Talvolta incidenti e gravi problemi di salute possono pesare enormemente su un rapporto di lavoro, tanto da giustificare la scelta aziendale del licenziamento. Attenzione però, come ha sottolineato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 24994/2025, il datore è tenuto a dimostrare di aver fatto tutto il possibile per salvare il contratto e lo stipendio del lavoratore con sopravvenuta disabilità. Altrimenti in tribunale il dipendente può contestare con successo la decisione aziendale.
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Inidoneità alle mansioni per motivi di salute e licenziamento
Una dipendente aveva impugnato in tribunale il licenziamento per sopravvenuta inidoneità alle mansioni, intimato dalla società datrice qualche anno fa. La donna, assunta nel 2008 per svolgere le attività di barista, era stata costretta a restare assente per più un anno a causa di un incidente stradale.
Al termine dell’apposita valutazione, il medico competente l’aveva giudicata in grado di lavorare ma solo con forti limitazioni: divieto di movimentare carichi, di restare a lungo in piedi e di servire in sala, privilegiando invece una postazione seduta.
In seguito, la società datrice aveva optato per il recesso, sostenendo che nessuna delle mansioni disponibili sul luogo di lavoro fosse compatibile con le prescrizioni mediche.
Seguì una disputa giudiziaria ma, sia in primo che in secondo grado, la donna non riuscì a far dichiarare illegittimo il recesso dell’azienda.
La magistratura, ricostruendo fatti e circostanze concrete, stabilì che la specifica organizzazione dell’impresa (che gestisce un albergo con bar, pizzeria e ristorante) non permetteva di trovare mansioni compatibili con il suo stato di salute.
Come poi indicato anche nella sentenza della Cassazione, che richiama l’anteriore percorso giudiziario, in tribunale fu accertato che la dipendente non possedeva le competenze per svolgere funzioni amministrative, di cassa o reception.
Le altre attività disponibili (cucina, sala, pulizie, bar) richiedevano necessariamente sforzi fisici incompatibili con la sua disabilità sopravvenuta.
Non vi erano, dunque, soluzioni organizzative o adattamenti ragionevoli che potessero consentire la sua permanenza e il datore era giustificato nel licenziarla.
Seguì il ricorso in Cassazione della donna, la quale sosteneva che l’azienda non avesse fatto abbastanza per ricollocarla in altre mansioni compatibili e salvare contratto e fonte di reddito.
Le condizioni da rispettare prima di poter licenziare
Decidendo sulla disputa, i giudici di piazza Cavour hanno colto l’occasione per indicare che cosa si deve fare se le condizioni di salute di un dipendente peggiorano fino alla disabilità.
In particolare, prima di licenziare chi è diventato fisicamente inidoneo alle mansioni contrattuali, il datore deve:
- verificare l’impossibilità di adibirlo a mansioni equivalenti o inferiori;
- adottare tutti i cambiamenti nell’organizzazione aziendale o nella distribuzione delle mansioni (gli accomodamenti ragionevoli di cui all’art. 3 comma terzo bis del d. lgs. n. 216/2003), al fine di consentirgli di restare a lavorare, compatibilmente con il suo mutato stato di salute;
- se non li trova, deve poter dimostrare in tribunale l’impossibilità di ricollocarlo in mansioni compatibili e utili.
L’azienda può legittimamente procedere al licenziamento di un lavoratore disabile soltanto se dimostra di aver fatto tutto il possibile, con impegno e diligenza, per individuare una soluzione organizzativa che eviti questa dolorosa decisione.
Deve valutare ogni circostanza rilevante del caso concreto e provare l’impossibilità di adottare alternative che, pur ipotizzabili in teoria, risultino irragionevoli. Oppure sproporzionate rispetto alle dimensioni, alle risorse economiche e alla struttura organizzativa dell’impresa.
La decisione della Cassazione: chi aveva ragione
Bocciando il ricorso della donna, la Suprema Corte ha così aderito alle conclusioni del giudice d’appello, che aveva già analizzato l’incompatibilità tra le prescrizioni sanitarie e le possibili mansioni in azienda.
Ha rivelato come l’assegnazione alla cassa avrebbe comunque portato a una inopportuna riorganizzazione aziendale e un possibile peggioramento del servizio alla clientela dell’attività di ristorazione.
Ecco perché la linea difensiva della lavoratrice, fondata su una diversa interpretazione delle prescrizioni mediche, non ha trovato accoglimento in Cassazione.
Vero è infatti che la Suprema Corte non può rivedere i fatti o le prove già esaminate nei precedenti gradi di giudizio, ma può solo verificare se la corte d’appello abbia applicato correttamente le norme di legge e abbia motivato la decisione in modo logico e coerente.
In questo caso la verifica ha dato esito positivo, perché il giudice di secondo grado ha bilanciato correttamente gli opposti interessi dell’azienda e della dipendente.
Perciò, ritenendo che la società abbia provato e documentato quanto richiesto per giustificare il licenziamento, la Cassazione ne ha confermato la validità.
Che cosa cambia per i lavoratori con disabilità
La sentenza 24994/2025 della Cassazione offre vari spunti interessanti.
Come visto, l’azienda può mandare via un dipendente divenuto inidoneo a causa di disabilità fisiche, mentali o psichiche.
Deve però dimostrare di aver tentato senza successo di adottare tutte le modifiche e gli accorgimenti ragionevoli a mantenere utile la prestazione di lavoro.
Quest’obbligo non può spingersi fino a imporre un sacrificio economico o organizzativo eccessivo, ossia oltre i limiti della tollerabilità.
La valutazione deve essere fatta caso per caso, considerando dimensioni del luogo di lavoro, capacità finanziarie e complessità della sua organizzazione.
Va da sé che tanto è più grande l’azienda, tanto maggiori saranno le possibilità di una ricollocazione tramite accomodamenti ragionevoli.
Un esempio di licenziamento lecito
Pensiamo ad esempio all’operaio addetto alla catena di montaggio, che diventa parzialmente inidoneo e non può più sollevare pesi.
Ebbene, in una multinazionale con centinaia di reparti, l’azienda potrà valutare di ricollocarlo in mansioni di controllo qualità o di magazzino informatizzato, evitandone il licenziamento.
Un esempio di un’azienda in torto
Ben diversa è la situazione di un falegname che lavora da anni in una bottega artigiana e subisce un infortunio che non gli consente più di sollevare carichi pesanti, né usare macchinari rumorosi a causa di una menomazione all’udito.
Se il luogo è piccolo e tutte le mansioni implicano sia il sollevamento del legno che l’uso di macchinari, non ci sono attività alternative compatibili.
In questo caso, il datore si trova costretto a licenziarlo per motivi economico-organizzativi.