Rivalutazione pensioni, servono 5 miliardi per la Manovra: le ipotesi al tavolo

Il governo prepara la Manovra 2026, e servono 5 miliardi destinati alle pensioni, rivalutazione a fasce e ipotesi Tfr. Cosa potrebbe accadere

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Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

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Il ministero dell’Economia sta ricalcolando i conti previdenziali in vista della legge di Bilancio 2026. Secondo i tecnici di via XX Settembre, la rivalutazione automatica degli assegni comporterebbe un esborso di circa 5 miliardi di euro lordi nel 2026.

Il calcolo poggia sull’inflazione acquisita per il 2025, stimata all’1,7%. Con una spesa complessiva per pensioni di circa 355 miliardi, un adeguamento lineare dell’1,7% avrebbe portato il conto oltre i 6 miliardi.

La scelta di applicare percentuali diverse a seconda delle fasce di reddito (100% fino a 4 volte il minimo, 90% fra 4 e 5 volte, 75% oltre) consentirebbe, almeno nella teoria, di contenere l’onere attorno ai 5 miliardi.

Rivalutazione pensioni 2026: chi guadagna di più

La legge di Bilancio 2025 ha introdotto un meccanismo che non distribuisce l’aumento in modo uguale a tutti, ma lo riduce man mano che sale l’importo della pensione. Abbiamo:

  • pensioni fino a quattro volte il trattamento minimo (circa 2.394,44 € al mese) ricevono il 100% della rivalutazione;
  • pensioni tra quattro e cinque volte il minimo (2.394,44–2.993,05 €) ricevono solo il 90%;
  • pensioni sopra le cinque volte il minimo hanno diritto al 75%.

Questo significa che la rivalutazione piena riguarda soprattutto gli assegni più bassi. Non a caso quasi l’80% dei pensionati, che prende meno di 2.500 € lordi al mese, beneficia della percentuale massima. In totale questa fascia assorbe oltre metà della spesa previdenziale (56,7%).

Il trattamento minimo per il 2025 è fissato a 603,40 € al mese (7.844,20 € l’anno) ed è stato da poco alzato a 616,67 € con un incremento straordinario del 2,2%.

Pensioni e manovra 2026: le ipotesi allo studio

Cinque miliardi non sono di facile reperimento. E così sul tavolo del governo ci sono diverse opzioni. Si valuta innanzitutto l’uso del Tfr come leva pensionistica: il sottosegretario del Lavoro Claudio Durigon (Lega) propone di convertirlo in rendita integrativa, permettendo così di andare in pensione già a 64 anni.

Un altro tema chiave è il blocco dell’adeguamento all’aspettativa di vita previsto dalla legge Fornero dal 2027 (incremento automatico di 3 mesi). L’ipotesi di congelare questo aumento costerebbe, secondo i tecnici, circa 3 miliardi di euro a regime.

Per reperire coperture, il governo conta inoltre sul calo dei rendimenti dei titoli di Stato: stime interne indicano un “tesoretto” di quasi 13 miliardi in due anni derivanti dai risparmi sugli interessi passivi.

Il governo sta considerando anche altri strumenti (ad esempio, il rinvio o lo sblocco di Quota 103) per anticipare l’uscita dal lavoro. Il governo punta a trovare soldi senza gonfiare troppo il deficit. L’idea è che i risparmi sugli interessi del debito possano dare ossigeno e alleggerire il conto delle nuove misure.

Pensioni e politica: le richieste dei partiti di maggioranza

Parallelamente ai conti, la politica gioca la sua partita. Forza Italia, con Antonio Tajani alla guida, punta sul taglio della seconda aliquota Irpef: dal 35% al 33% per chi guadagna fino a 60.000 euro. Non basta: il partito vuole alleggerire premi di produzione, straordinari, festivi e tredicesime, un aiuto diretto soprattutto per chi ha buste paga leggere.

Per le imprese, FI rilancia l’idea di un’Ires “premiale”, sostenuta da Confindustria, e sul fronte banche preferisce continuare il dialogo con il settore, lasciando da parte nuove tasse.

I centristi di Noi Moderati alzano l’asticella: chiedono l’esenzione totale dall’Irpef nei primi quattro anni di lavoro, più detrazioni per le spese scolastiche, maggiori fondi alle scuole paritarie e l’abolizione del tetto al 5 per mille per il volontariato.