Il potere nel cloud: l’Italia tra sovranità digitale, capitali e la nuova geografia dell’AI

Un mercato da 8,13 miliardi entro il 2025 ridisegna la competizione globale del Paese — tra investimenti miliardari, regole europee e la sfida di un capitalismo dell’infrastruttura che fonde cloud, AI ed energia.

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Donatella Maisto

Esperta in digital trasformation e tecnologie emergenti

Dopo 20 anni nel legal e hr, si occupa di informazione, ricerca e sviluppo. Esperta in digital transformation, tecnologie emergenti e standard internazionali per la sostenibilità, segue l’Innovation Hub della Camera di Commercio italiana per la Svizzera. MIT Alumni.

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C’è una rivoluzione silenziosa che sta ridisegnando il sistema produttivo italiano. Non ha fabbriche né catene di montaggio, ma data center, algoritmi e politiche industriali di nuova generazione. È la convergenza tra cloud computing e intelligenza artificiale, una trasformazione che sposta la ricchezza dal possesso delle risorse materiali alla capacità di orchestrare infrastrutture digitali intelligenti.

Secondo l’Osservatorio Cloud Transformation del Politecnico di Milano, il mercato italiano del cloud supererà 8,13 miliardi di euro nel 2025, con un tasso annuo di crescita del +20 %. Ma più che di numeri, si tratta di un cambio di paradigma: il cloud non è più solo un ambiente tecnico, bensì un’infrastruttura geopolitica, economica e normativa. Chi controlla la nuvola controlla il ciclo dell’innovazione, la sovranità dei dati e la capacità del Paese di competere nella nuova economia algoritmica.

Il mercato italiano: crescita a doppia cifra e maturità selettiva

Il cloud italiano non cresce per imitazione, ma per adattamento. Le aziende non vedono più la migrazione alla nuvola come una scelta tattica, bensì come un investimento strategico di resilienza. Nel 2025 il Public & Hybrid Cloud varrà 5,83 miliardi di euro, con un incremento del 21 %, mentre il Private Cloud raggiungerà 1,39 miliardi (+23 %). È la prova di un mercato che ha trovato un proprio equilibrio tra apertura e controllo.

La spinta maggiore arriva dalle infrastrutture-as-a-service (IaaS), che da sole supereranno i 2,6 miliardi, trainate dall’esplosione della domanda di potenza di calcolo per applicazioni di intelligenza artificiale generativa. Accanto, le piattaforme PaaS superano la soglia psicologica del miliardo, segno che le imprese italiane stanno costruendo capacità di sviluppo autonomo su scala industriale.

Le PMI, tradizionalmente più caute, stanno accelerando: il 67 % utilizza già soluzioni cloud e la spesa stimata per il 2025 sfiorerà i 690 milioni di euro. La pubblica amministrazione, invece, recita il ruolo di catalizzatore grazie alla Strategia Cloud Italia e al Polo Strategico Nazionale (PSN), che mirano a spostare applicazioni e dati critici su infrastrutture sicure e localizzate.

Ma questa espansione non è priva di tensioni: la crescita è accompagnata da una nuova grammatica del rischio, in cui la scalabilità deve convivere con la conformità normativa e con una crescente sensibilità energetica.

AI come motore della domanda: dall’automazione alla capacità cognitiva

Nel 2025 l’intelligenza artificiale non è più un “caso d’uso”: è il motore stesso della spesa cloud. Le imprese italiane investono in AI non solo per automatizzare processi, ma per estrarre conoscenza dai dati, costruendo modelli predittivi e strumenti di supporto decisionale.

La diffusione di AI-as-a-Service — API cognitive, piattaforme MLOps, modelli generativi pronti all’uso — riduce le barriere d’ingresso e moltiplica i consumi di calcolo. Tuttavia, il 59 % delle imprese italiane non dispone ancora di policy strutturate sull’uso etico o responsabile dell’AI: un vuoto che espone a rischi reputazionali e normativi.

Nelle università e nei centri di ricerca — dal Politecnico di Torino al progetto AI_INFN dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare — si sperimentano infrastrutture cloud federate, basate su container Kubernetes, per distribuire carichi di training e inference tra cluster europei.

