In caso di malattia del dipendente, il superamento del periodo di comporto offre al datore di lavoro la possibilità di procedere al licenziamento. È quanto stabilisce il secondo comma dell’articolo 2110 del codice civile. Ma se il superamento del suddetto limite è da imputare a un errore aziendale nella compilazione dei dati allegati alle buste paga, allora il licenziamento sarà da considerarsi illegittimo e il dipendente allontanato avrà il diritto di essere reintegrato nei ranghi aziendali. È quanto stabilisce l’ordinanza n. 22455/2024 della Corte di Cassazione.
Quanto dura il periodo di comporto
Per “periodo di comporto” si intende l’arco temporale in cui il lavoratore in malattia può assentarsi dalle sue mansioni conservando il posto di lavoro e senza perdere lo stipendio. Il periodo di comporto è stabilito dalla legge, dai contratti collettivi e, in via residuale, dagli usi. Di norma è la contrattazione collettiva a fissare la durata del periodo di comporto per i lavoratori: la legge lo fa unicamente per gli impiegati, fissandola a 3 mesi se l’anzianità di servizio è inferiore a 10 anni, e a 6 mesi se invece tale anzianità è superiore a 10 anni. Di norma, i contratti collettivi prevedono un periodo di comporto che aumenta all’aumentare dell’anzianità di servizio e al crescere della qualifica. Terminato il periodo di comporto, solitamente, i contratti collettivi consentono al lavoratore di richiedere un periodo di aspettativa non retribuito.
Il caso
Il caso trattato dalla Corte di Cassazione riguarda il licenziamento di un dipendente che aveva superato il periodo di comporto per malattia perché nelle buste paga che gli erano state consegnate mensilmente dall’azienda veniva riportato un numero di assenze sbagliato.
L’iter giudiziario
Il lavoratore si è rivolto al giudice del lavoro lamentando di essere stato indotto in errore dall’azienda, ma la sua istanza è stata rigettata. La sentenza è stata poi ribaltata dalla corte d’appello. Il giudice di secondo grado ha ritenuto illegittimo il licenziamento, ma ha puntualizzato che il lavoratore avrebbe potuto comunque verificare i giorni di assenza accumulati per malattia accedendo all’apposito servizio online predisposto dall’Inps. Malgrado ciò, il comportamento posto in essere dal datore di lavoro, avendo fornito indicazioni fuorvianti al dipendente, non può essere considerato conforme a buona fede e correttezza. Il giudice d’appello ha così disposto il reintegro del dipendente, contro il quale l’azienda si è opposta in Cassazione. Anche la Cassazione, con l’ordinanza n. 22455/2024, ha stabilito il diritto alla reintegra.
È vero che la contrattazione collettiva non prevede l’obbligo per il datore di lavoro di informare il dipendente dell’imminente superamento del limite di comporto per malattia. Ma per i giudici tale adempimento diventa obbligatorio per correggere le indicazioni erronee e fuorvianti che lo stesso datore di lavoro ha fornito al lavoratore nei prospetti delle presenze allegati alle buste paga.