Le nuove professioni nell’era dell’AI: il rapporto di Airi

Secondo il rapporto sull'AI presentato giovedì a Roma. il settore a registrare l’impatto maggiore sarà quello che richiede competenze intellettuali e comunicative

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Andrea Celesti

Giornalista economico-sportivo

Giornalista esperto di economia e sport. Laureato in Media, comunicazione digitale e giornalismo, scrive per diverse testate online e cartacee

Pubblicato: 16 Novembre 2024 20:40

Lo sviluppo dell’AI è destinato a cambiare il mondo del lavoro, con una richiesta sempre maggiore di competenze che porterà all’emergere di nuove figure professionali.

Ma quali? L’ultimo rapporto dell’Associazione Italiana per la Ricerca Industriale (Airi), presentato giovedì a Roma nell’ambito della Giornata per l’Innovazione Industriale, prova a tracciare il quadro.

“L’impatto della scienza e della tecnologia nella nostra vita è sempre più complesso, ma la ricerca e l’innovazione sono un motore di sviluppo per tutto il Paese”, ha dichiarato Anna Maria Bernini, ministro dell’Università e della Ricerca.

Le nuove competenze e gli investimenti sull’AI

L’AI sta dilagando in ogni aspetto della nostra vita, compreso il mondo del lavoro. Una trasformazione profonda che ridefinirà completamente il modo in cui lavoriamo, aprendo le porte a un futuro dove le competenze umane e quelle artificiali si intrecciano in modi sempre più complessi.

L’Associazione Italiana per la Ricerca Industriale (Airi) ha presentato giovedì a Roma il suo ultimo rapporto che definisce le nuove competenze e le figure professionali del futuro. Contrariamente a quanto si possa pensare, il settore più trasformato dall’intelligenza artificiale non sarà quello dei lavori manuali, già in parte automatizzati, bensì quello che richiede un elevato livello di competenze intellettuali e comunicative, tradizionalmente considerato più sicuro.

Il divario digitale in Italia è evidente: oltre la metà della popolazione non ha le competenze necessarie per sfruttare le potenzialità dell’intelligenza artificiale. Per colmare questo gap, il governo ha lanciato la Strategia Italiana per l’Intelligenza Artificiale 2024-26, che punta a stanziare 4 miliardi di euro per incentivare l’innovazione in questo settore.

“Servono agevolazioni e rafforzamento delle competenze per creare una nuova forza lavoro capace di trainare la trasformazione digitale”, ha evidenziato Diana Bracco, presidente e ad del Gruppo Bracco. “La ricerca e l’innovazione si fanno con risorse economiche adeguate, con tempi sicuri ed efficienza nella gestione”.

Dall’IA ethicist al consulente legal tech

Secondo il rapporto, il settore della ricerca e dell’innovazione sarà profondamente trasformato dall’emergere di nuove figure professionali come l’IA ethicist, che si occuperà di valutare le implicazioni etiche e sociali dello sviluppo dell’AI, e il manager di infrastrutture IT, che dovrà garantire l’efficienza e la sicurezza delle infrastrutture tecnologiche su cui si basano le applicazioni di IA.

Oltre alle figure già menzionate, emergeranno nuovi mestieri come l’IA developer, ovvero lo sviluppatore di algoritmi di intelligenza artificiale, il consulente legal tech, specializzato nel diritto delle nuove tecnologie, e il privacy engineer, esperto nella protezione dei dati.

Nonostante le start-up italiane legate all’AI stiano attraversando una fase di rapida evoluzione, il nostro Paese resta il fanalino di coda sia per numero di aziende di questo tipo (0,68 start-up per milione di abitanti, a fronte di valori di 1,99 e 2,05 rispettivamente per Germania e Francia), sia per quanto riguarda i laureati nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, le cosiddette Ict. Due fattori alla base della scarsa implementazione dell’IA nelle imprese e nelle amministrazioni pubbliche.

Ma come migliorare l’offerta formativa? Come evidenzia il rapporto, occorre investire nella formazione universitaria, promuovere la cultura dell’aggiornamento continuo nelle aziende e mettere in campo un piano straordinario di assunzioni nel settore della ricerca e dell’innovazione. Senza dimenticare l’importanza nel trovare il giusto equilibrio tra open source e closed source, per stimolare l’innovazione e garantire la competitività del nostro Paese a livello internazionale.