Il Regno Unito spegne oggi l’ultima centrale a carbone per produrre energia elettrica

La chiusura della centrale di Ratcliffe-on-Soar segna la fine di un'era, il Regno Unito è il primo tra i Paesi del G7 ad abbandonare definitivamente il carbone

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Matteo Paolini

Giornalista green

Nel 2012 ottiene l’iscrizione all’Albo dei giornalisti pubblicisti. Dal 2015 lavora come giornalista freelance occupandosi di tematiche ambientali.

Lunedì 30 settembre segnerà la fine delle operazioni dell’ultima centrale termoelettrica a carbone ancora attiva nel Regno Unito, un evento di grande rilevanza storica per il paese. Questo passaggio simbolico chiude un capitolo iniziato nel 1882, quando il Regno Unito fu il primo paese al mondo ad avviare una centrale di questo tipo.

L’impianto di Ratcliffe-on-Soar, situato nei pressi di Nottingham, verrà definitivamente spento, e i 170 lavoratori rimasti si riuniranno nella sala di controllo, osservando il momento conclusivo dalle vicinanze della mensa dello stabilimento. La disattivazione delle unità di produzione rappresenta un altro passo verso la transizione energetica e la lotta contro il cambiamento climatico, segnando il tramonto dell’era del carbone nel sistema energetico britannico.

Dalla rivoluzione industriale all’alba di una nuova era, l’addio al carbone

Il carbone, un tempo motore pulsante della Rivoluzione Industriale, si appresta a concludere il suo lungo e controverso percorso nel cuore del sistema energetico globale. Questo combustibile fossile, il più antico e abbondante, ha alimentato per secoli lo sviluppo industriale e la crescita economica di numerosi Paesi. Tuttavia, il suo impatto ambientale ne ha inevitabilmente segnato il declino.

La combustione del carbone è infatti responsabile di ingenti emissioni di anidride carbonica (CO2), il principale gas serra che contribuisce al riscaldamento globale e ai conseguenti cambiamenti climatici. A ciò si aggiungono le emissioni di numerose sostanze inquinanti, dannose per la salute umana e per gli ecosistemi.

Di fronte all’urgenza di mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, sempre più Paesi hanno deciso di intraprendere un percorso di dismissione delle centrali a carbone. L’Italia, come molte altre nazioni, si è impegnata a ridurre gradualmente la dipendenza da questo combustibile fossile, promuovendo lo sviluppo di fonti di energia rinnovabile.

Il Regno Unito, pioniere della Rivoluzione Industriale, ha giocato un ruolo di primo piano in questa transizione energetica. Nel 2016, il governo britannico ha annunciato l’ambizioso obiettivo di eliminare gradualmente la produzione di energia elettrica da carbone entro il 2025. Successivamente, in vista della COP26, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima tenutasi a Glasgow nel 2021, ha deciso di anticipare di un anno tale termine, dimostrando così un forte impegno nella lotta ai cambiamenti climatici.

La dismissione della centrale di Ratcliffe-on-Soar, un processo complesso

La centrale di Ratcliffe-on-Soar avrebbe dovuto essere spenta alla fine del 2022, secondo un piano iniziale. Tuttavia, la società che la possiede e gestisce, la tedesca Uniper, aveva posticipato lo spegnimento a causa della crisi energetica dovuta all’invasione russa dell’Ucraina. Questa decisione è stata presa per garantire la continuità della fornitura energetica in un periodo di grande incertezza.

Il primo ottobre inizierà la fase di dismissione dell’impianto, un processo che richiederà due anni per essere completato. Durante questa fase, saranno impiegati più di 100 degli attuali lavoratori della centrale. Questo periodo di transizione è cruciale per assicurare che la dismissione avvenga in modo sicuro e ordinato.

Uniper ha collaborato strettamente con i sindacati per trasferire gli altri dipendenti in altre centrali che gestisce nel Regno Unito. Questa collaborazione è fondamentale per garantire che i lavoratori non siano lasciati senza impiego e che possano continuare a contribuire al settore energetico in altre strutture.

La dismissione della centrale di Ratcliffe-on-Soar rappresenta un passo significativo verso un futuro energetico più sostenibile, pur tenendo conto delle sfide attuali legate alla sicurezza energetica e alla crisi geopolitica.

La storia delle centrali a carbone nel Regno Unito, dalla prima centrale alla transizione energetica

La storia dell’energia elettrica nel Regno Unito è indissolubilmente legata al carbone. La prima centrale elettrica a carbone del mondo, inaugurata il 12 gennaio 1882 dalla Edison Electric Light Company (oggi General Electric), sorse nel cuore di Londra, in un edificio sull’Holborn Viaduct. Questa pionieristica centrale, che cessò di funzionare nel settembre del 1886, aveva lo scopo di illuminare le strade tra Holborn Circus e St. Martin’s Le Grand. Purtroppo, l’edificio fu distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale. Questa centrale rappresenta un capitolo fondamentale nella storia dell’energia elettrica, segnando l’inizio dell’era dell’elettricità alimentata dal carbone.

