La flat tax conviene alle partite Iva? Cosa sapere

La flat tax conviene realmente ai lavoratori autonomi? Un recente studio della Cgia fa chiarezza e segue il percorso tracciato dal Governo

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

La flat tax, la cosiddetta tassa piatta, è ormai realtà, ma nonostante ciò porta ancora con sé tutte le critiche, i dubbi e le polemiche che l’avevano accompagnata quando ancora era solo un lontano pensiero per il governo Meloni che, giorno dopo giorno dopo l’insediamento, ha dovuto fare i conti con scontenti e “complottisti”. La prima a puntare il dito contro la misura che ha visto innalzare il tetto agli 85.000 per le partite Iva, è stata Baankitalia, che con la manovra ancora da approvare aveva criticato l’esecutivo sul rischio di discriminazioni fiscali tra autonomi e dipendenti. La stessa accusa, in sede di presentazione della legge di Bilancio in conferenza, è stata negata dalla stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni, con numeri chiari e soglie che non possono dire altro che una cosa: la flat tax non favorisce le partite Iva.

Flat tax, il nuovo studio sulla misura

A confermare il pensiero di Palazzo Chigi c’è anche un recente studio della Cgia di Mestre che ha evidenziato come con l’innalzamento del regime forfettario fino a 85.000 euro di fatturato gli autonomi continuano a pagare più tasse dei lavoratori dipendenti. Analizzando fascia per fascia le differenze di tasse, come fatto dalla stessa Meloni in sede di presentazione della manovra alla stampa, solo nella fascia di reddito tra i 60 e i 65.000 euro le partite Iva che si avvalgono della tassa piatta pagano meno.

In tutte le altre comparazioni, vale a dire tra 10 e 55.000 euro, gli autonomi pagheranno molto più di impiegati e operai, con punte tra i 3.760 e i 3.875 euro all’anno nella fascia tra i 25 e i 30.000 euro. Per i redditi tra i 15 e i 20.000 euro, invece, si sale a 4.200 euro.

Stando all’analisi della Cgia, se si fa il confronto tra i dipendenti e i lavoratori autonomi che non applicano la flat tax, le partite Iva arriverebbero a punte di oltre 6.000 euro all’anno nella fascia di reddito tra i 60 e i 65.000 euro. A partire dalla classe di reddito dei 60.000 euro, gli autonomi con flat tax avranno nel 2023 un prelievo fiscale annuo inferiore di 640 euro rispetto ai dipendenti, mentre con un fatturato da 65.000 si sale a 1.285 euro.

Numeri alla mano, va comunque sottolineato che la flat tax per il 2023 potrebbe interessare al massimo solo 140.000 partite iva, pari al 4,2% del totale del numero degli autonomi che attualmente non la applicano. Al momento, in Italia, secondo i dati delle dichiarazioni dei redditi 2021 (su anno di imposta 2020) i contribuenti in regime forfetario ammontano a poco meno di 1.728.000.

Quanto costa all’Italia la flat tax

Paolo Zabeo, coordinatore del Centro Studi Cgia Mestre ha quindi voluto sottolineare: “Ricordiamo che le partite Iva, i lavoratori autonomi, sono indipendenti e in quanto tali non possono contare sull’aiuto di altri né prendersi giorni di malattia o permessi. Sono lavoratori fragili e a rischio perché non godono neanche di Tfr e non possono avvalersi dell’eventuale disoccupazione. Andrebbero avvantaggiati per questo rispetto ai lavoratori dipendenti, ma nonostante la flat tax continuano a pagare di più. Bisogna fare di più per loro, ma basta mettere autonomi e dipendenti gli uni contro gli altri.

Secondo la Relazione tecnica allegata alla legge di Bilancio 2023, si stima che l’ampliamento delle soglie di ricavi/compensi per accedere alla flat tax previsto dal Governo Meloni comporterà un costo aggiuntivo per le casse dello Stato di 404 milioni di euro all’anno.