Potrebbero di nuovo aumentare i prezzi di benzina e diesel

Ritorno di fiamma per il greggio: il WTI e il Brent superano la soglia critica. Rischio concreto di un ritorno della benzina a 2 euro al litro per i consumatori italiani. Le conseguenze su inflazione e trasporti

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Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

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Il prezzo del petrolio torna a salire e, con esso, la preoccupazione che anche i prezzi di benzina e diesel possano aumentare nuovamente. Dopo mesi di relativa stabilità, il mercato energetico internazionale sembra di nuovo in fermento. Secondo i dati diffusi il 6 ottobre 2025, il greggio WTI è scambiato a 61,65 dollari al barile, in aumento dell’1,26%, mentre il Brent a 65,32 dollari, con una crescita dell’1,22%.

Questi numeri, presi singolarmente, potrebbero sembrare modesti. Ma nel delicato equilibrio tra materie prime, tassazione e costi di trasporto, anche un piccolo rialzo può innescare una catena di rincari.

Cosa c’è dietro l’aumento dei prezzi di benzina e diesel

Negli ultimi mesi il prezzo del petrolio era rimasto su livelli relativamente contenuti, complice una produzione stabile e la domanda mondiale leggermente più debole, in particolare in Europa e in Asia. Tuttavia, l’attuale aumento segna una potenziale inversione di tendenza. L’incremento del WTI e del Brent riflette, secondo diversi analisti, una rinnovata tensione sul lato dell’offerta, dovuta sia a decisioni dei Paesi OPEC+ sia a fattori geopolitici che tornano a pesare sulle rotte energetiche.

Come deciso, il cartello che controlla oltre il 40% della produzione mondiale di petrolio, ha stabilito di aumentarla a 137.000 barili al giorno, meno rispetto alle aspettative. Inoltre, le tensioni in Medio Oriente insieme alla riduzione temporanea dell’export di alcuni Paesi produttori, hanno sicuramente generato tensioni nei mercati internazionali. E generalmente quando una cosa del genere accade i prezzi tendono a risalire. E con essi, inevitabilmente, salgono i costi dei carburanti.

Secondo le ultime rilevazioni del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, il prezzo medio nazionale della benzina servita si aggira oggi attorno a 1,92 euro al litro, mentre il diesel è poco sotto 1,85 euro. Se il trend del petrolio dovesse consolidarsi, è plausibile attendersi un ritorno verso quota 2 euro, soglia psicologica che negli ultimi anni è diventata sinonimo di allarme per automobilisti e trasportatori.

Le conseguenze sull’economia reale

Il rincaro del petrolio non si limita a pesare sul portafoglio di chi fa il pieno. Si tratta di una variabile che attraversa l’intera catena economica. Un aumento del costo dei carburanti comporta spese maggiori per il trasporto delle merci, e di conseguenza un incremento dei prezzi al consumo. È il classico effetto domino dell’inflazione energetica, per cui più caro è il carburante, più costoso è tutto il resto (dal pane al trasporto pubblico, dalla logistica ai viaggi).

Inoltre, se consideriamo che l’Italia importa oltre il 90% del petrolio che utilizza, l’impatto per il Paese potrebbe essere particolarmente forte. Le famiglie, già colpite da bollette elevate e prezzi alimentari in aumento, si troverebbero di fronte a un’ulteriore erosione del potere d’acquisto. Le imprese invece, soprattutto quelle dei settori autotrasporto, agricoltura e pesca, vedrebbero crescere i costi operativi. E anche la produzione industriale rischierebbe di rallentare, se i rincari dovessero prolungarsi nel tempo.

A complicare ulteriormente lo scenario, c’è il nodo storico delle accise sui carburanti, tra le più alte d’Europa.
In Italia, più della metà del prezzo finale della benzina è costituita da imposte: circa 1 euro ogni litro è tassazione. Questo significa che anche quando il petrolio scende, i benefici per i consumatori risultano spesso limitati, perché la parte variabile del prezzo (il costo industriale) incide solo in parte.