Nel corso del XX secolo, il carbone divenne la principale fonte di energia elettrica nel Regno Unito. La centrale di Ratcliffe-on-Soar, attiva dal 1968, ne è un esempio emblematico, avendo contribuito a soddisfare le crescenti esigenze energetiche del Paese per diversi decenni.

All’inizio degli anni Ottanta, circa l’80% dell’elettricità consumata nel Regno Unito proveniva da centrali a carbone, evidenziando una forte dipendenza da questa fonte energetica, spesso associata a inquinamento e emissioni di gas serra.

Tuttavia, a partire dagli anni Duemila, il Regno Unito ha intrapreso un ambizioso percorso di transizione energetica, volto a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e a promuovere le fonti rinnovabili. Grazie a una serie di politiche energetiche lungimiranti e investimenti mirati, la quota di energia elettrica prodotta da carbone è progressivamente diminuita. Nel 2012, questa quota era già scesa al di sotto del 40%.

Con la chiusura definitiva delle ultime centrali a carbone prevista per il prossimo anno, il Regno Unito diventerà il primo Paese del G7 a eliminare completamente questa fonte energetica dal proprio mix elettrico. Questa importante tappa segna la fine di un’era e l’inizio di una nuova fase, caratterizzata da un sistema energetico sempre più pulito e sostenibile. La decisione di abbandonare gradualmente il carbone è stata il risultato di un impegno congiunto da parte del governo, delle aziende energetiche e della società civile, volti ad affrontare la crisi climatica e a costruire un futuro energetico più sostenibile.

Le ultime centrali a carbone in Italia, un panorama in transizione

Attualmente, in Italia sono ancora attive quattro centrali a carbone, una risorsa energetica sempre più limitata nel panorama nazionale. Tre di queste centrali sono gestite da Enel, la più grande azienda produttrice di energia elettrica del paese, che detiene una posizione predominante nel settore.

Le centrali a carbone attive in Italia includono:

  • Centrale di Torrevaldaliga Nord: situata nel comune di Civitavecchia
  • Centrale “Federico II”: situata a Brindisi
  • Centrale “Grazia Deledda”: situata a Portoscuso, nella provincia del Sulcis Iglesiente in Sardegna
  • Centrale di Fiume Santo: situata nei pressi di Porto Torres, in provincia di Sassari, gestita da Ep Produzione, appartenente al Gruppo energetico ceco Eph

Questi impianti rappresentano le ultime vestigia di un sistema energetico che sta gradualmente lasciando spazio a fonti più sostenibili e meno impattanti sull’ambiente. Tuttavia, la loro esistenza testimonia la lenta transizione energetica in corso, che richiede ancora tempo per essere completata a pieno, in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione previsti a livello nazionale ed europeo.

La transizione energetica in Italia, dismissioni e attività delle centrali a carbone

Nel 2021, la centrale “Eugenio Montale” di Vallegrande, situata alla Spezia, ha subito un importante processo di dismissione, segnando un passo significativo verso un futuro energetico più sostenibile. Inoltre, si prevede che entro la fine del 2023 anche la centrale “Andrea Palladio”, localizzata a Fusina nel comune di Venezia, venga dismessa. Entrambe le centrali appartengono a Enel, che sta affrontando un cambiamento strategico nella sua produzione energetica.

In un ulteriore sviluppo, lo scorso aprile, è stata interrotta la produzione di energia dal carbone presso la centrale di Monfalcone, situata in provincia di Gorizia e gestita dal gruppo A2A. Questa decisione rappresenta un altro passo verso la decarbonizzazione del sistema energetico italiano, evidenziando l’impegno del settore per ridurre l’impatto ambientale e migliorare la sostenibilità.

Tuttavia, anche le quattro centrali a carbone ancora attive hanno registrato un utilizzo molto limitato durante l’anno corrente. Ad esempio, le tre unità di produzione della centrale di Brindisi sono attualmente in stato di conservazione, ovvero in standby, dalla fine del 2023. Questo scenario riflette una chiara tendenza verso la riduzione dell’uso del carbone, evidenziando la necessità di un rapido passaggio verso fonti energetiche alternative e più sostenibili per affrontare le sfide climatiche del futuro.

Italia verso l’addio al carbone, ma con tempi differenziati

Lo scorso aprile, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, aveva annunciato un piano per la chiusura delle centrali a carbone in Italia. Secondo il ministro, le centrali situate sull’Italia continentale, ovvero quelle di Civitavecchia e di Brindisi, avrebbero chiuso entro un anno. Questo rappresenta un passo significativo verso la riduzione delle emissioni di gas serra e la promozione di fonti energetiche più sostenibili.

Per quanto riguarda le centrali sarde, il governo prevedeva lo spegnimento definitivo entro il 2027. Questo termine è stato fissato due anni dopo l’impegno preso con il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) del 2019. Il Pniec è un documento strategico che delinea le politiche e le misure necessarie per raggiungere gli obiettivi climatici ed energetici del paese.

