Smart working, se si vive in Italia per più di 183 giorni si devono pagare le tasse

Facendo il punto della situazione sul concetto di residenza fiscale, l'Agenzia delle Entrate ha chiarito dove debbano pagare le tasse i lavoratori in smart working

Pubblicato: 7 Novembre 2024 06:00

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

I lavoratori in smart working, che risiedono nel nostro Paese per più di 183 giorni all’anno, devono pagare le tasse in Italia. A fornire in maniera chiara e limpida questa indicazione è stata l’Agenzia delle Entrate, che attraverso la circolare n. 20 del 4 novembre 2024 ha fornito alcuni chiarimenti sul concetto di residenza fiscale alle luce delle ultime novità legislative che sono state introdotte in Italia.

Anche per i lavoratori in smart working la presenza fisica sul territorio italiano assume un rilievo particolarmente importante sotto il profilo fiscale. Ricordiamo che nel corso del 2023 i lavoratori da remoto, in Italia, erano pari a 3,58 milioni, in crescita rispetto al 2022 quando erano 3,57 milioni. Se si vanno a guardare i numeri pre-Covid possiamo notare una crescita del 641%. Quest’anno si stima che i lavoratori in smart working sui quali le regole della residenza fiscale impatterà saranno almeno 3,65 milioni.

Ma entriamo nel dettaglio e cerchiamo di capire cosa ha chiarito l’Agenzia delle Entrate.

Smart working, quando si è soggetti alla tassazione in Italia

Attraverso la circolare n. 20 del 4 novembre 2024 l’Agenzia delle Entrate ha fatto il punto della situazione sulla residenza fiscale in Italia e ha analizzato le regole che devono essere seguite dai contribuenti per essere in regola con le imposte.

Soffermandosi sulle persone fisiche, di particolare importanza è la presenza sul territorio italiano. Discorso diverso, invece, riguarda gli enti e le società per i quali, in via alternativa, ci può essere la sede legale o la sede di direzione effettiva. O, ancora, la gestione ordinaria delle attività in via principale.

A spingere ulteriormente in avanti la questione normativa relativa alla residenza fiscale, è la formulazione dell’articolo 2, comma 2 del Tuir, che dal 2024 ha introdotto il criterio della presenza fisica nel territorio dello Stato. Viene data, inoltre, particolare attenzione alla sfera delle relazioni familiari e personali di un determinato soggetto. Il legislatore, quindi, ha provveduto ad aggiornare i tre criteri attraverso i quali le persone fisiche vengono considerati residenti in Italia:

  • sono iscritti all’anagrafe della popolazione residente;
  • hanno eletto un domicilio in Italia ai sensi del Codice civile;
  • la loro residenza è all’interno del territorio dello Stato ai sensi del Codice Civile.

È bene precisare che i requisiti che abbiamo appena indicato sono alternativi tra di loro: perché un determinato soggetto abbia la residenza fiscale in Italia è sufficiente che ne abbia uno solo. Le indicazioni che abbiamo visto fino a questo momento si applicano anche ai lavoratori che esercitano la propria attività in smart working in contesti internazionali.

Smart working e residenza fiscale in Italia

Per analizzare la tassazione dei redditi dei lavoratori in smart working è necessario dare uno sguardo alla circolare n. 25/2023 dell’Agenzia delle Entrate, che analizza come debbano essere tassati correttamente i redditi legati al lavoro svolto da remoto. Fino allo scorso anno si riteneva che dovessero essere considerati fiscalmente residenti in Italia quanti rientravano nel nostro Paese e vi rimanevano per la maggior parte del periodo d’imposta.

A questo si aggiunge un ulteriore fattore: quello della permanenza fisica in Italia. La residenza fiscale si viene a determinare nel caso in cui il lavoratore rimanga in Italia per 183 giorni all’anno o 184 negli anni bisestili. Ai fini del conteggio devono essere presi in considerazione anche i periodi non consecutivi. Questo significa, in altre parole, che non è necessario che i lavoratori rimangano in Italia per 183 giorni in modo continuativo ed ininterrotto.

L’Agenzia delle Entrate, inoltre, ha messo in evidenza che qualora il lavoratore in smart working abbia radicato la propria residenza fiscale in Italia, nel nostro Paese dovrà pagare le tasse di tutti i redditi che ha maturato, ovunque essi siano stati prodotti. Quindi alla tassazione italiana non devono essere assoggettati unicamente quelli che derivano dalla sua attività lavorativa. Le uniche eccezioni a queste regole sono costituite dalle situazioni che rientrano in quanto disposto dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni che l’Italia ha stipulato con altri Paesi.

Soffermandosi sui soggetti che lavorano in smart working all’estero, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che le persone fisiche mantengono la residenza fiscale in Italia anche se stanno svolgendo la propria attività professionale da uno Stato estero – dove risultino essere presenti fisicamente per almeno 183 giorni ogni anno -, nel caso in cui dovessero soddisfare uno degli altri tre criteri che il legislatore ha individuato e che servono per determinare la residenza. In altre parole se mantengono la loro residenza civilistica o il loro domicilio in Italia o quando risultino essere iscritti nell’anagrafe della popolazione residente.

I lavoratori interessati dalla normativa

Aumenta ogni anno il numero dei lavoratori che svolgono la propria attività in smart working e che, quindi, sono interessati dalla normativa relativa alla residenza fiscale. Stando ai dati che emergono dal report Smartworking 2024 realizzata da Great Place to Work Italia nel 2023 erano almeno 3,58 milioni i dipendenti da remoto, in crescita rispetto ai 3,57 milioni di lavoratori registrati nel 2022.

L’indagine Europe Workforce Survey 2024 ha messo, invece, in evidenza come le realtà più virtuose del Made in Italy preferiscano un modello di lavoro ibrido in più della metà dei casi (56%), con una differenza del +37% rispetto al dato della media nazionale (19%), dove a dominare è ancora il lavoro in presenza (74%). A preferire lo smart working sono principalmente i giovani, anche se soffrono la mancanza della socializzazione in ufficio, che, ad ogni modo, diventa un aspetto molto importante per inserire la Gen Z.

I numeri crescenti dello smart working sono una delle motivazioni per le quali si è dovuto delineare con precisione dove dovessero versare le tasse i lavoratori.

In sintesi

Smart working e residenza fiscale, un binomio quanto mai importante dato i numeri in continua crescita del fenomeno. Capita spesso, infatti, che un dipendente italiano sia impiegato presso un’azienda straniera o abbia preso la residenza oltre confine. Dove deve versare le tasse e le imposte?

Se per più di 183 giorni all’anno è presente fisicamente in Italia – o ha nel nostro Paese dei legami familiari o personali – i suoi redditi saranno soggetti a tassazione da noi.