Dopo avervi parlato della benevolenza e dell’empatia, voglio dirvi della gioia. Si tratta semplicemente di rallegrarsi del benessere proprio e altrui. Non sempre è facile però, perché siamo continuamente alla ricerca di qualcosa di più, non ci accontentiamo, di noi e degli altri. E così la gioia viene dimenticata o peggio evitata, senza darsi il permesso di viverla in ogni momento.
Rallegrarsi della virtù dà motivazione, rende felici ed è un antidoto diretto dell’invidia, che è l’incapacità di sopportare la felicità e il successo altrui. È una pratica ricca, che alimenta l’autostima e dà limpidezza alle proprie qualità e risorse.
È un semplice allenamento mentale molto utile sul lavoro, non è qualcosa da raggiungere, basta farla e il beneficio è immediato. Rallegrarsi delle proprie virtù implica guardarsi indietro, osservando il proprio comportamento, le proprie aspirazioni e i propri desideri, per gioire laddove ci accorgiamo di avere una natura buona.
Rallegrarsi delle proprie virtù non significa certo gonfiare il proprio ego: “Sono una persona fantastica, sono migliore della maggior parte delle persone”. Questo è un nemico della pratica del rallegrarsi di sé: l’adulazione di se stessi, l’arroganza e la presunzione. Gioire delle proprie virtù è profondamente diverso, perché si colloca sempre in un contesto.
Se ad esempio abbiamo ottenuto un successo sul lavoro, la nostra attenzione deve essere rivolta anche al contesto, comprendendo le persone che ci hanno aiutato e ispirato. Allora la gioia è limpida e rallegrarsi della virtù può essere una fonte di ispirazione. Un modo semplice è fare una pausa e osservare la nostra vita mettendo una luce su cosa c’è di buono, di significativo. C’è sempre più di un aspetto positivo da trovare. Poi occorre estendere il pensiero agli altri: “Come per me, così per te”. Rallegrarsi della felicità degli altri e dei loro sforzi è un atteggiamento sano che sfida il proprio egoismo a confrontarsi col timore di fare spazio alla felicità degli altri.