La decisione di posticipare la chiusura delle centrali sarde riflette la necessità di bilanciare la transizione energetica con la sicurezza della fornitura elettrica e le esigenze economiche locali. La Sardegna, essendo un’isola, presenta sfide uniche in termini di approvvigionamento energetico e infrastrutture.

Questo piano graduale di chiusura delle centrali a carbone dimostra l’impegno del governo italiano nel ridurre la dipendenza da fonti energetiche inquinanti e nel promuovere una transizione verso un futuro più sostenibile. La collaborazione tra il governo e le aziende energetiche è fondamentale per garantire che questo processo avvenga in modo efficiente e responsabile.

L’uso del carbone nel panorama energetico globale, un confronto tra Italia ed Europa

Nonostante gli sforzi globali per la transizione energetica e la riduzione delle emissioni di gas serra, il carbone continua a rappresentare una fonte energetica primaria a livello mondiale. Tuttavia, l’utilizzo di questo combustibile fossile presenta notevoli differenze a livello nazionale e regionale.

In Italia, nel corso del 2023, il carbone ha contribuito alla produzione di poco più del 5% dell’elettricità totale consumata. Questo dato rappresenta un significativo progresso nella transizione energetica del Paese, che negli ultimi anni ha intensificato gli sforzi per ridurre la dipendenza da fonti fossili e promuovere le energie rinnovabili.

Tuttavia, a livello europeo, la situazione è più variegata. La Germania, ad esempio, presenta ancora un forte legame con il carbone, che nel 2023 ha rappresentato circa il 27% della produzione elettrica totale. Questo dato evidenzia come, nonostante gli obiettivi climatici ambiziosi, alcuni Paesi europei continuano a fare affidamento su questa fonte energetica.

A livello globale, il carbone rimane il combustibile fossile più utilizzato per la produzione di elettricità. Nel 2023, circa il 35,5% dell’energia elettrica mondiale è stata ottenuta da questa fonte. Cina, India, Stati Uniti e Giappone sono i principali consumatori di carbone a livello mondiale, contribuendo insieme a oltre tre quarti della produzione mondiale di elettricità da carbone. Questa concentrazione evidenzia l’importanza di questi paesi nel contesto globale della produzione energetica e la necessità di politiche internazionali coordinate per ridurre l’uso del carbone.

La transizione energetica è un processo complesso e graduale che richiede investimenti significativi e collaborazione a livello internazionale. Mentre alcuni Paesi stanno facendo progressi significativi nella riduzione dell’uso del carbone, la sfida rimane quella di accelerare questo processo a livello globale per mitigare gli impatti dei cambiamenti climatici e promuovere un futuro energetico più sostenibile.

L’impatto delle centrali a carbone sulle emissioni di carbonio in Europa

Secondo uno studio del think tank Ember, i primi dieci emettitori di carbonio in Europa nel 2022 sono stati tutti impianti a carbone, dimostrando come il carbone continui a essere una fonte significativa di inquinamento nel settore energetico europeo. Lo scorso anno, il carbone ha rappresentato oltre il 60% dell’inquinamento derivante dalla produzione di energia in Europa.

Questi dieci impianti sono stati responsabili del 13% delle emissioni totali dell’Unione Europea, come riportato nel sistema di scambio di quote di emissione dell’Ue (Eu-Ets). Complessivamente, questi siti hanno contribuito a un quarto di tutte le emissioni del settore energetico nel 2022, evidenziando l’impatto sproporzionato di queste centrali. Tuttavia, non tutti i Paesi dell’Ue sono ugualmente responsabili: Polonia e Germania ospitano le prime nove centrali elettriche più inquinanti d’Europa, mentre una centrale situata in Bulgaria occupa il decimo posto.

L’analista di Ember, Harriet Fox, ha sottolineato l’urgenza di abbandonare il carbone, affermando che “le centrali a carbone sono i recidivi della sporca lista dell’Ue. Più velocemente l’Europa può abbandonare il carbone, meglio sarà per il pianeta”.

Sette delle centrali a carbone presenti in questa lista figurano nella classifica da oltre un decennio. Un esempio significativo è la centrale di Bełchatów in Polonia, che occupa il primo posto sin dall’inizio del sistema Eu-Ets nel 2005.

Una notizia positiva emerge però dallo studio: le emissioni nel 2022 sono state inferiori del 40% rispetto a dieci anni fa. Nonostante le preoccupazioni per un ritorno all’uso del carbone durante la crisi globale del gas, l’aumento delle emissioni è stato contenuto.

Tra gli altri dati rilevati, in Germania e Polonia si è registrato un calo delle emissioni, con la Germania che si sta muovendo a un ritmo più rapido rispetto alla Polonia. Berlino ha ottenuto una riduzione del 37% delle emissioni di energia da carbone nell’ultimo decennio e mira a una graduale eliminazione del carbone entro il 2030.

Lo studio di Ember sottolinea la necessità di accelerare la transizione energetica per ridurre le emissioni di carbonio e contrastare i cambiamenti climatici. La collaborazione tra i paesi europei e l’adozione di politiche energetiche sostenibili sono cruciali per raggiungere questi obiettivi e garantire un futuro più pulito e sicuro.