Tregua per l’Ucraina, Macron e Starmer definiscono il nuovo piano europeo di aiuti

Londra e Parigi lanciano una strategia per Kiev: più soldi, armi e una tregua di un mese. Trump rivede i piani, Mosca calcola le mosse, Zelensky cerca di restare in gioco

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Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

Pubblicato: 3 Marzo 2025 08:26

Il primo ministro britannico Keir Starmer ha messo sul tavolo una strategia che trasforma l’Europa da spettatrice in finanziatrice ufficiale del conflitto ucraino. Il vertice di Londra, con i rappresentanti di 16 Paesi euroatlantici, ha prodotto una bozza franco-britannica che si propone di aumentare il peso dell’Europa sul campo e, allo stesso tempo, alleggerire quello degli Stati Uniti. Un piano che prevede più soldi, più armi e un’eventuale coalizione ristretta pronta a muoversi senza aspettare il via libera di Washington.

La proposta di Londra e Parigi è un tentativo di tappare la falla lasciata dagli americani e di vendere l’immagine di un’Europa capace di agire da sola. Starmer ha convocato quindici alleati atlantici nella Lancaster House, Italia inclusa, per ribadire che l’Ucraina non verrà lasciata a sé stessa. Non una questione di altruismo, ma di puro calcolo: se Kiev crolla, i costi per la sicurezza del Vecchio Continente salgono alle stelle. L’Europa si è svegliata dal torpore strategico, ma con l’amara consapevolezza che il tempo del supporto illimitato da Washington è agli sgoccioli. Le parole di Starmer non lasciano spazio a illusioni: ora la guerra la pagano gli europei, in tutti i sensi. Che poi questa sia la strada migliore, è tutto da vedere.

In cosa consiste la strategia europea per Kiev

Starmer ha rilanciato l’idea di un’Europa meno spettatrice e più azionista nel conflitto ucraino. Tra le mosse annunciate, la proposta franco-britannica di una tregua di un mese, che fermerebbe i bombardamenti dal cielo, dal mare e sulle infrastrutture strategiche. Macron ha fatto sapere a Le Figaro che i contatti sono avviati, ma non sarà una passeggiata.

Per Starmer, la partita non è solo militare, ma esistenziale per il futuro europeo. In ballo c’è il peso geopolitico del continente, che si gioca su quattro assi: armi e soldi per Kiev, uno stop ai combattimenti come premessa per un’intesa, la garanzia della sovranità ucraina e un sistema di deterrenza per dissuadere Mosca da nuove scorribande. “Abbiamo concordato – ha detto Starmer – che Londra e Parigi, con il possibile coinvolgimento di altri Stati, sviluppino un piano da sottoporre agli Stati Uniti. Nessuno è escluso, ma serve velocità e pragmatismo”, con la nascita di una “coalizione di volenterosi” che agisca senza aspettare il benestare di tutti. Più che un’alleanza, un club ristretto di chi vuole metterci faccia e portafoglio.

Dietro la facciata, però, ci sono tensioni: mentre Francia e Gran Bretagna provano a tracciare la strada, altri alleati tentennano. L’idea di schierare truppe europee lungo i confini ucraini per proteggere la fragile tregua è ancora un’ipotesi, ma qualcuno già si chiede con quale mandato opererebbero quei soldati. Non basta mandare uomini per dire che l’Europa ha una strategia.

L’iniezione di fondi per la difesa aerea ucraina

Londra stacca un altro assegno per Kiev: 2 miliardi di euro per la difesa aerea, un’iniezione di missili per tenere in piedi il sistema di protezione ucraino. Nel pacchetto ci sono 5.000 ordigni, una pioggia di ferro che servirà a blindare le infrastrutture critiche. Starmer ha spiegato che il piano serve a dare all’Ucraina margine nei negoziati futuri, evitando di sedersi al tavolo con il cappello in mano.

