Ripristino della natura, legge europea in vigore: cosa prevede e cosa cambia per l’agricoltura

Il regolamento europeo sul ripristino della natura è entrato ufficialmente in vigore. Cosa prevede la Nature Restoration Law e cosa cambia per il settore agricolo

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Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

Pubblicato: 18 Agosto 2024 11:30

È entrato in vigore domenica 18 luglio il regolamento europeo sul ripristino della natura, uno dei punti fondamentali del Green Deal. La norma impone ad ogni Stato membro di ripristinare almeno il 30% degli habitat in cattive condizioni entro il 2030. La soglia sale al 60% entro il 2040 e al 90% entro il 2050. Ad essere interessate sono le zone umide, le foreste, i fiumi e le praterie sottomarine. Ogni Stato membro ha a disposizione due anni di tempo per adottare piani nazionali di ripristino delle aree interessate, indicando nel dettaglio le modalità che si prevede di intraprendere.

In vigore la Nature Restoration Law

La riforma sul ripristino della natura è stata approvata in via definitiva a giugno dal Consiglio europeo, dopo mesi di stallo politico. Nel voto finale l’Italia ha votato contro insieme ad altri cinque Paesi (Finlandia, Ungheria, Paesi Bassi, Polonia e Svezia), mentre il Belgio si è astenuto. Il no dell’Italia è stato motivato tirando in ballo ricadute negative per il settore agricolo. Contrari al testo europeo Confagricoltura e Coldiretti.

Il regolamento europeo impegna gli Stati a ripristinare entro il 2030 almeno 25.000 km di fiumi a flusso libero, a invertire il declino delle popolazioni di insetti impollinatori e migliorarne la biodiversità negli ecosistemi agricoli e forestali. Uno degli obiettivi è quello di piantare almeno tre miliardi di alberi.

In tutte le aree individuate dalle attività di ripristino della natura verrà inibito lo sfruttamento commerciale. In sintesi, non potranno essere adibite ad attività agricole o imprenditoriali di qualsiasi natura (immobili residenziali, hotel, resort, stabilimenti balneari, stabilimenti termali, ristoranti, parchi avventura a pagamento, eccetera).

Cosa cambia per gli agricoltori

Non c’è alcun obbligo specifico per gli imprenditori agricoli: il testo europeo sul ripristino della natura si limita a indicare obiettivi solo per gli Stati, che saranno liberi di tracciare il proprio percorso in autonomia. Saranno così i singoli Stati a dover fornire indicazioni vincolanti agli operatori del settore agricolo, come garantire il recupero degli insetti impollinatori e tutelare le popolazioni di uccelli. Si rimane dunque in attesa di vedere quali iniziative intraprenderanno gli Stati membri. È facile predire imminenti e reiterati tavoli tecnici per trovare la quadra fra l’esecutivo e le principali organizzazioni di categoria, ovvero Confagricoltura e Coldiretti.

Gli agricoltori sono già riusciti ad alleggerire diversi passaggi del testo europeo. In particolare, la proposta iniziale della Commissione europea nel 2022 proponeva di destinare il 10% dei terreni agricoli a interventi per la biodiversità come la coltivazioni di siepi, alberi, fossi, muretti o piccoli stagni. Le proteste degli agricoltori hanno portato allo stralcio della proposta. Saltato anche il requisito della Pac (Politica agricola comune) di destinare il 4% dei terreni a caratteristiche non produttive, diventato un impegno su base volontaria. È diventato volontario anche il ripristino delle zone umide per gli agricoltori e i proprietari terrieri privati.

No dell’Italia al Nature Restoration Law

Secondo Vannia Gava, viceministra italiana dell’Ambiente e della Sicurezza energetica in quota Lega, la Nature Restoration Law è un testo “assolutamente non soddisfacente, perché la normativa aumenta gli oneri amministrativi ed economici per il settore agricolo”. Questa la motivazione alla base del no italiano al testo.