In pensione a 64 anni nel 2026, le ipotesi senza Quota 103

Potrebbero arrivare nuove vie d’uscita dal lavoro con Quota 41 e pensione a 64 anni – tutto dipenderà dalle risorse che il Governo investirà

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Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

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L’orizzonte del 2026 si carica di attese per milioni di lavoratori e pensionandi. Il sistema previdenziale italiano, da anni oggetto di interventi parziali e soluzioni provvisorie, si prepara a una possibile revisione con l’arrivo della prossima Legge di Bilancio.

Mentre si discute l’eventuale superamento delle attuali regole di accesso, il Governo studia nuovi meccanismi per uscire in anticipo dal lavoro, come una Quota 41 flessibile o una formula a 64 anni con 25 di contributi.

Un momento chiave sarà la pubblicazione della nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza prevista per settembre. Da quel documento si capirà se esistono margini di flessibilità fiscale per finanziare nuove forme di flessibilità pensionistica o se, al contrario, si dovranno adottare ulteriori misure restrittive.

I sindacati sono già sul piede di guerra, e chiedono garanzie sulla possibilità di pensionamento anticipato e sull’adeguamento degli importi alla crescita dei prezzi. Vediamo tutte le ipotesi in fase di definizione e attese per la nota di aggiornamento al DEF.

Perché Quota 103 potrebbe sparire

Il Governo sta mettendo mano al sistema delle pensioni in vista dell’autunno, avviando consultazioni informali che precederanno il confronto ufficiale con le parti sociali. Al centro della discussione la Quota 103, che permette l’uscita con 64 anni e 41 di contributi.

In pochi l’hanno utilizzata e questo ha convinto l’amministrazione a non prorogarla oltre il 2025. Le condizioni imposte negli ultimi due anni, come c’era da aspettarsi, hanno reso la misura poco appetibile e, nei fatti, poco accessibile.

Le nuove ipotesi: Quota 41 flessibile e combinazione 64+25

Il Governo starebbe valutando anche alcune modifiche temporanee da inserire nella prossima Legge di Bilancio. Tra le ipotesi più concrete troviamo una Quota 41 flessibile, che permetterebbe l’uscita anticipata a chi, entro fine 2025, abbia:

  • almeno 41 anni di contributi;
  • almeno 62 anni di età.

A differenza della Quota 103, il calcolo non sarebbe interamente contributivo, ma prevederebbe una penalizzazione sull’importo. Un’altra ipotesi in discussione è una nuova formula di pensione a 64 anni per chi ha:

  • almeno 25 anni di versamenti;
  • ricalcolo contributivo integrale (anche per chi ha iniziato a lavorare prima del 1996);
  • importo finale pari ad almeno 3,2 volte l’assegno sociale.

Uscita a 64 anni, chi può accedere e a quali condizioni

Un altro fronte su cui si concentra il dibattito riguarda la possibilità di ampliare l’accesso alla pensione a 64 anni anche a chi ha avuto una carriera contributiva mista. Attualmente, questa opportunità è prevista per chi ha iniziato a versare contributi nel 1996 o dopo, e che rientra quindi nel regime interamente contributivo. In questi casi, oltre all’età, sono richiesti:

  • almeno 25 anni di contribuzione (che diventeranno 30 dal 2030);
  • un importo pensionistico pari ad almeno tre volte l’assegno sociale (circa 1.616 euro mensili nel 2025).

Per le lavoratrici:

  • soglia ridotta a 2,8 volte l’assegno sociale con un figlio;
  • ridotta a 2,6 volte con due o più figli;
  • importo massimo erogabile fino ai 67 anni pari a cinque volte l’assegno sociale.

Questa modalità riguarda esclusivamente chi ha aderito a forme di previdenza complementare. L’ipotesi attualmente allo studio mira a:

  • estendere l’accesso anche a chi ha una posizione assicurativa mista (metodo misto);
  • consentire il raggiungimento della soglia richiesta anche con strumenti integrativi, rendendo il percorso meno rigido.

Possibile utilizzo del Tfr per raggiungere l’importo minimo

Per rendere più accessibile l’uscita a 64 anni, si sta anche valutando la possibilità di destinare una quota del Tfr all’Inps.

La proposta permetterebbe di integrare l’importo della pensione con una parte di questo accantonamento, aiutando così i lavoratori a raggiungere la soglia minima richiesta per accedere all’anticipo.

Pensioni e inflazione, no all’adeguamento annuale

Uno dei punti più delicati sul tavolo riguarda il possibile stop, anche solo parziale, all’adeguamento annuale degli assegni al costo della vita. Questo meccanismo serve proprio a evitare che l’inflazione eroda gradualmente il valore reale della pensione.

Ma le difficoltà di bilancio potrebbero spingere il Governo a valutare un congelamento o una revisione temporanea di questo sistema. Le conseguenze ricadrebbero soprattutto su chi ha assegni bassi o medi, che già faticano a tenere il passo con l’aumento dei prezzi. Questa è una prospettiva che preoccupa le principali sigle sindacali, pronte a mobilitarsi contro eventuali tagli mascherati.