L’Italia è divisa in due, tra il Sud che arranca e che sempre più spesso vede i suoi giovani partire per andare a cercare fortuna e lavoro altrove e il Nord che accoglie questi giovani e che, economicamente, si fa motore del Paese. Una differenza che nel 2023 si sente ancor più marcata, con gli stipendi al Nord che sono più alti e allettanti rispetto alle Regioni del Meridione e che però, a causa delle condizioni economiche in cui volge il Paese, non avrebbero lo stesso peso. L’inflazione, infatti, sta facendo via via calare il potere d’acquisto degli italiani.
Ecco allora che di stipendi e di differenza, in base al territorio d’appartenenza, è tornata a parlare la Lega, che con un disegno di legge ha proposto di differenziare gli stipendi in Italia in base al costo della vita. Un’idea, portata avanti dal senatore Romeo, che ha provocato non poche polemiche.
Il ddl Lega sugli stipendi
A presentare la proposta è stato Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega a Palazzo Madama, che ha avanzato l’idea di un disegno di legge “per dare la possibilità alla contrattazione di secondo livello, territoriale e aziendale, di utilizzare il parametro del costo della vita, oltre a quelli già previsti per legge, nell’attribuzione dei trattamenti economici accessori ai dipendenti pubblici e privati”.
La proposta del senatore del Carroccio parte dal presupposto che il “principio della parità retributiva non viene meno”, in quanto a essere ritoccati sarebbero “trattamenti economici accessori, che possono essere così riconosciuti ai dipendenti valutando anche il diverso impatto che l’incremento dei costi dei beni essenziali ha sui cittadini, così come si evince dagli indici Istat”. Ma Romeo, presentato il ddl, ha aggiunto: “Si pensi alle grandi città dove l’inflazione ha degli effetti differenti rispetto ad altre zone del nostro Paese”.
In poche parole, quello proposto da Romeo e dalla Lega è un disegno di legge che ha l’obiettivo di introdurre un nuovo elemento, ovvero l’attribuzione ai lavoratori una somma differenziata in base al luogo in cui ha sede l’azienda, prevedendo per i datori di lavoro privati un credito d’imposta per coprire le spese sostenute. Un’idea che, tra l’altro, era venuta anche al ministro Valditara in ambito scolastico.
Scontro sull’idea della Lega
Un disegno di legge che, se passasse, farebbe sentire ancor di più la differenza tra Nord e Sud. E di differenza territoriale non ne vuole sentir parlare la Cgil, con la segretaria confederale Francesca Re David che si è opposta alla proposta della Lega.
“Siamo alle gabbie salariali e di nuovo di fronte ad un attacco alla funzione solidale del contratto nazionale e al sindacato in quanto rappresentanza collettiva dei lavoratori. Il Sud – afferma – è già discriminato dai livelli di disoccupazione, dalla deindustrializzazione, dalle debolezza di reti e infrastrutture, da sanità e servizi che subiranno ulteriori tagli. Questo ddl è una ulteriore motivazione per gli scioperi, lo ostacoleremo con tutti gli strumenti a nostra disposizione”.
Si oppone anche il Pd, col deputato Marco Sarracino che ha denunciato che dopo l’autonomia differenziata la Lega starebbe mettendo in atto una manovra volta a “spaccare l’Italia e aumentarne i divari”. Il Pd, ha sottolineato il deputato, si opporrà come già annunciato dalla Cgil perché “una proposta del genere mette realmente in discussione il principio di uguaglianza e la coesione del nostro Paese”. Uguaglianza che, tra l’altro, viene meno quando si confrontano gli stipendi tra donne e uomini, con un gap segnato.