Sul web non mancano i commenti al veleno nei confronti della modifica normativa, voluta dall’attuale Governo, che – di fatto – penalizza economicamente i genitori di figli maggiorenni, single e non autosufficienti perché senza reddito da lavoro. Si tratta dei neet, coloro che non studiano e non sono occupati, una categoria di giovani che vive in una sorta di zona grigia e che – oggi – grava sul calcolo dell’Isee familiare, anche col superamento dei 26 anni di età.
Il rischio odierno è quello di impedire ai genitori di ottenere l’accesso a sussidi, sovvenzioni e aiuti di vario tipo che, in precedenza, erano possibili per la separazione del figlio neet, ormai grande e non convivente, dall’Isee del nucleo originario.
C’è chi parla di “cortocircuito” normativo e chi invece – apertamente – sostiene che l’Esecutivo stia conducendo una battaglia contro chi avrebbe la colpa o la responsabilità di non tentare neanche di inserirsi nel mondo del lavoro e nel tessuto produttivo del Paese. Ma, in concreto, che cosa c’è di vero in queste critiche? Quali sono le regole normative applicate oggi in tema di Isee e di figli adulti e – di fatto – vincolati economicamente ai propri genitori? Proviamo a fare chiarezza.
Il ritorno alla previgente disciplina Isee nucleo familiare e figli a carico Irpef
La questione è molto concreta. Con una novità nelle regole che hanno segnato il passaggio dal reddito di cittadinanza all’assegno di inclusione, il Governo ha stabilito che i figli con più di 26 anni, pur non convivendo con i genitori, debbano essere comunque compresi nel calcolo dell’Isee familiare qualora:
- non abbiano un reddito superiore alla soglia di indipendenza economica;
- non siano sposati;
- non abbiano figli.
Ma quindi cosa è cambiato nelle norme di legge? Lo ha chiaramente ribadito il Ministero del Lavoro nel suo sito web ufficiale, usando queste parole:
per effetto dell’abrogazione dell’articolo 2, comma 5, lettera b) del decreto-legge 28 gennaio 2019, n.4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n.29 , a far data al 1° gennaio 2024, con riferimento al nucleo Isee dei figli maggiorenni non conviventi con i genitori torna ad applicarsi la previsione di cui all’articolo 3, comma 5 del DPCM 159/2013.
Perciò, ai sensi del decreto 407/2023, il figlio o la figlia maggiorenne non convivente con i genitori e a loro carico ai fini Irpef, nell’ipotesi di celibato o nubilato e in assenza di prole, continua a far parte del nucleo familiare dei genitori – e del relativo Isee – indipendentemente dalla sua età anagrafica.
Inoltre, nella specifica ipotesi in cui i genitori appartengano a nuclei familiari diversi, il figlio o la figlia maggiorenne – se a carico di entrambi – farà parte del nucleo familiare di uno dei genitori, da lui o da lei individuato.
Che cosa è cambiato per le famiglie meno abbienti
Come è noto, l’Isee è la porta d’accesso a un ampio ventaglio di bonus, prestazioni e agevolazioni sociali, assistenziali e sociosanitarie, e strumenti di sostegno al reddito, ciascuno poi regolato da particolari requisiti, secondo limiti differenti dell’indicatore.
Ebbene, la conseguenza della suddetta modifica delle regole Isee – una sorta di “ritorno al passato” – è stata la perdita per moltissime persone di misure di sostegno previste dalle istituzioni. Il motivo è facilmente intuibile: negli anni scorsi, se il figlio compiva 26 anni di età e aveva residenza anagrafica diversa da quella dei genitori, era libero di formare un suo nucleo familiare autonomo e con Isee a se stante, “sgravando” quindi quello della famiglia di origine.
Chiaro allora che la modifica in oggetto può avere impatti rilevanti sull’indicatore Isee, che in molti casi si alza, facendo perdere o ridurre l’accesso a prestazioni correlate al reddito familiare. Il risultato è che molte persone che fino al 2023 hanno presentato la DSU da sole, dopo il 2024 e anche nel 2025 rischiano di non poter più beneficiare di una varietà di aiuti pubblici, come l’assegno di inclusione, la Carta Acquisti, le agevolazioni scolastiche, i bonus comunali, le agevolazioni per l’accesso alla casa popolare o l’esenzione ticket sanitario.
Non solo: è oggi più difficile l’accesso a prestazioni sociali e bonus anche se il figlio stesso non beneficia direttamente di quei servizi.
E, sfatando un diffuso luogo comune che alimenta tuttora discussioni nei forum di internet, non è vero che oggi la separata residenza anagrafica è quell’elemento chiave in grado di giustificare – da solo – la possibilità di fare un Isee distinto del figlio maggiorenne, anche maggiore di 26 anni.
Fanno invece parte di un nucleo a se stante i figli maggiorenni, non conviventi con i genitori, che siano almeno in una delle seguenti condizioni: non a loro carico ai fini Irpef oppure coniugati e/o con figli.
Qual è il reddito per non essere considerati fiscalmente a carico dei genitori
Per capire meglio quando si rischia di perdere l’accesso a benefici e agevolazioni per colpa di un Isee familiare più alto, le norme in materia ci dicono che l’indicatore separato da quello dei genitori è possibile quando il figlio maggiorenne abbia redditi complessivi annui (al lordo degli oneri deducibili), che gli consentano di non essere considerato fiscalmente a carico, ossia maggiori di:
- 4 mila euro all’anno, se la sua età è entro i 24 anni;
- 2.840,51 euro all’anno, se la sua età va oltre i 24 anni.
Ecco perché non sono mancati i casi in cui ad es. il giovane che – fino al 2023 – beneficiava del reddito di cittadinanza, si è trovato senza i requisiti per l’assegno di inclusione. A essere penalizzati sono sia i figli maggiorenni nelle condizioni citate, sia i nuclei familiari di origine. Una modifica normativa alle regole Isee che, proprio perché onerosa per molte famiglie, va conosciuta e compresa.