Il mondo del lavoro continua a cambiare rapidamente e a massima velocità soprattutto dopo il Covid, con l’affermazione dello smart working e la potenziale introduzione della settimana lavorativa corta. Entrambe le novità sono viste come strumenti per migliorare il benessere dei lavoratori e anche l’ambiente. Un’indagine condotta NielsenIQ per Pulsee luce & gas, brand digitale di Axpo Italia, ha esplorato le opinioni degli italiani, che si dicono, ovviamente, favorevoli alla settimana corta. D’altronde, a parità di salario, è praticamente impossibile andare contro una proposta del genere e la settimana corta in particolare è vista come un passo in avanti per migliorare la qualità di vita dei lavoratori. La regola è sempre la stessa: un aumento del benessere dei dipendenti coincide con un aumento della produttività.
Ci sono diverse proposte al vaglio del governo per quanto riguarda la settimana corta, mentre alcune aziende già la applicano, e pare anche che funzioni bene, con i dipendenti sempre più motivati.
Settimana lavorativa breve: benefici e compromessi
La settimana lavorativa corta è desiderata dall’80% degli intervistati. Circa il 48% ha figli e la maggior parte li gestisce autonomamente o con l’aiuto dei nonni (66%), mentre l’11% si affida a baby-sitter, con una spesa media di 115 euro al mese. Tre su quattro ritengono che la settimana corta possa offrire benefici nella gestione dei figli.
Per la cura di familiari anziani o con disabilità, il 35% degli italiani se ne occupa personalmente, mentre il 65% ricorre a un aiuto esterno, con una spesa media di 540 euro al mese. L’85% dei caregiver ritiene che la settimana corta permetterebbe di assistere i propri cari con maggiore autonomia. Le aziende offrono principalmente flessibilità (37%), ore di permesso (22%) e supporto psicologico (14%).
Solo il 13% degli intervistati ricorre a professionisti per la cura domestica, spendendo in media 107 euro al mese. Anche qui, l’80% percepisce la settimana corta come un valido aiuto. Un giorno libero in più consentirebbe di dedicarsi maggiormente al benessere personale, attività fisica (62%), gite e viaggi (54%).
Quattro intervistati su cinque sono favorevoli alla settimana corta, con il 50% molto interessato. I compromessi più accettati per ottenere questo beneficio includono maggiore flessibilità oraria (52%), aumento della produttività (47%) e minor numero di pause (45%). Solo il 10% accetterebbe una leggera riduzione dello stipendio.
La settimana lavorativa corta è vista positivamente per migliorare l’equilibrio tra lavoro e vita privata (72%), la soddisfazione personale (63%) e il tempo da dedicare a famiglia e amici. Tra le criticità figurano l’aumento del carico di lavoro nei giorni lavorativi (51%), maggior pressione e stress (37%) e problemi di coordinamento (27%).
I vantaggi dello smart working
Secondo il rapporto, inoltre, un terzo degli intervistati lavora in modalità remota o ibrida. Lo smart working è praticato per il 37% delle ore lavorative totali, mediamente uno o due giorni a settimana. Il 49% del campione preferisce il lavoro agile, mentre il 42% predilige l’ufficio.
Tra i vantaggi del lavoro da casa spiccano la riduzione dei tempi di spostamento (77%), mediamente di 41 minuti, e dei costi (72%), pari a circa 124 euro al mese. Altri benefici includono una migliore gestione dell’equilibrio tra vita professionale e privata (64%). Tuttavia, emergono anche rischi come l’isolamento sociale (59%), soprattutto nel Nord-Ovest, la sedentarietà (58%) e la difficoltà nel separare lavoro e vita privata (44%).
La settimana lavorativa corta e lo smart working emergono come strumenti efficaci per migliorare la qualità della vita dei lavoratori italiani, con benefici per la gestione familiare, la cura degli anziani e la salute personale.
