Qatar 2022, organizzare una Coppa del Mondo sostenibile è impossibile

Non esiste un grande evento come i mondiali a emissioni zero. Ciononostante, l’attenzione alla sostenibilità messa in campo per questi campionati potrebbe essere un punto di partenza per le competizioni future

Dodici anni fa, quando il Qatar si è candidato con successo, ma non senza polemiche, a ospitare la Coppa del Mondo FIFA di quest’anno, i suoi organizzatori hanno promesso che la loro edizione del torneo sarebbe stata a emissioni zero. Questa sarebbe un’impresa impressionante per qualsiasi grande evento sportivo, data la necessità di costruire nuove infrastrutture, ospitare squadre e tifosi, spostarli e gestire le competizioni vere e proprie. Il Qatar non è stato il primo Paese ospitante di una Coppa del Mondo a fare una simile affermazione, ma in quanto piccolo Paese ricco di petrolio su una penisola desertica nel Golfo Persico, la sua promessa di essere a impatto zero sembra davvero difficile da mantenere. Basta ricordare che il Qatar dipende fortemente dai combustibili fossili, il caldo è torrido e prima dell’assegnazione dell’evento non disponeva di strutture sportive adeguate.

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L’impatto ambientale stimato per Qatar 2022

A causa delle sue piccole dimensioni, il Qatar ha avuto bisogno di investire pesantemente in nuovi stadi e alloggi. Essendo un Paese piccolo dipende fortemente dalle importazioni, qualsiasi costruzione è impattante per l’ambiente. Anche i semi di erba per le superfici di gioco provengono dall’estero e sono arrivati dagli Stati Uniti, su aerei climatizzati. Una volta piantati questi semi, per mantenere un solo campo di calcio a novembre e dicembre, quando le temperature in Qatar sono di circa 25 gradi, invece degli oltre 40 gradi che si vedono in estate, sono necessari oltre 10.000 litri di acqua al giorno. E ci sono 144 di questi campi.

L’acqua non si trova facilmente nel deserto, la desalinizzazione dell’acqua di mare richiede molta energia e quasi il 100% dell’elettricità del Paese proviene da petrolio e gas. Non sorprende, quindi, che il torneo produrrà circa 3,6 milioni di tonnellate di anidride carbonica, secondo il rapporto ufficiale sulle emissioni di gas serra della FIFA. Sono 1,5 milioni di tonnellate in più rispetto alla precedente edizione in Russia nel 2018 e più di quanto alcuni Paesi producano in un anno. E questo nonostante alcuni sforzi per ridurre le emissioni.

La mastodontica costruzione degli impianti sportivi

Al centro di questi tentativi ci sono gli otto stadi all’aperto del torneo, il fulcro delle sue presunte ambizioni verdi. Sette sono stati costruiti da zero e l’altro, il Khalifa International, è stato ristrutturato. Sono per lo più costruiti con materiali regionali, riutilizzati e riciclati e sono stati certificati per il loro design sostenibile (sebbene l’ente di certificazione sia di proprietà di una società di investimento immobiliare creata dal fondo sovrano del Qatar). C’è persino un luogo, lo Stadio 974, che utilizza i container come elementi costitutivi, consentendo di “smontarlo” completamente e rimontarlo in un altro luogo dopo il torneo.

Secondo il rapporto CMW, (Committee on Migrant Workers) gli organizzatori hanno anche sottovalutato le emissioni coinvolte nella costruzione dei nuovi stadi permanenti. Invece di attribuire queste emissioni al torneo, gli organizzatori le hanno distribuite sulla durata totale prevista di ciascuna sede, che è di 60 anni. Ciò avrebbe senso se, come affermano gli organizzatori, gli stadi venissero utilizzati anche in futuro (in effetti, i piani legacy della FIFA dicono che saranno convertiti in impianti per i club e utilizzati per ospitare le squadre locali dopo la fine della Coppa del Mondo ). Ma è difficile capire come gli stadi possano continuare a essere utilizzati efficacemente, in uno spazio geografico così piccolo, con meno di 3 milioni di abitanti.

