Oblio digitale, quando posso far rimuovere articoli e link da Google?

Puoi ottenere da Google la rimozione di articoli e link se i dati sono inesatti, superati o privi di interesse pubblico: è il tuo diritto all’oblio digitale

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Giorgia Dumitrascu

Avvocato civilista

Avvocato civilista con passione per la scrittura, rende il diritto accessibile attraverso pubblicazioni mirate e consulenze chiare e personalizzate.

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Un vecchio articolo che racconta un’indagine ormai archiviata continua a comparire ogni volta che qualcuno digita il tuo nome su Google. Una cronaca giudiziaria mai aggiornata, un comunicato aziendale che ti dipinge in modo scorretto, un post di blog che espone dati personali non più necessari, tutte informazioni che possono pesare sulla reputazione digitale e sulla carriera.

Non è un caso isolato. Secondo il Google Transparency Report, Google riceve oltre 1 milione di URL in richieste di rimozione solo dal 2014 ad oggi.

Avvocati, imprenditori, medici, ma anche privati cittadini chiedono sempre più spesso che vecchie notizie vengano oscurate dalle ricerche personali. Quindi, la domanda è: posso chiedere a Google di far sparire quei link?

Cos’è l’oblio digitale?

Far sparire un contenuto da Google” non vuol dire cancellare la pagina dal web. Significa impedirne la reperibilità tramite i risultati del motore di ricerca quando un utente digita nome e cognome. Si tratta di deindicizzazione:

Il link resta online, ma non appare più tra i risultati associati alla tua identità.”

Il sito che ospita l’articolo continua a esistere, ma diventa molto più difficile da trovare.

La base giuridica è l’art. 17 del Reg. UE 2016/679 (GDPR), che riconosce il diritto alla cancellazione dei dati personali:

Non sono più necessari rispetto alle finalità per cui sono stati raccolti o trattati o se l’interessato si oppone al trattamento e non sussiste alcun motivo legittimo prevalente per proseguirlo.”

Google non è editore, ma un intermediario che indicizza informazioni già pubblicate da altri. Per questo la giurisprudenza ha costruito un rimedio ad hoc, il diritto all’oblio digitale, inteso come diritto a ottenere la rimozione dai risultati di ricerca dei link lesivi della propria reputazione o non più attuali.

Quando hai diritto alla rimozione?

Non ogni informazione sgradita può essere fatta sparire dai motori di ricerca. Il diritto all’oblio digitale proviene da un delicato bilanciamento fra due valori costituzionali e sovranazionali, la riservatezza dell’individuo e la libertà di informazione.

Il punto è capire quando l’interesse del pubblico a conoscere un fatto viene meno e diventa sproporzionato rispetto al diritto della persona a non restare esposta per sempre a una notizia vecchia o non più esatta.”

La Corte di giustizia dell’Unione europea nella celebre sentenza Google Spain (C-131/12, 13 maggio 2014), ha imposto a Google di valutare le richieste di deindicizzazione presentate dai cittadini europei e che l’operatore di un motore di ricerca è responsabile del trattamento dei dati personali indicizzati e deve rimuovere i link quando le informazioni sono inadeguate, irrilevanti o non più pertinenti rispetto al tempo trascorso e non prevale l’interesse pubblico all’informazione.

La Corte di Cassazione ha chiarito che il diritto all’oblio è una proiezione della tutela della riservatezza e deve essere bilanciato con il diritto di cronaca e di informare la collettività (Cass. civ., sent. n. 9147/2023; Cass. civ. sent. n. 14488/2025). Il criterio dirimente è l’attualità dell’interesse pubblico, se la notizia è datata, non più rilevante o addirittura smentita da successivi sviluppi, la persona può chiedere che quel risultato venga rimosso dalla ricerca per nome e cognome.

Tale logica vale anche per la cronaca giudiziaria, se una vicenda è finita con assoluzione o archiviazione e gli articoli non sono stati aggiornati, il motore di ricerca può deindicizzarli su richiesta dell’interessato. Viceversa, se la notizia riguarda fatti ancora oggetto di dibattito o ha implicazioni per la sicurezza o la gestione di incarichi pubblici, può rimanere accessibile.

Rimozione in Europa o nel mondo?

Se Google accoglie una richiesta di deindicizzazione, l’effetto non è universale. Per impostazione predefinita i link vengono rimossi solo nelle versioni europee del motore di ricerca e nei risultati visualizzati da utenti che si collegano dall’Unione europea. È la conseguenza della sentenza Google LLC contro CNIL (C-507/17, 24 settembre 2019), con cui la Corte di giustizia ha stabilito che il diritto all’oblio, come previsto dall’art. 17 GDPR, non obbliga i motori di ricerca a cancellare risultati a livello mondiale, perché ogni Stato extra UE mantiene un proprio bilanciamento fra libertà di espressione e protezione dei dati personali.