Nel frattempo, Ursula von der Leyen ripete che l’Europa deve attrezzarsi meglio, mentre Giorgia Meloni fa da equilibrista: conferma l’importanza dell’asse con gli Stati Uniti, ma senza entusiasmo per l’idea di un contingente europeo in Ucraina. Nell’incontro con Zelensky ha però ribadito la vicinanza dell’Italia all’Ucraina. Dalla Polonia, Donald Tusk si accoda, chiedendo un summit d’emergenza tra Unione Europea e Stati Uniti, nella speranza che l’Atlantico non si allarghi più di quanto già non stia facendo.

La reazione di Mosca

Mosca ha risposto senza troppi convenevoli. Serghei Lavrov ha liquidato l’idea di un contingente occidentale in Ucraina come l’ennesima “arroganza” europea, buona solo a tenere vivo il conflitto. “Macron e Starmer parlano di migliaia di peacekeeper con copertura aerea. Una follia”, ha sbottato il ministro degli Esteri russo sulle colonne di Krasnaya Zvezda.

Intanto, il Cremlino sta lucidando la sedia per il possibile ritorno di Donald Trump in Russia. Dmitry Peskov ha lasciato intendere che un cambio di amministrazione a Washington potrebbe rimettere in discussione il rapporto tra le due potenze. Se Trump dovesse rientrare in gioco, Mosca sarebbe pronta a trattare su basi nuove, magari con qualche concessione in cambio di un ridimensionamento del sostegno americano a Kiev.

Il fronte statunitense e la posizione su Zelensky

Mosca strizza l’occhio a Trump, mentre alla Casa Bianca la tensione con Kiev si fa palpabile. Dopo il faccia a faccia al veleno tra Trump e Zelensky nello Studio Ovale, il messaggio degli Stati Uniti è arrivato forte e chiaro: Kiev può prepararsi a sedersi al tavolo con Mosca o farsi da parte. Gli americani non hanno intenzione di dilapidare risorse all’infinito per un conflitto che non hanno più voglia di sostenere alle stesse condizioni.

Mike Waltz, consigliere per la sicurezza nazionale, ha parlato alla Cnn: serve un leader disposto a negoziare con Washington e con la Russia per chiudere la partita. Mike Johnson, speaker della Camera, è andato oltre, lasciando intendere che Zelensky dovrebbe iniziare a pensare a un passo indietro se continua a rifiutare l’accordo sulle risorse minerarie, considerato un tassello essenziale per qualsiasi intesa di pace. Anche Marco Rubio, una volta tra i più filo-ucraini del Congresso, non nasconde più l’irritazione per l’atteggiamento del presidente ucraino, accusato di frenare gli sforzi diplomatici.

Zelensky, dal canto suo, prova a mantenere il sangue freddo. Ha definito gli Stati Uniti un “partner strategico” e giura che la collaborazione andrà avanti, ma la realtà è più complessa. Ricorda che la leadership ucraina spetta agli ucraini e si aggrappa a un vecchio impegno: in passato si era detto disposto a lasciare il potere in cambio dell’ingresso nella Nato. Parole che oggi suonano più come un promemoria per gli alleati occidentali che come una reale proposta sul tavolo.

Il ruolo dell’Ungheria e le critiche di Orban

Mentre i leader europei mettono mano al portafoglio per Kiev, Viktor Orban si ritaglia il solito ruolo: quello di chi punta il dito senza sporcarsi le mani. Da Budapest rilancia l’idea che l’Europa stia scegliendo di allungare il conflitto invece di cercare una soluzione. “Hanno deciso che l’Ucraina deve continuare la guerra. È una scelta pericolosa e sbagliata. L’Ungheria resta dalla parte della pace”, ha sentenziato su X.

Il premier ungherese non è Gandhi, ha bisogno di Mosca per garantirsi gas e stabilità politica interna, quindi mantiene la linea: ostacolare ogni tentativo di convergenza europea sul sostegno all’Ucraina e presentarsi come unico vero mediatore tra Oriente e Occidente.