Le proposte legislative della settimana corta in Italia
Seguendo la scia degli altri paesi, a cui solo la Grecia sembra al momento opporsi con la settimana lunga. Lo scorso aprile, Alleanza Verdi e Sinistra aveva presentato una proposta innovativa, con Nicola Fratoianni come primo firmatario, che prevedeva la riduzione dell’orario settimanale di lavoro a 34 ore senza riduzione della retribuzione. La proposta includeva l’istituzione di un Fondo di incentivazione per le aziende che riducono l’orario di almeno il 10%. Questa misura mira a promuovere un incremento dell’occupazione in vari settori produttivi, mantenendo invariati i salari.
Giuseppe Conte, primo firmatario per il Movimento 5 Stelle, ha proposto invece una settimana lavorativa di 32 ore. Il M5s suggerisce che sindacati e datori di lavoro possano stipulare contratti specifici per ridurre l’orario mantenendo la stessa retribuzione. Per incentivare le imprese, la proposta includeva un esonero contributivo previdenziale e assicurativo fino a 8mila euro annui per tre anni, preservando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche.
Il Partito Democratico, con Arturo Scotto e Elly Schlein tra i firmatari, aveva proposto la definizione di nuovi modelli organizzativi e produttivi che includessero la riduzione dell’orario lavorativo, anche attraverso la settimana corta di quattro giorni. Gli incentivi previsti dal testo dem prevedevano un esonero contributivo del 30%, escludendo quelli destinati all’Inail, per i contratti collettivi tra imprese e organizzazioni sindacali rappresentative a livello nazionale. L’esonero sale al 40% per i lavori usuranti e gravosi.
La sperimentazione della settimana lavorativa corta: successi tangibili
I dati dell’Ocse rivelano che, nel 2022, il 7% dei lavoratori nell’Unione Europea ha lavorato più di 49 ore a settimana, con l’Italia che registra una percentuale del 9,4%. In questo contesto, la settimana lavorativa di quattro giorni emerge come una soluzione innovativa per migliorare la soddisfazione dei dipendenti, l’efficienza delle aziende e la competitività.
Nel nostro paese, diverse aziende stanno già sperimentando questa modalità di lavoro. Tra queste figurano Intesa Sanpaolo, Sace, Lamborghini e Luxottica. L’obiettivo è permettere ai dipendenti di lavorare meno giorni senza riduzione salariale. Di recente, il Parlamento italiano ha anche avviato i lavori su un disegno di legge volto a incentivare la contrattazione collettiva e aziendale per ridurre l’orario lavorativo mantenendo inalterata la retribuzione e la produttività.
Un caso di studio proviene dal Regno Unito, dove l’Università di Cambridge ha analizzato l’impatto della settimana lavorativa corta. L’indagine, condotta su 61 aziende e 2900 lavoratori, ha evidenziato risultati positivi:
- Circa il 71% dei dipendenti ha riportato una riduzione del burnout.
- Il 39% ha dichiarato di sentirsi meno stressato rispetto all’inizio dello studio.
- I giorni di malattia sono diminuiti del 65%.
- Le dimissioni dei dipendenti sono calate del 57%.
- I ricavi delle aziende partecipanti sono rimasti stabili, con un aumento medio dell’1,4% per le 23 organizzazioni che hanno fornito dati.
Sebbene la riduzione dell’orario di lavoro possa aumentare l’occupazione, esistono anche alcune problematiche. I lavoratori potrebbero affrontare maggiore ansia e stress dovuti alla necessità di completare le stesse mansioni in meno tempo. Inoltre, mantenere lo stesso stipendio con meno ore lavorative incrementa il costo orario del lavoro.
Questo potrebbe comportare un aumento degli oneri per le imprese, che dovrebbero assumere più dipendenti per compensare le ore ridotte. Tale dinamica è particolarmente costosa per le piccole imprese, che devono affrontare costi fissi legati al reclutamento e alla formazione di nuovi dipendenti.