Digital Tax è sostanzialmente un’imposta sui servizi digitali, che viene applicata – nella misura del 3% – ai ricavi che derivano dalla fornitura di servizi digitali. La tassazione, in altre parole, si riferisce alla pubblicità che viene effettuata sui siti web e sui social medi. Riguarda, inoltre, anche l’accesso alle piattaforme digitali, ai corrispettivi che vengono percepiti dai gestori di queste piattaforme e anche alla trasmissione dei dati presi dagli utenti.
Diventano imponibili tutti i ricavi dell’utente che risultano essere localizzati in Italia. La localizzazione viene effettuata tramite l’indirizzo IP.
Indice
Digital Tax Italia: cos’è cosa prevede
La Digital Tax consiste in un’aliquota del 3% sull’ammontare dei ricavi tassabili conseguiti nel corso dell’anno solare. Si tratta di una modifica rispetto all’ultima Legge di Bilancio del Governo Gentiloni, che prevedeva una imposta sulle transazioni finanziarie che fissava un’aliquota al 6%, mai entrata in vigore per la mancanza di decreti attuativi. Vengono considerati soggetti passivi dell’imposta coloro che, singolarmente o a livello di gruppo, nell’anno solare precedente realizzano:
- un ammontare complessivo di ricavi non inferiore a 750 milioni di euro;
- un ammontare di ricavi derivanti da servizi digitali conseguiti nel territorio dello Stato non inferiore a 5,5 milioni di euro.
L’imposta viene applicata sui ricavi realizzati nell’anno solare, e non su quelli compiuti trimestralmente. Si prevede un versamento dell’imposta entro il 16 febbraio dell’anno solare successivo a quello di riferimento, e una dichiarazione annuale presentata dalle imprese interessate sull’ammontare dei servizi tassabili forniti entro il 31 marzo dello stesso anno. Per le società che appartengono allo stesso gruppo è nominata una singola società che ne fa parte, per fare fronte agli obblighi derivanti dalle disposizioni relative all’imposta sui servizi digitali.
La Web Tax nell’Unione Europea
La Commissione europea ha proposto nel marzo del 2018 la cosiddetta Web Tax, applicabile sui ricavi da vendita di pubblicità, sulla cessione dati e sull’intermediazione tra utenti e business. L’obiettivo è che i big di Internet rendano conto al fisco dei Paesi in cui producono profitti. Si tratta di una situazione temporanea, ma la Commissione sta vagliano anche soluzioni a lungo termine, per permettere agli Stati membri dell’UE “di tassare i profitti dove sono generati, anche se le aziende non hanno una presenza fisica nel loro territorio”.
Sono tre i criteri per individuare una “presenza digitale tassabile” adeguata, per assoggettare le aziende digitali al fisco nazionale. In tal modo, una società che opera su web diventa equiparabile a una qualunque altra azienda della cosiddetta “old economy” se supera i 7 milioni di euro di ricavi annuali in uno Stato membro, se ha più di 100mila utenti registrati in uno Stato oppure se ha più di 3000 contratti per servizi digitali ad utenti business.
La Web Tax e la Digital Tax in Italia
La necessità di una tassa nazionale deriva dall’impossibilità europea di giungere a un accordo condiviso a causa dell’opposizione di alcuni paesi, come Irlanda, Danimarca, Svezia e Finlandia, caratterizzati da una bassa imposizione fiscale e che godono del meccanismo del “Ctrl. X Ctrl. V” attuato dai colossi digitali che spostano il denaro eludendo il fisco nazionale. Nell’attesa che l’OCSE arrivi ad una soluzione condivisa, prevista per il prossimo anno, l’Italia, come la Francia (ma anche Gran Bretagna, Spagna, Germania, Ungheria) ha deciso di pensare ad una soluzione “locale”.
Ecco quindi che la Digital Tax 2020 interviene sulla disciplina già studiata nella Legge di Bilancio 2019 ma risulta essere immediatamente esecutiva. Dunque, non richiede un apposito decreto ministeriale per l’applicazione della normativa. Vengono chiarite le modalità applicative del tributo circa i corrispettivi colpiti, le dichiarazioni, la periodicità del prelievo; sono individuate le ipotesi di esclusione; è inserito l’obbligo per i soggetti passivi non residenti di nominare un rappresentante fiscale.
Digital Tax Italia e differenza con la Web Tax
La soluzione italiana considera esclusa dall’imposta digitale la “fornitura diretta di beni e servizi, nell’ambito di un servizio di intermediazione digitale“; “la messa a disposizione di un’interfaccia digitale il cui scopo esclusivo o principale è quello della fornitura agli utenti dell’interfaccia, da parte del soggetto che gestisce l’interfaccia stessa, di contenuti digitali, servizi di comunicazione o servizi di pagamento”; “la messa a disposizione di un’interfaccia digitale utilizzata per gestire diversi servizi bancari e finanziari”.
Salvi quindi: le banche, siti aziendali, soggetti finanziari già soggetti ad accise; operatori telefonici e fornitori di contenuti digitali come le tv, i giornali. Una differenza con la Digital Tax francese è la sunset clause. Si chiarisce, cioè, che la disciplina dell’imposta sui servizi digitali è abrogata con decorrenza dal momento in cui entreranno in vigore disposizioni derivanti da accordi internazionali in materia di tassazione dell’economia digitale.
L’avvento dell’economia digitale ha portato ad importanti sfide dal punto di vista fiscale. In un panorama globalizzato dell’economia mondiale, infatti, le regole fiscali tradizionali si sono trovate ad affrontare fenomeni di elevata mobilità dei contribuenti e del capitale, elevato numero di transazioni transfrontaliere e internazionalizzazione delle strutture finanziarie. Anche l’Italia ha deciso, dunque, di optare per un sistema di tassazione “indipendente”, con la Digital Tax, in attesa che qualcosa si muova sul piano comunitario e del G20.