Trump inaugura la guerra dei dazi a mezzo mondo: quali conseguenze avrà sul commercio?

L'aumento delle tariffe doganali ai danni di Canada, Messico e Cina rischiano di innescare un effetto domino sulle economie di tutti partner commerciali degli Usa. Quali beni e settori sono coinvolti e cosa rischiamo

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Pubblicato: 2 Febbraio 2025 08:53

Il 1° febbraio 2025 è la data ufficiale dell’inizio della guerra dei dazi voluta da Donald Trump contro mezzo mondo. Letteralmente mezzo mondo, in quanto la Cina conta quasi un miliardo e mezzo di persone, mentre Messico, Canada ed Europa altri tre quarti di miliardo.

Dopo i proclami e le polemiche, gli Usa hanno inaugurato l’aumento delle tariffe del 25% per Messico e Canada e del 10% per i prodotti provenienti dalla Cina. E presto, tuona il presidente americano, arriveranno anche i dazi ai danni degli Stati Ue. Il lancio della nuova politica commerciale statunitense è arrivato con tanto di smentita da parte della Casa Bianca nei confronti dell’agenzia Reuters, la quale aveva parlato di dazi posticipati al 1° marzo. Sugli effetti concreti e sulla fattuale applicazione delle misure, però, regna ancora molta incertezza.

Cosa succede coi dazi imposti da Trump

Diciamo subito che giornalisti, esperti ed economisti americani già non nascondo la loro opinione sul programma trumpiano. “La guerra commerciale più stupida della storia”, ha titolato il Wall Street Journal il giorno stesso dell’entrata in vigore. La previsione è che i dazi appena intrapresi – più alti per i vicini canadesi che per i rivali cinesi, per inciso – renderanno l’economia statunitense meno competitiva. Gli Usa sono ascesi all’egemonia globale e al controllo dei mari anche grazie a un espediente commerciale: si sono resi i compratori di ultima istanza di tutte le loro province, a cominciare da quelle europee. La ricetta di Trump prevede invece che gli Stati Uniti riprendano a esportare e a rilanciare la produzione nazionale, mettendo in serio pericolo uno dei pilastri strategici del Paese. E, di conseguenza, paventando un effetto domino sulle economie di tutti i Paesi che hanno nell’America il principale o uno dei principali partner commerciali.

Sebbene dietro le mosse di Donald Trump ci siano ambiti tutt’altro che economici, come l’immigrazione e la ridefinizione dei confini comuni, i dazi a Canada, Messico e soprattutto Cina potrebbero avere conseguenze dirette e rapide anche alle nostre latitudini, coinvolgendo i consumatori europei e italiani. Secondo gli analisti i possibili scenari sono essenzialmente tre, anche sovrapponibili tra loro:

  • prezzi più alti: aumentare le tasse sulle importazioni significa aumentare il prezzo dei beni per le aziende. Questa differenza di costo sarà riproposta e amplificata anche sui prezzi al consumo, a cominciare da beni come automobili (soprattutto elettriche, in scia alla competizione con la Cina), prodotti alimentari e materiali edili;
  • prodotti meno disponibili: per lo stesso motivo (i prezzi alti) le aziende potrebbero decidere di rinunciare ad acquistare determinati beni o a cercare fonti di approvvigionamento alternative, determinando in ogni caso ritardi o annullamenti della disponibilità dei prodotti;
  • meno lavoro: i costi maggiori per beni e materie prime spingeranno le aziende a tagliare anche altre voci di spesa, inclusi i salari. Si agita così lo spettro di ondate di licenziamenti o di riduzione degli stipendi.

Quali beni e quali settori saranno colpiti dai dazi Usa

I nuovi dazi americani colpiranno settori strategici come acciaio, alluminio, rame, semiconduttori, prodotti farmaceutici e settore energetico. Trump ha giustificato l’imposizione delle misure contro Canada e Messico con la necessità di contrastare l’immigrazione irregolare e il traffico di droga attraverso le frontiere, mentre i dazi sulle importazioni dalla Cina sono stati motivati dal ruolo di Pechino nella crisi del fentanyl.

La Casa Bianca non ha ancora fornito dettagli su eventuali esenzioni per specifiche industrie, nonostante le pressioni di aziende e trust statunitensi preoccupati per le ripercussioni sulle catene di approvvigionamento e sui costi di produzione. Tuttavia, il tycoon ha ventilato l’ipotesi di applicare un’aliquota ridotta, al 10%, sul petrolio canadese.

Come reagiranno Canada e Messico

Il Canada e il Messico hanno annunciato contromisure immediate. Il primo ministro canadese, Justin Trudeau, ha dichiarato che Ottawa risponderà con fermezza, affermando che “la nostra economia potrebbe soffrire, ma non possiamo accettare imposizioni unilaterali senza reagire”.

La presidente messicana Claudia Sheinbaum ha invece predisposto una serie di atti di ritorsione su prodotti statunitensi, sottolineando che i dazi di Trump potrebbero comportare un costo di miliardi di dollari sulle stesse imprese e sui consumatori americani. Il ministro dell’Economia messicano, Marcelo Ebrard, ha inoltre avvertito che l’aumento delle tariffe faranno salire il prezzo di beni di largo consumo come automobili, computer, televisori, elettrodomestici e prodotti alimentari.

Cosa succederà con la Cina?

La Cina è un discorso a sé. Il grande rivale futuro per l’egemonia globale detiene un’ampia fetta del deficit statunitense e in quasi 25 anni di apertura al mercato globale è diventata esportatore di elevato valore aggiunto, a partire dalle tecnologie verdi. Di colpo le politiche Ue sul Green Deal e sulla transizione energetica hanno rappresentato, agli occhi degli Usa, una concreta minaccia di penetrazione cinese nel continente più importante del pianeta. Da qui il cambio di rotta invocato da Trump: basta green, petrolio e gas a tutto spiano. L’Unione europea è rimasta a dir poco disorientata da questo valzer geoeconomico, guardando a Pechino contemporaneamente come un partner commerciale irrinunciabile e come un nemico sistematico su indicazione di Washington.

L’obiettivo degli Usa è impedire che i proventi del surplus commerciale cinese siano investiti dalla Repubblica Popolare Comunista nel riarmo, nello sviluppo nucleare e tecnologico e nel livellamento delle divisioni interne. Nello stesso dossier entra di prepotenza anche la guerra in Ucraina, che gli Stati Uniti vogliono congelare al più presto negoziando Vladimir Putin per evitare che la Russia – coi suoi idrocarburi e le sue risorse – diventi la facile preda della Cina. Allo stesso modo l’Iran, in caso di sconfitta contro Israele, rimarrebbe sempre più invischiato nella cooperazione con Mosca e Pechino in funzione anti-occidentale. Quando si tratta di grandi potenze, l’economia è sempre soltanto uno strumento, una parte del tutto. Mai l’origine e il fine delle strategie imperiali.