Ogni anno milioni di italiani si cimentano negli acquisti dell’ultima ora alla vigilia di Natale. In questo fine 2024 però le cose potrebbero andare diversamente. L’Usb non ha firmato gli ultimi rinnovi del commercio. Si ritiene infatti che le tutele per i lavoratori non siano sufficienti. Il risultato? È stato proclamato uno sciopero del commercio in due giornate decisamente strategiche: 24 e 31 dicembre.
Sciopero di Natale
I negozi sono stracolmi e anche chi è ormai solito fare acquisti esclusivamente online non rinuncia alla passeggiata tra le vetrine. Se da una parte a vincere è l’atmosfera, dall’altra occorre tener presente i tempi di spedizione. Con il Natale dietro l’angolo, infatti, conviene di più recarsi in negozio.
Alla vigilia, però, ci si ritroverà a fare i conti con uno sciopero decisamente inatteso. L’Usb ha proclamato uno stop generale dei lavoratori del commercio. Le giornate indicate, come detto, sono quelle del 24 e del 31 dicembre. Ci sarà un’astensione collettiva nel corso delle ultime ore dei turni di lavoro. Previste ovviamente delle differenziazioni su base regionale, “con articolazione che verrà determinata e comunicata territorialmente”.
Si alza un grido contro quella che viene definita “erosione dei diritti”. Tanto lavoro, orari massacranti ed estrema difficoltà nel riuscire a gestire gli impegni gravosi che la società d’oggi impone: “Gli stipendi dimostrano sempre più la loro inadeguatezza al costo della vita”.
Le motivazioni
L’Unione sindacale di base (Usb) ha deciso di non firmare gli ultimi rinnovi del commercio. Una questione spinosa, esplosa lo scorso marzo, quando si è giunti alla firma del rinnovo con Confcommercio. Mesi fa è stato ribadito un secco no, soprattutto alla parte salariale ma non solo. Quest’ultima è stata ritenuta inadeguata ma, occorre sottolinearlo, un duro colpo alla trattiva è giunto anche dalla mancata “limitazione del lavoro domenicale e festivo”. Ancora una volta, infatti, è stata chiesta estrema flessibilità ai lavoratori.
Si è dunque deciso di agire in una fase cruciale per le aziende, evidenziando ancora una volta la crucialità dei dipendenti, ai quali non viene riconosciuta una retribuzione adeguata del lavoro festivo.
Lavoro festivo
I contratti collettivi prevedono delle maggiorazioni festive che variano dal 10 al 30%. Considerando come la richiesta di flessibilità sia divenuta una pretesa, di fatto, e la rinuncia al necessario riposo un’imposizione, si ritiene che tali percentuali siano troppo basse. Ciò soprattutto perché si fa riferimento a un settore che vede dilagare i contratti part-time (laddove rispettato e non solo di facciata). Qualcosa che permette agli imprenditori di dosare il costo del lavoro, sulla scia delle esigenze di vendita.
L’Usb spiega nella propria nota come “i lavoratori e le lavoratrici del Commercio si vedono, quindi, impiegati in turni sempre più lunghi, con orari di apertura sempre più ampi, senza il doveroso riconoscimento economico e con una paga oraria molto lontana da un dignitoso minimo salariale”.
Si attende la reazione del governo di Giorgia Meloni, che in più occasioni ha evidenziato la necessità di “regolamentare” gli scioperi. Basti pensare a quanto fatto da Matteo Salvini nel corso dei mesi trascorsi in veste di ministro dei Trasporti. Dubbi però sulla via che verrà seguita, considerando come alcuni esponenti di Fratelli d’Italia abbiano presentato alla Camera una proposta di legge decisamente allettante per i sindacati: nei principali giorni festivi dell’anno i negozi dovrebbero restare chiusi.