Come si crea e come funziona un’associazione?

Oggi la nostra società è piena di associazioni religiose, partiti, sindacati: come si formano e quali sono le leggi che le regolano?

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Pubblicato: 31 Marzo 2018 12:15Aggiornato: 7 Aprile 2022 09:46

Oggi il fenomeno associativo è largamente diffuso nel mondo, ma non in tutti i secoli è stato ben visto dalle istituzioni. Gli enti senza scopo di lucro, infatti, erano spesso guardati con occhio critico a causa del fatto che avrebbero potuto interferire con il rapporto diretto tra Stato e cittadino. Per questo le associazioni religiose, politiche e sindacali non hanno mai riscosso molto successo tra le istituzioni.

Ovviamente c’erano anche altri motivi, uno su tutti il concentramento nelle casse dell’associazione di fondi e patrimoni – soprattutto immobiliari. Il timore era che, essendo questi enti senza scopo di lucro, potessero “sprecare” questi beni economici non utilizzandoli. Partendo da questa premessa, non è difficile quindi capire perché il fenomeno associativo sia stato concepito e normato – nel nostro ordinamento giuridico – in chiave autoritaria, almeno negli anni precedenti l’entrata in vigore della Costituzione.

Due tipi di associazioni

Le associazioni erano (e sono tuttora) divise in due tipi: quelle riconosciute e non riconosciute. Se validarle o meno, era deciso da una valutazione discrezionale dell’autorità governativa. Le associazioni riconosciute quindi, avevano una posizione più vantaggiosa perché potevano compiere atti che alle altre erano precluse. Ad esempio, gli enti non legittimati non potevano effettuare acquisti mortis causa, a titolo di donazione o anche onerosi. L’ordinamento interno e i rapporti tra l’associazione e i suoi membri dovevano seguire le regole dei cosiddetti “accordi degli associati”. Insomma, le norme da seguire erano molto rigide e non era possibile agire in autonomia.

Lo scopo di questa distinzione era di rendere marginali un certo tipo di associazioni – soprattutto quelle di natura politica e sindacale – mentre le altre avrebbero avuto sì una maggiore libertà di movimento, ma pur sempre soggetta al controllo governativo. Le cose sono però cambiate con l’avvento della Costituzione Repubblicana nel 1948.

Le associazioni nella Costituzione

Con l’entrata in vigore della Costituzione si stabilisce, infatti, che tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente senza necessità di autorizzazione da parte del governo: sono iniziati quindi a proliferare enti religiosi, partiti e sindacati, che trovano oggi anche una specifica tutela all’interno del nostro ordinamento giuridico. Di più, si cambia proprio approccio e le associazioni iniziano a essere viste come il modo in cui i cittadini si possano attivare per partecipare maggiormente alla vita politica del paese, a quella sindacale, religiosa, ecc… Inoltre, a questi enti è affidato il compito di riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo anche all’interno delle formazioni sociali. Non più un fenomeno da combattere e tenere sotto controllo quindi, ma da promuovere e incentivare.

Nonostante questo però, la maggioranza delle persone opta per la forma associativa non riconosciuta. Il motivo è l’evitare – a qualsiasi costo – ogni tipo d’ingerenza da parte dello Stato. Soprattutto molti sindacati quindi, hanno rinunciato storicamente all’accordo per non subire pressioni.

Quello che non si deve fare, è confondere l’associazione con la società: la differenza tra le due è che la prima è un ente non profit, senza scopo di guadagno. Mentre la seconda ha fini essenzialmente lucrativi. Anche quando questi sono mutualistici, vantaggi di natura economica ci sono sempre. Nelle associazioni, invece, non è ammesso nemmeno che gli associati si spartiscano gli utili realizzati, figuriamoci se possono guadagnare qualcosa dalla loro attività. Questo non vuol dire però che non possano trarre indirettamente vantaggi economici dalle azioni compiute dall’associazione oppure che non possano usufruire di servizi che abbiano un ritorno in tal senso. Ne sono un esempio le conquiste salariali per gli iscritti al sindacato, o le persone che possono usare il campo da calcio di un circolo sportivo.

Le associazioni possono svolgere attività d’impresa anche in via principale o esclusiva: l’importante è che sia escluso il fine di lucro soggettivo.

L’associazione riconosciuta

Andiamo ad analizzare in primo luogo l’associazione riconosciuta. Questa prende vita in forza di un atto pubblico di autonomia tra i fondatori. Deve contenere al suo interno: la volontà di creare l’ente, la sua denominazione, lo scopo, la sede, il patrimonio, le norme sull’ordinamento e l’amministrazione, i diritti e gli obblighi degli associati, e le condizioni di ammissione nell’associazione. Le stesse indicazioni vanno messe pure nello Statuto, che va poi presentato alla prefettura della provincia in cui si trova l’associazione (o dove ha la residenza). Insieme si accompagna la richiesta per il riconoscimento della personalità giuridica.

