Dalla rinomata Tonda Gentile delle Langhe alle produzioni del Lazio e della Campania, le nocciole italiane rappresentano una filiera strategica che sostiene migliaia di aziende agricole e garantisce occupazione nel nostro Paese, alimentando un indotto che va dall’industria dolciaria all’export di eccellenza. Tuttavia, il 2025 segna un anno nero per la produzione italiana, perché i i raccolti sono crollati con perdite che oscillano tra il 30% e il 60% a seconda delle aree, mentre in alcuni appezzamenti si sfiora addirittura il 100% delle rese.
Produzione nocciole italiane a rischio: i motivi della crisi
La fotografia scattata dal portale Nocciolare.it (portale per tutti gli operatori della filiera del Nocciolo) restituisce purtroppo un’immagine impietosa dei principali distretti produttivi (Piemonte, Lazio e Campania). Il settore si trova stretto nella morsa di più fattori concomitanti: i cambiamenti climatici, con il loro corredo di eventi estremi e squilibri termici, gli stress idrici dovuti a periodi prolungati di siccità alternati a precipitazioni violente, le malattie delle piante e, soprattutto, l’invasione delle cimici asiatiche, che compromettono non solo la quantità ma anche la qualità delle produzioni.
Le regioni messe peggio
Tra le tre grandi regioni produttrici, è il Piemonte a vivere la situazione più drammatica. La celebre Tonda Gentile Trilobata, base insostituibile per la filiera dolciaria di alta qualità, rischia di diventare un prodotto sempre più raro e costoso. Ormai da tre stagioni consecutive si assiste al fenomeno della cascola precoce, ovvero la caduta anomala dei frutti molto prima della maturazione. Le piogge insistenti delle ultime settimane hanno ulteriormente complicato la raccolta, rendendo difficile salvare quel poco prodotto rimasto sugli alberi.
Gli esperti sottolineano come, in prospettiva, le Tecniche di Evoluzione Assistita (TEA) potranno giocare un ruolo chiave per selezionare varietà più resistenti agli stress ambientali. Ma questa è una prospettiva di medio-lungo periodo. Intanto, gli agricoltori devono affrontare annate disastrose, con costi di produzione che superano di gran lunga i ricavi. Per una regione che ha costruito attorno alla nocciola un marchio di identità e di valore aggiunto, la prospettiva è preoccupante.
Il Lazio, seconda regione italiana per estensione delle coltivazioni di nocciole, non se la passa meglio. Le stime iniziali parlavano di una produzione compresa tra le 35mila e le 40mila tonnellate, ma la realtà è ben diversa, poiché la regione ha perso circa il 40% del potenziale produttivo.
A reggere l’urto sono solo gli impianti più giovani, che hanno risposto meglio agli stress climatici. Ma gli impianti più vecchi hanno subito perdite che arrivano fino al 60%, e in alcuni casi al 100%. La situazione è talmente critica che diversi produttori hanno scelto di non procedere nemmeno alla raccolta, per evitare costi ulteriori in presenza di rese irrisorie.
In Campania, la situazione non è meno critica. Le perdite medie si aggirano tra il 30% e il 40%, confermando una tendenza negativa già osservata nel 2023. Ma qui il problema più rilevante è rappresentato dalle cimici asiatiche, che compromettono la sanità del prodotto e quindi la sua commerciabilità.
La qualità delle nocciole campane è oggi estremamente disomogenea, dipende non solo dalla zona, ma addirittura dalla singola azienda agricola. Alcuni produttori riescono a garantire standard accettabili, mentre altri si trovano con raccolti praticamente inutilizzabili. Un fenomeno che mina la fiducia dei compratori e rende difficile mantenere contratti di fornitura stabili con l’industria dolciaria.
Una crisi che parla di clima e globalizzazione
La crisi della nocciola italiana non è un fatto isolato, ma un caso emblematico di come clima e globalizzazione stiano cambiando l’agricoltura. L’arrivo e la diffusione delle cimici asiatiche non sarebbero stati possibili senza gli scambi internazionali che hanno favorito l’ingresso di specie aliene. Allo stesso tempo, i cambiamenti climatici stanno stravolgendo i tradizionali equilibri produttivi, rendendo sempre più difficile affidarsi a modelli agricoli consolidati.
In questo scenario, pesa anche l’incognita del contesto internazionale. La Turchia, primo produttore mondiale di nocciole, non ha ancora fornito dati certi sul raccolto 2025. Eppure sarà proprio l’offerta turca a determinare l’andamento dei prezzi mondiali. Se la produzione turca sarà abbondante, il prezzo internazionale scenderà, penalizzando ulteriormente i produttori italiani già in difficoltà. Se invece anche la Turchia dovesse registrare cali significativi, i prezzi saliranno, ma a beneficiarne non saranno automaticamente le aziende italiane, che non hanno abbastanza prodotto da immettere sul mercato.