperti dell’Inps e del centro studi di Itinerari Previdenziali hanno avanzato una proposta di riforma delle pensioni che garantisca una maggiore flessibilità in confronto all’attuale legge Fornero, garantendo però lo stesso equilibrio nei conti pubblici, necessario per permettere allo Stato di limitare la spesa previdenziale che, nei prossimi anni, raggiungerà il suo picco.
L’idea è quella di creare una finestra di circa 10 anni in cui i lavoratori possono andare in pensione. Ammesso che siano stati accumulati 25 anni di contributi, smettere di lavorare potrebbe essere possibile a partire dai 62 o dai 63 anni, fino ad un massimo di 72 anni di età. Il meccanismo però penalizzerebbe chi sceglie la pensione prima dei 67 anni.
La nuova proposta per la riforma delle pensioni
Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali e Antonietta Mundo, coordinatrice generale statistico attuariale dell’Inps, hanno elaborato una proposta di riforma organica delle pensioni. Non quindi un’opzione di flessibilità, come le tante proposte in questi anni, da Opzione Donna a Quota 100, ma una nuova legge che sostituisca totalmente la Fornero, che dal 2011 regola il pensionamento in Italia.
L’idea dietro a questa proposta è quella di garantire flessibilità in maniera organica, senza intaccare la sostenibilità che la legge Fornero garantisce. Un obiettivo molto ambizioso, soprattutto nella sua seconda parte, dato che nei prossimi anni raggiungerà l’età pensionistica la generazione più numerosa della storia d’Italia, quella nata negli anni ’60.
Il piano prevederebbe le seguenti modifiche alla legge Fornero:
- Un innalzamento del requisito contributivo, il numero minimo di anni di contributi versati, a 25 anni.
- La creazione di una finestra di 9-10 anni in cui andare in pensione. Si potrebbe quindi smettere di lavorare dai 63 anni, con 25 di contributi, accettando una significativa riduzione dell’assegno pensionistico.
- L’inversione di questo meccanismo dai 67 anni in poi, con un premio per chi invece decide di ritardare la pensione fino ai 72 anni.
L’orientamento del governo
Il piano dovrebbe assicurare inoltre un assegno pari a 1,5 volte quello minimo, in modo da garantire una pensione dignitosa anche in caso di uscita anticipata. Questo meccanismo sostituirebbe non solo la legge Fornero, ma renderebbe superflue molte delle opzioni di flessibilità che negli anni hanno peggiorato la situazione dei conti pubblici. Il cardine di questa riforma rimarrebbe infatti la sostenibilità della spesa previdenziale.
Al momento però il governo sembra volersi orientare nuovamente verso riforme temporanee. Tra pochi mesi comincerà la stagione di elaborazione della legge di bilancio, un momento delicato dato che si tratterà della prima dal ritorno delle norme europee di sostenibilità del debito pubblico. L’Italia potrà spendere molto poco e forse dovrà anche tagliare parte delle uscite per rientrare del debito.
Il governo di Giorgia Meloni valuta al momento una Quota 41, che permetterebbe di andare in pensione al raggiungimento dei 41 anni di contributi a prescindere dall’età, accettando una riduzione del 20% dell’assegno pensionistico. Improbabile invece una altro rinnovo della norma figlia di Quota 100, oggi arrivata a Quota 103 e la cui scadenza è stata rimandata durante la pandemia per evitare uno “scalone”, un salto eccessivo tra chi avrebbe potuto andare in pensione prima e dopo la fine della validità della norma.