La costosa refrigerazione degli stadi

Per gestire il caldo del Qatar tutti gli impianti, tranne lo stadio 974, utilizzano un nuovo sistema di raffreddamento progettato dall’Università del Qatar. Invece di aspirare costantemente aria calda dall’esterno e raffreddarla, il sistema forma uno strato di aria fredda all’interno di ogni stadio e lo ricicla. Le griglie sparse in tutto l’arena pompano quest’aria, la filtrano, la incanalano attraverso tubi pieni di acqua fredda per raffreddarla, quindi la indirizzano ai giocatori, attraverso bocchettoni posti a bordo campo, e agli spettatori tramite dei diffusori sotto sistemati sotto i sedili. L’intero sistema è alimentato da un impianto fotovoltaico posto nel deserto e secondo i dati dell’Università del Quatar l’impianto utilizza il 40% di energia in meno rispetto a qualsiasi altro sistema di raffreddamento.

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La complessa compensazione delle emissioni di Co2

Tuttavia, gli organizzatori insistono sul fatto che il torneo sarà a emissioni zero. Lo scetticismo a riguardo è comprensibilmente diffuso, così come le accuse di greenwashing. La strategia di sostenibilità del Qatar, in generale, si basa innanzitutto sulla riduzione al minimo delle emissioni nel miglior modo possibile, il che presenta dei limiti, data la necessità di costruire stadi da zero e gestirli nel mezzo del deserto, e quindi compensare eventuali emissioni rimanenti utilizzando dei crediti di carbonio. La pratica della compensazione attira spesso delle critiche tra gli ambientalisti, ma in questo caso i metodi e i calcoli utilizzati per portare la Coppa del Mondo del Qatar a zero emissioni sono particolarmente dubbi.

La questione dei crediti di carbonio verificati dallo stesso Qatar

La costruzione e la gestione dell’infrastruttura del torneo rappresentano solo circa un quarto delle emissioni totali della Coppa del Mondo, secondo la FIFA. Oltre la metà delle emissioni riguarda i viaggi e un quinto gli alloggi. Il singolo contributo maggiore all’impronta complessiva del torneo è rappresentato dai viaggi aerei, che rappresentano il 44% delle emissioni totali.

Ciò significa che, nonostante le sue impressionanti imprese architettoniche e di climatizzazione, il Qatar deve ancora acquistare 3,6 milioni di crediti di carbonio per compensare il torneo. Invece di acquistare quelli verificati dagli standard internazionali esistenti, gli organizzatori hanno istituito un proprio sistema, chiamato Global Carbon Council, sollevando preoccupazioni sulla loro trasparenza e legittimità. Il punto focale nell’avere uno standard è avere una terza parte neutrale e indipendente che certifica, di conseguenza è strano avere uno standard direttamente collegato all’acquirente e agli organizzatori.

Difficile fare una stima esatta sulla sostenibilità di Qatar 2022

Fino a quando non avremo dati affidabili su quante persone parteciperanno all’evento, da dove, oltre a come vengono gestiti gli stadi, sarà impossibile sapere se l’evento sarà a emissioni zero. Gli organizzatori affermano che le emissioni della Coppa del Mondo verranno ricalcolate al termine del torneo, per ottenere una stima più accurata della sua impronta, ma se i metodi di calcolo sono fondamentalmente errati, l’esercizio è discutibile. E una volta iniziato il torneo, c’è il rischio che le preoccupazioni sul potenziale greenwashing, così come quelle relative alle condizioni di lavoro dei migranti e agli interrogativi riguardo ai diritti umani del Qatar, vengano messe da parte e dimenticate.

L’intero sforzo evidenzia quanto sia difficile rendere un evento di questa portata veramente a emissioni zero. Ma mostra anche che i Paesi e gli organizzatori di eventi cercheranno comunque (o cercheranno di farci credere che ci stiano provando) di migliorare la loro reputazione. Anche se mantengono le loro promesse di riduzione delle emissioni, questo greenwashing attraverso lo sport può essere discutibile. Non resta che sperare che gli organizzatori mantengano la parola, godendosi il torneo, ma senza dimenticare il suo impatto più ampio.