Crisi idrica, l’allarme: Italia tra i paesi ad alto rischio

Secondo l'analisi del World Resource Institute, l'Italia rientra nei 27 paesi a rischio "alto"

È allarme rosso: la crisi idrica avanza e coinvolge sempre più Paesi. Tra questi anche l’Italia che seppur non fa parte delle regioni a rischio “estremamente alto”, risulta comunque tra le zone sensibili.

A riportare i dati preoccupanti è stata un’analisi del centro studi americano World Resources Institute (WRI), un’organizzazione no profit specializzata nello stimare le risorse naturali globali. Secondo quanto emerso il 25% della popolazione mondiale, distribuita in 17 paesi, attualmente vive in regioni a rischio “estremamente alto” di crisi idrica.

L’Italia non rientra in questi 17 paesi, occupando il 44esimo posto (su 164) della classifica. Una posizione che la immette comunque nella zona a rischio “alto”. In breve, dalle falde acquifere, si sta prelevando più acqua di quel che si dovrebbe.

I 17 paesi maggiormente in crisi sono quelli che in media usano circa l’80% delle proprie risorse idriche in un anno, destinandole alle coltivazioni, all’industria e alle abitazioni. Il che significa che innanzi a un periodo di siccità potrebbero rapidamente trovarsi senza acqua.

Quelli classificati a rischio “alto” come l’Italia, in tutto 27 stati, annualmente prosciugano il 40% dell’acqua presente sui loro territori. Una percentuale meno alta rispetto ai 17 paesi da ‘codice rosso’, ma comunque allarmante secondo gli studi.

Dal 1960 a oggi, il prelievo di acqua a livello globale è più che raddoppiato. Le cause sono la scarsità di risorse idriche in determinate zone e l’alta densità di popolazione, la quale si accompagna a un’agricoltura intensiva e a un elevato indice di industrializzazione.

Inoltre, non è da sottovalutare il cambiamento climatico in atto che fa registrare temperature medie sempre più alte e di conseguenza porta periodi di siccità più frequenti. Al contempo, il maggior calore fa evaporare più velocemente i bacini idrici, cosicché l’acqua a disposizione diminuisce.

Il rischio dei cosiddetti “Day Zero“, cioè quella data in cui ogni risorsa idrica di una città o di uno stato finirà, è in aumento. Tra le metropoli che destano più preoccupazione ci sono San Paolo (Brasile), Città del Capo (Sudafrica) e anche Roma. Un assaggio di quel che potrebbe accadere lo abbiamo avuto nel 2017, quando nella Capitale si è razionato il prelievo di acqua.

C’è un’altra questione su cui riflettere. Alcuni paesi, che nella classifica non sono ritenuti a rischio “alto” o “estremamente alto”, hanno comunque zone allarmanti. Ad esempio gli Usa che figurano al 71esimo posto della classifica WRI, ma che nello stato federato del New Mexico hanno tratti territoriali critici, ai livelli dei 17 paesi in condizioni peggiori.

Per arginare il problema si dovrebbe rendere più efficiente l’uso dell’acqua nell’agricoltura. Anche i cittadini, singolarmente, potrebbero dare il loro contributo, evitando sprechi, soprattutto di cibo, in quanto la produzione di alimentari ha bisogno di acqua.

Tra le altre cose, bisognerebbe investire in infrastrutture all’avanguardia per il trattamento delle acque, sia quelle piovane, sia quelle dei bacini, sia quelle reflue.