Pensione, quanto si perde con il contratto di espansione

Il rischio di uscire dal lavoro 5 anni prima è quello di andare in pensione con un assegno tagliato di un quarto

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Emanuela Galbusera

Giornalista di attualità economica

Giornalista pubblicista, ha maturato una solida esperienza nella produzione di news e approfondimenti relativi al mondo dell’economia e del lavoro e all’attualità, con un occhio vigile su innovazione e sostenibilità.

Introdotto dal decreto Crescita nel 2019 ma solo per aziende di grandi dimensioni (oltre 1.000 lavoratori, e con un anticipo di soli due anni), allargato dal decreto Sostegni bis alle imprese sopra i 100 dipendenti, il contratto di espansione di fatto consente di mandare in pensione su base volontaria i lavoratori fino a 60 mesi prima rispetto ai requisiti ordinariamente richiesti per la pensione di vecchiaia o anticipata.

Questo scivolo pensionistico consente l’uscita anticipata dal lavoro 5 anni prima: ciò significa, vista l’età pensionabile a 67 anni, che con il contratto di espansione si potrà andare in pensione già all’età di 62 anni.

Non tutti possono farlo: questa possibilità è riservata a chi lavora nelle grandi aziende (la soglia è stata abbassata a 100 addetti con l’ultimo decreto Sostegni). Non solo: il rischio è quello di andare in pensione con un assegno tagliato di un quarto e, come spiegano i sindacati, con una perdita economica che può arrivare a 80mila euro.

Scivolo pensionistico di cinque anni con il contratto di espansione

Il contratto di espansione è stato introdotto nel 2019 dal decreto Crescita per le aziende con più di 1000 dipendenti e esteso lo scorso anno a quelle con oltre 250 dipendenti. Si concretizza in un accordo tra azienda e Governo sulla ristrutturazione del personale.

Lo strumento prevede la concessione di cassa integrazione straordinaria e agevolazioni per l’esodo anticipato dei dipendenti più vicini alla pensione, a fronte di un piano di assunzioni di giovani anch’esse agevolate: un modo per favorire la staffetta generazionale. Il Sostegni bis consente l’accesso a questo contratto a tutte le imprese sopra i 100 dipendenti, stanziando più soldi per la cig.

Oltre alla riqualificazione del personale già assunto (“pagata” dallo Stato con la cassa integrazione), il contratto di espansione garantisce anche uno scivolo pensionistico di 60 mesi a dipendenti ormai prossimi alla pensione. Lo scivolo è accessibile sia a chi ha maturato il diritto alla pensione “anticipata”, sia a chi ha almeno 62 anni e non vorrebbe lavorare fino ai 67.

Il decreto è intervenuto anche sullo stanziamento di fondi per abbattere i costi dei licenziamenti per le imprese con più di 1000 lavoratori che attuino piani di ristrutturazione del proprio organico lavorativo usufruendo dei programmi europei. Queste aziende accedono a un beneficio per un valore pari alla NASpI maturata dai dipendenti esodati per un massimo pari a 36 mesi e non 24 (come nel caso delle imprese con almeno 100 lavoratori). In questo caso però dovranno impegnarsi ad assumere un lavoratore ogni 3 pensionati.

Pensione anticipata, quanto si perde nell’assegno

Il dubbio principale su questa misura riguarda la convenienza per i lavoratori che vengono avviati in questo modo alla pensione di vecchiaia: come spiegato dalla Cgil, il prepensionamento comporta una forte perdita economica sia in termini di mancata maturazione del Tfr negli ultimi anni di carriera sia per il mancato versamento dei contributi previdenziali che alleggerisce l’assegno.

Non solo. Secondo i calcoli degli esperti di Progetica, con la pensione anticipata, il dipendente dovrà sacrificare una buona fetta del proprio assegno mensile: abbandonare il lavoro 5 anni prima del previsto (62 anni) con uno stipendio netto da 2 mila euro al mese vuol dire avere un assegno tagliato del 22% da subito e del 10-15% nel prosieguo della vita del contribuente. Una stima di 82 anni di vita media porta a calcolare circa 80mila euro netti di perdite per il pensionato (122mila lordi), almeno secondo Cgil.