Immobili in costruzione, si perdono le agevolazioni prima casa dopo 3 anni

La Corte di Cassazione torna sugli immobili in costruzione e le agevolazioni prima casa: si perdono se i lavori non sono ultimati in 3 anni

Foto di Pierpaolo Molinengo

Pierpaolo Molinengo

Giornalista

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

Pubblicato:

Si ha un tempo massimo di tre anni, poi le agevolazioni prima casa decadono in automatico. È quanto emerge da una recente pronuncia della Corte di Cassazione, che ha analizzato il caso di un immobile ancora in costruzione per il quale gli sconti fiscali sono decaduti dopo tre anni dalla data di acquisto perché i lavori non sono stati ultimati.

La perdita delle agevolazioni connesse all’acquisto della prima casa comporta il pagamento della differenza tra le imposte ordinarie e quelle versate in misura agevolata nel momento in cui è stato effettuato l’acquisto. A cui si  aggiunge una sanzione pari al 30% della differenza d’imposta.

Agevolazioni “a tempo” per gli immobili di categoria F/3

A fare il punto della situazione sulle pratiche connesse agli immobili in costruzione e alle agevolazioni sulla prima casa è stata la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 25790/2025.

Ha ribadito che non è possibile applicare le imposte ridotte nel caso in cui i lavori di realizzazione dell’immobile non vengano ultimati entro 3 anni dalla data del rogito.

La permanenza del manufatto nella categoria catastale F/3 dimostra che l’intervento non è stato ultimato nell’arco dei 3 anni previsti, anche se il contribuente ci ha trasferito la residenza all’interno e ha provveduto ad attivare le varie utenze.

È bene ricordare, infatti, che il catasto utilizza la categoria F per identificare le unità immobiliari che non hanno ancora una destinazione definitiva o che non siano ancora utilizzabili come dei locali produttivi o delle abitazioni.

Il caso delle agevolazioni revocate in tribunale

La decisione della Corte di Cassazione prende spunto dal caso di due contribuenti che avevano acquistato un immobile in costruzione, per il quale avevano fruito delle agevolazioni previste per la prima casa, prima fra tutte l’aliquota Iva al 4%.

Dopo aver effettuato una serie di controlli, l’Agenzia delle Entrate aveva contestato ai due contribuenti la decadenza delle agevolazioni: i lavori per la realizzazione dell’immobile, infatti, non erano stati ultimati entro i tre anni previsti dalla data di stipula dell’atto.

Questo ha portato all’emissione di due diversi avvisi di liquidazione, attraverso i quali sono state:

  • revocata l’Iva agevolata sull’acquisto;
  • recuperata l’imposta sostitutiva relativa alle operazioni di credito a medio-lungo periodo.

I due contribuenti non avevano condiviso l’impostazione dell’Agenzia delle Entrate e, quindi, hanno deciso di impugnare gli avvisi presso il Ctp di Biella, dove è stato richiesto l’annullamento degli avvisi e il ripristino delle agevolazioni prima casa.

In primo grado i giudici hanno deciso di rigettare il ricorso. I contribuenti non si sono arresi ma, in sede di appello, la Ctr del Piemonte ha confermato la revoca delle agevolazioni. I lavori, infatti, non erano stati ultimati entro i 3 anni dall’atto di acquisto e l’immobile non era stato nemmeno regolarizzato al catasto.

Il contenzioso tra i due contribuenti e l’Agenzia delle Entrate non è finito qui. Si è arrivati al giudice di legittimità.

I due contribuenti ritenevano che non aver ultimato i lavori entro tre anni non sia una causa prevista dalla legge per decadere dalle agevolazioni sulla prima casa. Ma, soprattutto, ritenevano che per poter mantenere le agevolazioni per un immobile in corso di costruzione sia necessario il suo effettivo utilizzo come abitazione principale.

A supporto del loro ragionamento i due hanno prodotto una serie di prove documentali che attestavano il loro trasferimento di residenza e l’attivazione delle utenze. Fatti che non sono mai stati contestati dagli uffici preposti.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dei due contribuenti. È stata ritenuta corretta la decisione dei giudici piemontesi.

L’avviso di liquidazione dell’imposta di registro è legittimo: i due contribuenti, infatti, avevano violato l’obbligo di ultimare la ristrutturazione entro 3 anni e non avevano richiesto l’attribuzione di un’altra categoria e della relativa rendita.

L’immobile continuava a essere classificato come F/3, situazione che metteva in evidenza che i lavori ufficialmente non erano stati terminati.

A mettere completamente dalla parte del torto i due contribuenti, almeno secondo il Collegio di Legittimità, era proprio la permanenza dell’immobile nella categoria catastale F, che non risulta idonea a costituire una classificazione utile per usufruire dell’agevolazione prima casa.

È una categoria fittizia, che viene utilizzata dal catasto per le unità immobiliari che non hanno una destinazione definitiva o che sul momento non possono essere utilizzate come unità immobiliari o locali produttivi.

La permanenza nella categoria F confermava il fatto che i lavori non erano stati ultimati nelle tempistiche previste dalla legge. Gli elementi portati in aula dai contribuenti – il cambio di residenza e l’attivazione delle utenze – non sono stati ritenuti dirimenti.

Il sistema sanzionatorio Iva è conforme

La Corte di Cassazione ha respinto anche una censura dei contribuenti, secondo cui i giudici piemontesi non si sarebbero espressi per l’incostituzionalità dell’articolo 75 del Dpr n. 633/1972.

I ricorrenti ritenevano che la norma violi il principio di imparzialità della Pubblica Amministrazione perché si sarebbe venuto a creare un potenziale conflitto d’interessi tra l’interesse pubblico e quello economico dell’accertatore.

I due contribuenti avevano puntato il dito su questa parte della norma:

Il venti per cento dei proventi delle sanzioni pecuniarie è devoluto ai fondi costituiti presso l’amministrazione o il corpo cui appartengono gli accertatori, con le modalità previste con decreto del Ministro per le finanze.

Le contestazioni sono state respinte perché la norma attiene alla discrezionalità del legislatore, mentre la destinazione delle somme e i presupposti che portano all’attività accertatrice sono improntati a dei meccanismi automatici, predeterminati ed obbligatori. Proprio per i motivi che abbiamo appena elencato esulano dal potere di scelta dell’organo accertatore, venendo meno, quindi, il potenziale conflitto d’interesse.