Questa trasformazione tecnologica non riguarda solo l’efficienza: ridefinisce il rapporto tra capacità di calcolo e capitale cognitivo, spostando il vantaggio competitivo dalle risorse fisiche alla qualità dell’intelligenza che un’organizzazione è in grado di attivare.

Sovranità digitale e potere infrastrutturale: l’Europa si risveglia

La questione del cloud sovrano è oggi al centro del dibattito europeo. Con circa il 90 % del mercato cloud europeo in mano a operatori extra-UE, il tema non è solo tecnologico, ma politico. La capacità di gestire, localizzare e proteggere i dati diventa sinonimo di autonomia strategica.

L’Unione Europea risponde con iniziative come Gaia-X, i Data Spaces europei e il nuovo AI Act, che dal 2024 introduce un quadro di responsabilità e trasparenza per chi sviluppa o utilizza sistemi di intelligenza artificiale. L’Italia, in questo contesto, occupa una posizione geografica e strategica chiave: è il nodo mediterraneo dell’infrastruttura europea, punto di interconnessione tra reti globali di dati, energia e comunicazione.

Il Polo Strategico Nazionale rappresenta la versione italiana di questa ambizione: un’infrastruttura pensata per garantire sovranità, resilienza e continuità operativa. Non è solo una scelta tecnica, ma una dichiarazione politica di indipendenza tecnologica, che punta a ridurre la dipendenza da hyperscaler esteri e a rafforzare la sicurezza dei dati pubblici.

In questo scenario, la sovranità digitale si configura come la nuova frontiera del potere: non militare, ma infrastrutturale; non basata su confini, ma su flussi.

Investimenti e nuova geografia del capitale

Mentre le regole si consolidano, il capitale privato corre. Microsoft ha annunciato un investimento da 4,3 miliardi di euro per espandere le infrastrutture AI e cloud in Italia, mentre operatori come TIM e Aruba rafforzano la propria presenza nel mercato data center, puntando su sostenibilità e localizzazione.

Secondo il Politecnico di Milano, nel biennio 2025-2026 gli investimenti in infrastrutture di calcolo supereranno i 10 miliardi di euro. Parallelamente, Terna ha registrato richieste di connessione elettrica per 42 GW — un dato che evidenzia la stretta correlazione tra economia digitale ed energia.

Il cloud è diventato la nuova infrastruttura critica nazionale, paragonabile a porti, ferrovie e reti elettriche. E come tali, richiede pianificazione, ridondanza e una governance trasparente. Le decisioni prese oggi in materia di data center e reti ad alta capacità determineranno il posizionamento geopolitico del Paese nel decennio digitale.

Regolamentazione: il triangolo AI Act – NIS2 – DORA

Le nuove direttive europee definiscono la cornice del “diritto dell’innovazione”. L’AI Act introduce livelli di rischio e obblighi di conformità per ogni sistema AI, dai modelli di base ai sistemi generativi. La NIS2, invece, estende gli obblighi di cybersecurity a 18 settori critici, imponendo piani di resilienza e segnalazione obbligatoria degli incidenti. Infine, il DORA, applicabile dal gennaio 2025, obbliga banche, assicurazioni e operatori finanziari a testare la propria solidità operativa e quella dei fornitori tecnologici.

Per il tessuto imprenditoriale italiano, ciò significa una cosa sola: la compliance non è più una funzione accessoria, ma una leva di competitività. Le imprese che integrano il rispetto normativo nella progettazione dei sistemi cloud e AI potranno accedere più rapidamente a partnership europee e fondi di investimento, mentre chi rimarrà indietro si troverà escluso da mercati e bandi pubblic

Dalla “cloud-first policy” al “cloud-intelligent model”

Il dogma del “cloud-first”, adottato in modo indiscriminato nel decennio scorso, è oggi superato da una visione più consapevole. Le aziende evolvono verso modelli cloud-intelligent, basati su interoperabilità, diversificazione e ottimizzazione dei costi.