Ciò significa che una persona che ottiene la deindicizzazione in base al GDPR vede sparire il link quando la ricerca viene effettuata dall’Europa o da un utente che utilizza un dominio europeo (google.it, google.fr, ecc.). All’estero, soprattutto su versioni extra UE come google.com o google.ca, il contenuto può continuare a comparire.

Google applica un sistema di geoblocking, riconosce l’indirizzo IP e nasconde i risultati rimossi a chi naviga dall’Unione, ma non agli utenti connessi da Paesi terzi.”

Esistono però casi in cui l’effetto può estendersi oltre i confini europei. Alcune sentenze in Italia hanno ordinato la rimozione globale quando l’interesse alla protezione della persona risultava particolarmente intenso e l’impatto reputazionale non poteva essere confinato alla sola UE.

Come chiedere la deindicizzazione a Google

Google offre un canale ufficiale per chiedere la rimozione di risultati di ricerca che violano la privacy o non sono più pertinenti: il modulo RTBF (Right To Be Forgotten). È disponibile online nella sezione dedicata alla rimozione di informazioni dai risultati di ricerca.
Chi vuole far valere il diritto all’oblio compila il form inserendo i propri dati personali e un recapito per eventuali comunicazioni, specifica con precisione gli URL da deindicizzare e spiega perché quelle pagine ledono la riservatezza. Le motivazioni possono riguardare la presenza di informazioni non più attuali, inesatte o ormai prive di interesse pubblico. Alla domanda vanno allegati un documento d’identità e, quando disponibili, atti che dimostrano l’inesattezza o il venir meno dell’attualità della notizia, come provvedimenti di archiviazione o sentenze di assoluzione.

Dal 2025 in Italia è attiva Results About You, che consente di monitorare e rimuovere risultati sensibili (numero di telefono, indirizzo, e-mail) direttamente dall’account Google. Non sostituisce il modulo RTBF: utile per dati personali immediati, mentre per articoli e notizie serve ancora la procedura classica.

I tempi di risposta non sono fissi: in media l’azienda comunica l’esito entro qualche settimana, ma nei casi complessi può impiegare due o tre mesi, soprattutto quando deve valutare se prevalga un forte interesse pubblico alla diffusione della notizia. L’esito arriva via e-mail: se la richiesta viene accolta, i link scompaiono dai risultati associati al nome indicato; se viene respinta, Google motiva in modo sintetico le ragioni del rifiuto.

Cosa succede se Google rifiuta la deindicizzazione?

Chi ritiene leso il proprio diritto all’oblio digitale può rivolgersi all’Autorità Garante Privacy e, in ultima istanza, il Tribunale civile. In parallelo, è spesso utile intervenire sul sito che ospita l’articolo con una richiesta di rettifica o di rimozione.

Il primo rimedio è il reclamo al Garante Privacy (art. 77 GDPR). Una procedura amministrativa che consente all’interessato di chiedere all’Autorità di ordinare a Google la rimozione del link. Il reclamo si presenta online attraverso il portale del Garante, allegando copia della richiesta inviata a Google, la risposta ricevuta e la documentazione a sostegno. L’Autorità apre un’istruttoria, può chiedere integrazioni e decide con provvedimento motivato. Se accoglie il reclamo, il Garante ordina a Google di deindicizzare i risultati e l’ordine è vincolante.

Se il reclamo non viene accolto, o l’interessato preferisce agire in sede giudiziaria, è possibile proporre un ricorso ex art. 152 del Codice Privacy dinanzi al Tribunale ordinario. Il giudizio è in camera di consiglio, con tempi più rapidi rispetto a una causa ordinaria. Il giudice, valutato il bilanciamento tra privacy e diritto di cronaca, può ordinare a Google la rimozione dei link e condannare la controparte alle spese.

Parallelamente o in alternativa, specie se l’articolo contiene errori o dati non aggiornati, è possibile agire direttamente contro l’editore del sito che ospita la notizia. Inizialmente si può inviare una diffida chiedendo la rettifica o la cancellazione, richiamando l’art. 8 della legge sulla stampa e il principio costituzionale di tutela della reputazione. Se l’editore non interviene, si può chiedere al giudice un ordine di rimozione o di aggiornamento e, nei casi più gravi, anche un risarcimento danni per lesione dell’onore o della vita privata.