La personalità giuridica è accordata quando la prefettura riesce a verificare se alcune condizioni siano soddisfatte. A tal fine, lo scopo deve essere possibile e lecito, il patrimonio deve essere adeguato alle esigenze dell’associazione, e devono essere state rispettate le norme di legge per la creazione dell’ente. La prefettura non può invece pronunciarsi nel merito dello scopo che l’associazione si è prefissata: l’unica cosa che deve fare è un semplice controllo di legittimità.

Con l’iscrizione al registro delle persone giuridiche, l’associazione acquista la personalità giuridica. Fino al momento dell’approvazione, può comunque operare ma come ente non riconosciuto.

Gli organi dell’associazione riconosciuta

L’associazione riconosciuta si compone di due organi: l’assemblea degli associati e gli amministratori. La prima può modificare Statuto e atto costitutivo, approva il bilancio, può mandare via un associato (qualora ricorrano gravi motivi), prendere dei provvedimenti nei confronti degli amministratori, sciogliere l’associazione, devolvere il patrimonio. Le decisioni dell’assemblea sono prese con una votazione a maggioranza, e deve essere presente almeno la metà degli associati. Nel caso si debba decidere di modifiche allo Statuto o per lo scioglimento dell’ente, serve invece la maggioranza qualificata.

Per quanto riguarda invece gli amministratori, questi rappresentano l’associazione nei confronti di terzi e gestiscono gli affari dell’ente.

Autonomia patrimoniale perfetta

L’associazione riconosciuta dispone di un proprio patrimonio, e può effettuare ogni tipo d’acquisto, anche quello d’immobili. L’ente ha autonomia patrimoniale perfetta, nel senso che i suoi fondi sono separati da quelli degli associati: quest’ultimi non possono disporre del denaro dell’associazione riconosciuta, così come nel caso di debiti i creditori non possono rifarsi sui risparmi dei membri.

Possono entrare a far parte dell’associazione riconosciuta anche persone che non hanno partecipato al processo di fondazione, perché l’ente si caratterizza per la sua struttura aperta.

Espulsione di un membro e scioglimento dell’ente

Cosa accade se si vuole escludere una persona dall’associazione? La sua espulsione può avvenire solo per gravi motivi, e deve essere accompagnata da una delibera motivata dell’assemblea. L’associato può fare ricorso al giudice entro sei mesi dalla notifica di espulsione.

È chiaramente possibile per l’associato uscire dall’ente. Questo perché nessuno può far parte di un’organizzazione contro la sua volontà nel caso dovesse cambiare idea rispetto alla sua partecipazione. Se però ha firmato una clausola in cui ha stabilito che sarebbe rimasto nell’ente per un certo tipo di tempo, può andarsene in anticipo ma con un preavviso di tre mesi.

È anche possibile che l’associazione cessi di esistere. La sua fine può essere inserita nello Statuto, oppure può accadere che lo scopo sia irrealizzabile, che sia stato raggiunto, o che non ci sia più nessun associato. È il prefetto che certifica la cancellazione e l’avvenuta estinzione dell’associazione. Se questo dovesse avvenire, il patrimonio viene liquidato e i debiti pagati. Una volta devoluto il patrimonio, si cancella l’associazione riconosciuta dal registro delle persone giuridiche.

L’associazione non riconosciuta

La formazione di un’associazione non riconosciuta è molto simile alla precedente. Va posto in essere sempre un atto di autonomia tra i fondatori, ma non si deve seguire una forma specifica. Non c’è bisogno di passare per l’approvazione del prefetto dato che l’ente non acquista personalità giuridica (anche se ha comunque una sua soggettività). L’associazione non riconosciuta diventa quindi effettiva appena c’è l’accordo iniziale.

Gli accordi tra gli associati regolano sia l’ordinamento interno, sia la parte amministrativa, e anche il rapporto con le persone che entrano in contatto con l’ente. Nel caso in cui l’ente non voglia stabilire regole interne, si applicano le norme che si usano in genere per le associazioni riconosciute.

Anche l’associazione non riconosciuta dispone di un fondo per il perseguimento dei propri scopi. Ovviamente anche in questo caso deve essere separato dal patrimonio delle persone che fanno parte dell’ente, ed eventuali creditori non potranno rivalersi sui beni personali dei membri. Il discorso vale anche al contrario: se qualcuno ha deciso di uscire dall’associazione, non può chiedere una quota del fondo comune. Grazie a questo poi, l’ente può effettuare acquisti – anche d’immobili – per il perseguimento del proprio scopo.

Abbiamo detto prima che i membri dell’associazione non riconosciuta non rispondono con il proprio patrimonio nel caso di debiti dell’ente. Questo non si applica però nel caso di chi ha agito in nome e per conto dell’associazione. Il discorso è valido anche se la persona non è un membro effettivo. Questa è una delle differenze sostanziali con l’associazione riconosciuta, la quale gode della cosiddetta autonomia patrimoniale perfetta.