Anche le chiese e i luoghi di culto devono pagare la Tari. Quando c’è l’esenzione

Chiese e luoghi di culto devono pagare la tassa sui rifiuti, sempre che l'amministrazione comunale non preveda delle esenzioni rispettando il principio "chi inquina paga"

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

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Tari per le chiese e gli altri luoghi di culto: quando devono essere pagati questi “oboli” per degli immobili che hanno delle funzioni pubbliche? A portare alla ribalta l’argomento è una recente risoluzione del Dipartimento delle Finanze (datata 15 settembre 2025). È stato ribadito che, almeno per la tassa sui rifiuti, non è prevista alcuna riduzione alla normativa di riferimento.

Quando è ora di pagare la Tari, sono gli enti locali a dover prendere le decisioni di merito, ma dovranno sempre attenersi a un principio fondamentale: chi inquina paga.

Tari, non spetta l’esenzione automatica

A definire le regole che stanno a monte della Tari è la legge n. 147/2013. La norma ha introdotto una serie di esenzioni che gli enti locali – in questo caso il Comune nel quale sono ubicati gli immobili – possono prevedere in determinati casi. La tassa rifiuti, per esempio, può non essere pagata nel caso in cui gli utilizzatori degli immobili soggiornino per un lungo periodo all’estero e ne facciano un uso limitato e discontinuo: tra le ipotesi che prevedono un esonero però non si fa menzione in alcun modo ai luoghi di culto.

Se è vero, però, che le disposizioni non prevedono dei veri e propri trattamenti particolari, gli enti locali hanno pur sempre la possibilità di prevedere una serie di riduzioni e di esenzioni da andare ad affiancare a quelle previste dal legislatore nazionale. In quest’ultimo caso l’eventuale mancato gettito deve essere opportunamente garantito dalla fiscalità generale, in modo da evitare di sottrarre delle risorse necessarie a finanziare il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti.

Esonero o riduzione, la scelta spetta al Comune

Quando un Comune non prende una decisione in un senso o nell’altro, le chiese e gli altri luoghi di culto sono tenute a rispettare le stesse scadenze degli altri contribuenti. La Tari, quindi, deve essere pagata. Il Dipartimento delle Finanze, però, ricorda che gli enti territoriali sono chiamati prendere in considerazione quale sia la natura degli spazi, soprattutto quando sono delle superfici che proprio per la loro conformazione non prevedono la produzione di rifiuti in grandi quantità.

A ogni modo la regola “chi inquina paga” vale per tutti, anche se non dev’essere applicata allo stesso modo. La tariffa deve essere determinata tenendo conto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, in modo da adeguare gli importi che devono essere versati alla quantità dei rifiuti che vengono realmente prodotti.

Cosa succede con la Tarsu

L’orientamento che abbiamo appena visto per la Tari è lo stesso che c’era in passato per la Tarsu, la Tassa per lo Smaltimento dei Rifiuti Solidi Urbani, prevista dal Dlgs n. 507 del 15 novembre 1993 e sostituita – con la Legge n. 147 del 27 dicembre 2013, ossia la Finanziaria 2014 – dall’attuale Tari.

L’orientamento del Dipartimento delle Finanze è lo stesso della Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 16641 del 23 maggio 2022 ha previsto che gli edifici adibiti a culto religioso siano esenti da Tari e da Tarsu, purché la norma venga applicata in armonia con il principio comunitario che chi sta inquinando deve anche pagare. E che soprattutto vengano rispettate le disposizioni previste dagli articoli 62 e 70 del Dlgs n. 507/1993.

Il caso specifico

A finire sulla scrivania dei giudici della Corte di Cassazione, qualche anno fa, è stato il caso di un’associazione religiosa – priva di un’intesa con lo Stato italiano – che aveva impugnato una cartella di pagamento della Tarsu che si riferiva al 2008. L’associazione sosteneva che i locali oggetto di tassazione fossero adibiti al culto: proprio per questo motivo dovevano beneficiare dell’esenzione prevista dal locale regolamento comunale in materia, in quel caso, della Tarsu.

In primo grado, il ricorso è stato respinto. A questo punto l’associazione ha deciso di proporre appello, che è stato respinto dalla Commissione Tributaria Regionale: la motivazione della decisione era da addurre al fatto che non fosse stata stipulata un’intesa con lo Stato italiano, ai sensi del comma 3, dell’articolo 8 della Costituzione. Mancava, in altre parole, il riconoscimento di carattere di confessione religiosa. L’associazione ha, quindi, proposto ricorso per Cassazione.

La presa di posizione della Corte di Cassazione

Uno dei nodi che i giudici di legittimità hanno dovuto sciogliere era legato alla questione dell’effettivo riconoscimento del carattere di confessione religiosa. Nel caso specifico, l’esenzione dalla Tarsu veniva negata dando un’interpretazione errata del regolamento comunale, nella parte in cui era prevista un’esenzione dalla Tarsu per gli edifici adibiti al culto.

Secondo la Cassazione, la suddetta norma non può essere interpretata in senso letterale, prevedendo che venga applicata solo e soltanto alle comunità religiose che hanno stipulato un’intesa con lo Stato italiano. Una confessione religiosa non ha necessità di un riconoscimento statale per potersi qualificare come tale. E, soprattutto, non è necessario stipulare un’intesa ad hoc con lo Stato. Ma non solo: la norma del regolamento comunale è considerata secondaria e come tale deve essere interpretata in armonia con quella primaria. In altre parole non può trovare spazio una norma del regolamento che esenti dal pagamento della Tarsu immobili che sono idonei alla produzione dei rifiuti.

I giudici, in altre parole, ritengono che il riconoscimento della confessione religiosa è altra cosa rispetto alla stipula di un’intesa con lo Stato: in Italia vige il libero esercizio del culto, in forma individuale o associata. Quello che è importante comprendere è se i locali destinati all’esercizio del culto siano o meno idonei a produrre rifiuti.

Perché si possa parlare di locali destinati all’esercizio del culto è necessario:

  • accertare che la comunità che si riunisce al suo interno sia una confessione religiosa;
  • che la suddetta comunità si riunisca all’interno dei locali per esercitare il culto e non per altre attività (anche se lecite).

A questo punto spetta all’ente:

  • farsi parte attiva nell’individuare le comunità religiose secondo una serie di criteri appropriati e compatibili con la Costituzione, in modo da evitare dei trattamenti discriminatori;
  • prevedere un onere dichiarativo da parte della Comunità che aspiri a vedersi riconosciuti dei benefici fiscali.

Sulla base dei principi elencati fino a questo momento, ai fini del trattamento Tari/Tarsu devono essere considerati anche quelli nei quali concretamente si esercita una pratica che in un qualche modo si può definire di culto.