La nascita di un nuovo figlio non basta, da sola, per ridurre il mantenimento dovuto ai figli del primo matrimonio. L’interesse del minore viene prima di tutto. Il Codice Civile impone che il contributo resti proporzionato ai bisogni dei figli, al loro tenore di vita e alla reale capacità economica del genitore obbligato, anche quando la famiglia si ricostruisce altrove. C’è però un errore che molti commettono, tagliare da soli l’assegno di mantenimento.
Basta una riduzione non autorizzata, per far scattare il reato previsto dall’art. 570 bis del Codice Penale, punibile con un anno di reclusione .
Indice
La nascita di un nuovo figlio dà diritto a ridurre il mantenimento?
La nascita di un nuovo figlio non comporta in automatico la riduzione dell’assegno di mantenimento verso l’ex coniuge o i figli di primo letto. Quindi, la sola creazione di un nuovo nucleo familiare non basta.
Per ottenere una riduzione serve un mutamento sopravvenuto delle condizioni economiche, cioè un cambiamento oggettivo, stabile e non imputabile alla volontà del genitore obbligato. Infatti, l’ art. 337-quinquies del Codice Civile prevede che:
“Consente al giudice di modificare l’importo del mantenimento in presenza di giustificati motivi”
La norma si applica tanto ai procedimenti di separazione quanto a quelli di divorzio. In sostanza, il genitore che chiede la revisione deve provare che, dopo la sentenza o l’accordo di separazione, siano intervenuti fatti nuovi e rilevanti: perdita del lavoro, peggioramento del reddito, sopraggiunte spese necessarie e non volontarie. La nascita di un nuovo figlio rientra tra questi fatti, ma solo se incide concretamente sull’equilibrio economico del richiedente e non è frutto di una scelta che riduce volontariamente la sua capacità contributiva.
Sul punto la Corte di Cassazione ha chiarito che:
“La formazione di un nuovo nucleo familiare non può tradursi in un pregiudizio per i figli di precedenti relazioni, e che eventuali nuovi oneri devono essere valutati solo se inevitabili e non derivanti da una libera scelta economica. (Cass. sent. n. 14114/2024)”
Come chiedere la riduzione al giudice?
Per chiedere la riduzione dell’assegno di mantenimento dopo la nascita di un nuovo figlio occorre presentare un ricorso di revisione delle condizioni familiari. Non si tratta di un nuovo giudizio, ma di una domanda di modifica delle decisioni già emesse in sede di separazione o divorzio.
La procedura è disciplinata dal rito unitario introdotto dalla riforma Cartabia. Il ricorso va presentato al Tribunale che ha pronunciato la sentenza o omologato l’accordo originario.
E’ consentita anche la domanda congiunta, se entrambi gli ex partner concordano sulla riduzione. Invece, se non c’è consenso, la domanda segue il rito previsto dagli artt. 473-bis e ss. c.p.c. Durante il procedimento, il giudice può disporre verifiche sui redditi, acquisire documenti fiscali e richiedere eventuali relazioni di indagine patrimoniale (art. 473-bis.37 c.p.c.). Il ricorso è redatto da un avvocato, che curerà il deposito telematico. I costi comprendono il contributo unificato più la parcella del legale, variabile a seconda della complessità.
I tempi medi oscillano fra 3 e 6 mesi se la domanda è congiunta, e fino a un anno o più in caso di opposizione o istruttoria economica.
Quali documenti servono per convincere il giudice?
Senza prove economiche fondate la domanda viene respinta.
