Quota 103, domande per la pensione sotto le 7mila: meno della metà di quelle attese in Manovra

I dati dell'Inps su Quota 103 certificano che la misura non è riuscita a fare breccia nell'immaginario degli italiani: ci sono delle opzioni alternative che rendono Quota 103 poco appetibile

Foto di Mauro Di Gregorio

Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

Quota 103 è un flop, come certificano i numeri: le domande arrivate all’Inps per andare in pensione anticipata con la quota voluta dalla Lega sono appena 7.000 contro le 17.000 preventivante a suo tempo in Manovra. Pesano i paletti imposti dal governo, ovvero la stretta prevista per il 2024 che impone il ricalcolo interamente contributivo dell’assegno e la scarsa convenienza nello scegliere Quota 103 rispetto ad altre forme di uscita dal lavoro. Il ricalcolo spinge inevitabilmente gli assegni verso una decurtazione.

Ma non è tutto: si stima che circa il 20% delle domande per andare in pensione anticipata con Quota 103 potrebbero venire respinte. Così scrive l’Ansa dopo aver sentito “fonti vicine al dossier Manovra di bilancio”.

Come funziona Quota 103

La nuova Quota 103 prevede l’uscita dal lavoro con 62 anni di età anagrafica e 41 di contributi versati. Possono accedere a questa forma di pensione tutti i lavoratori del settore privato e pubblico. Restano però escluse alcune categorie: personale militare, delle forze di pubblica sicurezza e della guardia di finanza, vigili del fuoco e liberi professionisti iscritti alle rispettive casse previdenziali.

Il trattamento è riconosciuto entro un importo lordo mensile non superiore a 4 volte il trattamento minimo Inps (2.459,08 €). Questo limite massimo opera fino al raggiungimento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia (attualmente fissato a 67 anni).

Perché non funziona Quota 103

Si tratta di un vantaggio di poco conto se paragonato alla pensione di vecchiaia anticipata che è possibile con 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva (che per le donne diventano 41 anni e 10 mesi) indipendentemente dall’età anagrafica e senza nuovi adeguamenti all’aspettativa di vita, congelati dalla legge 4/2019 fino al 2026. Il vantaggio sulla carta è di 1 anno e 6 mesi, che però nei fatti va a diventare ancora meno conveniente: per andare in pensione con Quota 103 occorre aspettare 7 mesi di finestra mobile, che salgono a 9 nel pubblico impiego. L’uscita slitta così a 43 anni e 1 mese.

Per Quota 103 il governo ha stanziato in legge di Bilancio 149 milioni di euro per il 2024, 835 milioni nel 2025 e 355 nel 2026. Ma sempre l’Ansa parla di uno stanziamento per il 2025 ridotto del 70% rispetto all’anno precedente. Per le casse pubbliche si tratterebbe di una boccata d’ossigeno, ma sarebbe la riprova del fatto che Quota 103 non è riuscita a fare breccia nei cuori degli italiani.

In caso di una carriera stabile e con poche progressioni retributive, Quota 103 porterebbe a un assegno pensionistico non troppo diverso da altre forme di uscita dal lavoro. Sarebbe invece penalizzante in caso di carriere che hanno visto un consistente aumento della retribuzione negli ultimi anni prima dell’uscita.

Vince il bonus Maroni

A rendere meno appetibile la Quota 103 è anche la presenza del bonus Maroni, introdotto dalla Manovra 2023 e confermato l’anno successivo. La misura spetta a chi decide di lasciare il lavoro una volta maturato il diritto al trattamento di pensione ordinaria, che è di 67 anni anagrafici e almeno 20 anni di contributi versati, senza aderire a Quota 103 pur avendone i requisiti. Il bonus Maroni consiste in un esonero contributivo pari al 9,19% che si trasforma di conseguenza in un aumento dello stipendio netto.