Il padre muore. Dopo i fiori e le condoglianze, arrivano le prime telefonate: la banca, una finanziaria, poi una cartella dell’Agenzia delle Entrate. Debiti mai sentiti nominare. La rinuncia all’eredità per debiti viene spesso vissuta come un atto formale, quasi burocratico. In realtà è una scelta che segna una linea netta tra chi si tutela e chi può ritrovarsi, senza accorgersene, con un’eredità fatta solo di passivi.
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Se rinuncio all’eredità, devo pagare i debiti di mio padre?
No, chi rinuncia non diventa erede, e proprio per questo non può essere chiamato a rispondere dei debiti del defunto. Per questo motivo, la rinuncia all’eredità per debiti è un ottimo strumento di tutela.
L’articolo 521 del Codice civile stabilisce che:
“Il rinunziante è considerato come se non fosse mai stato chiamato all’eredità”.
In altri termini, chi rinuncia esce dalla successione, come se non vi fosse mai entrato. Quindi, nessuna responsabilità per i debiti del padre o della madre deceduti e, soprattutto, nessuna aggressione possibile al patrimonio personale del figlio da parte di banche, finanziarie o Agenzia delle Entrate.
Tuttavia, può accadere che i figli, per timore di pignoramenti o per senso di responsabilità, iniziano a pagare rate, cartelle o bollette intestate al genitore, pur avendo già rinunciato o pur potendo ancora farlo. Occorre prestare attenzione perché quei pagamenti, rischiano di essere interpretati come un’accettazione tacita dell’eredità. E così, per paura dei debiti, si finisce per assumerli davvero.
Chi paga i debiti del defunto se i figli rinunciano all’eredità?
Se il figlio rinuncia all’eredità, esce dalla successione, ma i debiti non scompaiono, si applica la catena dei chiamati. Se accanto ai figli esistono altri parenti successibili, l’eredità si trasferisce a loro. È il meccanismo dell’accrescimento tra coeredi previsto dall’art. 522 c.c.:
“La quota lasciata libera da chi rinuncia si redistribuisce tra chi resta, con tutto ciò che ne consegue anche sul piano delle obbligazioni”.
Lo scenario cambia se tutti i figli rinunciano e non vi sono altri chiamati che intendano accettare, l’eredità si devolve allo Stato (art. 586 c.c.). Questo passaggio segna il confine delle pretese dei creditori.
“Lo Stato risponde dei debiti ereditari solo nei limiti dell’attivo, proprio come per l’erede che accetta con beneficio d’inventario”.
Quindi, anche quando l’eredità arriva allo Stato perché tutti hanno rinunciato, nessuno risponde oltre il valore dei beni lasciati dal defunto.
Infatti, i creditori possono agire soltanto sui beni che facevano parte dell’asse ereditario. Non possono, estendere le azioni esecutive sul patrimonio personale dei figli rinuncianti.
I debiti si ereditano sempre?
Si trasmettono tutte le obbligazioni patrimoniali del defunto, cioè quei debiti che hanno un contenuto economico e che non sono legati in modo esclusivo alla sua persona. Invece, non si trasmettono le obbligazioni strettamente personali. In queste ipotesi, con la morte dell’obbligato, il debito si estingue.
| Debiti che si ereditano | Debiti che non si ereditano |
|---|---|
| Mutuo residuo sull’immobile | Multe stradali intestate al defunto (es. eccesso di velocità, ZTL) |
| Prestiti personali e finanziamenti | Sanzioni amministrative personali (es. violazioni edilizie non patrimoniali) |
| Scoperto di conto corrente | Pene pecuniarie penali |
| Debiti fiscali (IRPEF, IMU, TARI non pagate) | Assegno di mantenimento futuro (restano solo gli arretrati già maturati) |
| Cartelle esattoriali | Obblighi derivanti da rapporti professionali personali (incarichi fiduciari, mandati) |
| Spese condominiali arretrate | Obblighi risarcitori legati a condotte personali non patrimoniali |
| Debiti verso fornitori o privati | Sanzioni disciplinari o professionali |
Rinuncia o beneficio d’inventario?
Se il genitore aveva dei debiti, la scelta non è solo tra accettare o rinunciare. In alternativa si può procedere con l’accettazione con beneficio d’inventario, che consente di diventare eredi limitando però la responsabilità per i debiti nei confini di ciò che si eredita.
L’art. 490 c.c. stabilisce che:
“L’erede beneficiato risponde delle passività solo entro il valore dell’attivo ereditario, senza coinvolgere il patrimonio personale”.
Il beneficio d’inventario può avere senso quando il patrimonio non è immediatamente leggibile, un immobile su cui gravano ipoteche, conti correnti da verificare, rapporti bancari non del tutto chiari.
L’accettazione con beneficio d’inventario si fa con dichiarazione davanti al notaio o al cancelliere del Tribunale e deve essere seguita dalla redazione dell’inventario entro tre mesi se il chiamato è nel possesso dei beni ereditari, oppure entro il termine fissato dal giudice quando non vi sia stato possesso.
Come si rinuncia all’eredità per debiti?
Per rinunciare all’eredità occorre una dichiarazione espressa di rinuncia (art 519 c.c.). Significa che la rinuncia è valida solo se resa davanti a un pubblico ufficiale ed annotata nei registri delle successioni.
La dichiarazione può essere presentata:
- presso il Tribunale del luogo dell’ultimo domicilio del defunto, tramite la cancelleria della Volontaria Giurisdizione;
- davanti a un notaio, che redige l’atto pubblico di rinuncia.
L’ effetti giuridico è il medesimo: la rinuncia è opponibile ai terzi, compresi banche, finanziarie e Agenzia delle Entrate. Il Tribunale è la strada preferenziale per contenere la spesa; mentre, il notaio è preferito se occorre coordinare più atti, più coeredi o situazioni patrimoniali articolate.
Quanto costa la rinuncia all’eredità e quali sono i termini?
Sul piano dei costi, la rinuncia all’eredità comporta diritti di cancelleria e marche. In Tribunale il costo resta in genere contenuto (nell’ordine di poche decine di euro); dal notaio, invece, incidono anche gli onorari professionali, con una spesa complessiva variabile in base alla complessità dell’atto e al numero dei rinuncianti.
Quanto ai termini, il Codice civile stabilisce che il chiamato all’eredità ha dieci anni di tempo per accettare o rinunciare. Tuttavia, questo termine lungo è solo teorico. Nella pratica, se il chiamato entra nel possesso dei beni ereditari, deve fare l’inventario entro tre mesi e, successivamente, decidere se accettare con beneficio d’inventario o rinunciare.
Scaduti questi termini senza che sia stata formalizzata la rinuncia, l’eredità si considera accettata, con tutte le conseguenze anche in punto di debiti.
L’accettazione tacita prima della rinuncia
Il rischio maggiore si concentra quasi sempre prima della rinuncia.
“L’art. 476 c.c. considera erede anche chi non ha mai firmato un atto di accettazione, ma ha compiuto atti che presuppongono la volontà di accettare”.
Anche un solo comportamento incompatibile con la volontà di rinunciare integra l’accettazione tacita. Significa che, usare i beni del defunto, venderli, incassare somme spettanti all’eredità o pagare i debiti del genitore con denaro personale può far perdere il diritto di rinunciare.
Se il genitore appare “nullatenente” molti figli sono portati a pensare che rinunciare sia inutile. Tuttavia, i debiti col Fisco, spese condominiali arretrate e utenze, non scompaiono con l’assenza di beni. Senza una rinuncia formale, esiste sempre il rischio che un comportamento successivo venga interpretato come accettazione, esponendo il figlio.