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Documento |
A cosa serve |
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redditi e dichiarazioni fiscali aggiornate (CU, 730 o UNICO degli ultimi due anni) |
dimostrano la variazione di reddito rispetto al momento della separazione o del divorzio. |
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ISEE familiare del nuovo nucleo |
mostra i nuovi carichi economici e la reale situazione patrimoniale del richiedente. |
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certificato di nascita del nuovo figlio |
prova la sopravvenienza dell’evento che giustifica la richiesta di revisione. |
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spese obbligatorie documentabili (mutuo, affitto, rate, costi scolastici o sanitari, contributi previdenziali) |
attestano l’incidenza effettiva dei nuovi oneri familiari. |
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prova della convivenza stabile o del nuovo nucleo familiare (residenza comune, utenze, contratto d’affitto o mutuo cointestato) |
serve a dimostrare la solidità e il peso economico della nuova famiglia. |
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comunicazioni aziendali o INPS |
certificano la riduzione del reddito o la perdita involontaria del lavoro. |
In quali casi il giudice rifiuta la riduzione?
Il giudice può rigettare la domanda se:
“Ritiene che il cambiamento economico sia solo apparente o volontario, e non tale da alterare l’equilibrio tra le parti stabilito nella separazione o nel divorzio.”
La regola è che i nuovi oneri assunti volontariamente non bastano, se il genitore decide liberamente di contrarre nuove spese (mutuo, prestito, acquisto di casa o auto, nuovi figli da unioni successive), non può pretendere di ridurre il contributo dovuto ai figli del primo matrimonio.
È un principio di responsabilità e priorità dei doveri familiari, chi ha già obblighi di mantenimento non può diminuirli per scelta personale.
Da quando decorre la riduzione se viene accolta?
Anche quando il giudice accoglie la domanda, la riduzione non ha effetto retroattivo.
Pertanto, l’assegno modificato decorre dalla data della decisione e non dal momento della domanda o della nascita del nuovo figlio. Ciò significa che le somme già versate non possono essere recuperate, il mantenimento pagato prima della modifica è considerato dovuto e irripetibile, poiché destinato a soddisfare bisogni immediati dei figli o dell’ex coniuge.
Come viene ricalcolato l’importo?
Il principio è quello della proporzionalità: ogni genitore deve contribuire al mantenimento dei figli in misura proporzionata al proprio reddito, alle proprie capacità e al tempo di permanenza del minore con ciascuno.
Il giudice valuta quindi tre elementi:
- tenore di vita del minore prima della modifica, per evitare un abbassamento ingiustificato della qualità di vita dei figli di primo letto;
- capacità lavorativa e reddituale del genitore obbligato, sulla base delle dichiarazioni fiscali, ISEE, eventuali mutui o oneri non eludibili;
- nuove condizioni familiari effettive, cioè la presenza di altri figli o carichi obbligatori, purché non frutto di scelte volontarie che riducono artificialmente le risorse disponibili.
La finalità del ricalcolo è mantenere un equilibrio tra tutti i nuclei familiari, evitando che il nuovo figlio venga favorito o, al contrario, penalizzato rispetto ai precedenti.
Ad esempio, se un genitore versa 600 euro al mese per due figli del primo matrimonio. Dopo la nascita di un terzo figlio e un calo di reddito da 36.000 a 28.000 euro, chiede la revisione.
Se il giudice accerta che la diminuzione è reale e non volontaria, può ridurre l’importo del 20–30%, portando l’assegno a circa 420–480 euro al mese.
L’Assegno Unico Universale incide sul mantenimento?
Un elemento sempre più considerato nelle decisioni più recenti è l’Assegno Unico Universale (AUU), che costituisce un’entrata stabile per i figli a carico.
Il contributo statale, introdotto dal D.lgs. n. 230/2021, può incidere sul calcolo complessivo del mantenimento, poiché rappresenta una fonte aggiuntiva di sostegno destinata al nucleo familiare con minori. In sede di revisione, il giudice può tener conto dell’Assegno Unico per riequilibrare la ripartizione tra i genitori, soprattutto se il beneficiario dell’AUU è il genitore presso cui i figli risiedono stabilmente.
Tuttavia, l’importo non sostituisce il mantenimento dovuto dall’altro genitore, viene considerato solo come fattore correttivo, utile a ridurre eventuali squilibri e a garantire che il contributo complessivo resti proporzionato alle nuove condizioni economiche.