Nel 2025 il 46 % delle imprese italiane adotta strategie ibride; solo il 32 % rimane fedele al cloud-first integrale. Si privilegia un approccio selettivo: workload distribuiti in base a sicurezza, latenza, normativa e sostenibilità. È la fase matura dell’ecosistema, quella in cui il cloud smette di essere “meta tecnologica” e diventa scelta manageriale.

L’ibrido e il multi-cloud consentono di mantenere dati critici in ambienti controllati, garantendo al tempo stesso la scalabilità necessaria per l’AI. La chiave è la governance, non la tecnologia.

Energia, sostenibilità e nuova materialità del digitale

Dietro ogni algoritmo c’è una bolletta. L’intelligenza artificiale consuma energia in proporzione al volume dei dati e alla complessità dei modelli. Con l’espansione dei data center, l’Italia si trova a dover bilanciare la corsa al calcolo con i vincoli del sistema elettrico.

L’adozione di fonti rinnovabili, la creazione di Power Purchase Agreements (PPA) e il riuso del calore di scarto diventano requisiti infrastrutturali. La sostenibilità non è più un valore aggiunto: è la condizione per garantire stabilità di costo e licenza operativa.

Il futuro del cloud italiano si giocherà tanto sulla quantità di energia pulita disponibile quanto sulla capacità di creare un’economia circolare dei dati e del calcolo. In questo senso, l’intersezione tra AI e green economy rappresenta il terreno su cui si definirà la competitività industriale del Paese.

Finanza, mercati e il nuovo capitalismo dell’infrastruttura

La convergenza tra cloud e AI ridefinisce anche la finanza industriale. Fondi infrastrutturali, venture capital e istituzioni pubbliche vedono nei data center e nei servizi di calcolo un nuovo asset strategico, capace di generare rendimenti stabili e impatti sociali misurabili.

Il concetto di “capitalismo dell’infrastruttura” descrive un capitalismo in cui la ricchezza non risiede più solo nei beni tangibili, ma nella capacità di gestire piattaforme e flussi digitali. È un’economia di interfacce, di API e di potenza computazionale, in cui la rendita non deriva dal possesso di una fabbrica, ma dal controllo dei protocolli che la connettono.

Per l’Italia, la sfida è duplice: attrarre capitali globali preservando la sovranità tecnologica. Significa creare condizioni fiscali e normative che incentivino investimenti infrastrutturali senza cedere controllo sui dati strategici.

Le PMI nell’ecosistema AI-cloud: inclusione o marginalità?

Il futuro digitale del Paese dipende in larga parte dalla capacità delle PMI di non restare ai margini della rivoluzione AI-cloud. Molte imprese manifatturiere e dei servizi si stanno affacciando all’automazione intelligente, ma con approcci ancora disomogenei.

Occorre una politica industriale inclusiva che favorisca l’accesso a piattaforme condivise, competenze e infrastrutture. Incentivi mirati, percorsi di formazione e programmi di digital upskilling possono colmare il divario tra pionieri e ritardatari. In assenza di una strategia coordinata, l’Italia rischia di produrre un capitalismo duale: da un lato le grandi imprese integrate nell’ecosistema AI-cloud, dall’altro una galassia di aziende escluse dalla nuova catena del valore.

Oltre il boom, la visione

Il boom del cloud italiano è reale, ma la sfida è politica. Gli 8,13 miliardi del 2025 non misurano solo la dimensione del mercato: indicano la velocità con cui il Paese si sta riposizionando nella mappa globale del potere digitale.

Il cloud e l’AI sono ormai il linguaggio operativo dell’economia contemporanea: chi ne controlla l’infrastruttura detta le regole della competizione industriale, della sicurezza dei dati e persino della democrazia informativa.

Per l’Italia, la sfida è duplice: costruire autonomia strategica e credibilità internazionale. Farlo richiede scelte lungimiranti, competenze diffuse e un’alleanza tra pubblico e privato capace di trasformare la tecnologia in politica industriale.

La “nuvola” non è più metafora di leggerezza, ma nuovo terreno di potere. E in quella nuvola si gioca — forse per la prima volta dopo decenni — la possibilità per l’Italia di tornare protagonista di una rivoluzione industriale, questa volta digitale.