Le solite polemiche sulle nomine di “parenti di” sono passate in secondo piano perfino con il cognato della stessa premier Giorgia Meloni, diventato ministro dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare. Francesco Lollobrigida, d’altronde, è abituato a doversi ritagliare uno spazio all’ombra della sorella della moglie Arianna, conosciuta proprio tra le fila del Movimento Sociale Italiano e di Alleanza Nazionale.
Con l’attuale premier e “l’altra” Meloni condivide infatti una lunga militanza nei partiti di destra, e nel tempo ha ricoperto importanti incarichi dirigenziali in via della Scrofa, diventando infine capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia. Ma la bufera che si sta abbattendo su di lui non riguarda il presunto trattamento di favore ricevuto dalla cognata. Il suo ruolo al Governo è infatti giustificato dagli oltre 25 anni di politica. A essere sotto esame, questa volta, è il nome dato al dicastero di cui è diventato il numero uno.
Critiche su Francesco Lollobrigida e la sovranità alimentare: chi è contro
Il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali ha infatti cambiato nome in Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare. E questa svolta non è piaciuta all’opposizione. Quel termine richiamerebbe troppo il sovranismo di destra e, sommato ai nuovi nomi di altri ministeri, restituirebbe un’immagine dell’Italia lontana dal presente e nostalgica.
I nuovi nomi dei dicasteri hanno anche scatenato l’ilarità del web e addirittura le battute al vetriolo di alcuni esponenti politici. Come la ex presidente della Camera Laura Boldrini, che sui social ha scritto “Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare. Che vuol dire? Metteranno fuori legge l’ananas? Ministero delle Pari opportunità insieme a Famiglia e Natalità. Siamo a Roma o a Varsavia? È il Governo della destra retrograda, autarchica e un po’ grottesca”.
La senatrice dem Sandra Zampa ha rincarato la dose, sempre sul social, chiedendosi se sovranità alimentare “vuol dire che il camembert te lo devi portare di nascosto in tasca? E se ti beccano a mangiarlo?”. Stessa linea del collega Carlo Cottarelli, che invece si è domandato se la cena a Jesolo con baccalà alla vicentina fosse a base di cibi “sovrani”, dato che la “ricetta è veneta, non c’è dubbio, ma il merluzzo viene dai mari del Nord. Che fare? Mangiare? Non mangiare? Urge chiarimento. Presenterò interrogazione parlamentare”.
Tra le polemiche c’è anche chi ha apostrofato gli esponenti dei partiti di centrosinistra, cercando di limitare le battute e le polemiche sui nuovi nomi per evitare un’operazione pubblicitaria gratuita ai partiti di maggioranza, che uscirebbero vincitori da simili questioni di lana caprina.
Cos’è davvero la sovranità alimentare e cosa farà il ministro
Ma cos’è dunque questa sovranità alimentare di cui si parla da giorni? Difficile dare una definizione univoca e che metta d’accordo tutti, visto che questo termine è in circolo dalla metà degli anni ’90. La sua paternità è rivendicata dall’associazione Via Campesina, che riunì in Messico nel 1996 le piccole e medie imprese e gli agricoltori di oltre 80 Paesi.
Tuttavia il concetto è diventato universale e trasversale. Tant’è che il governo francese, a trazione centrista, ha di recente cambiato il nome del suo ministero dell’Agricoltura in Ministère de l’Agriculture et de la Souveraineté alimentaire. E non è l’unico caso al mondo in cui la sovranità alimentare è entrata nel linguaggio istituzionale e giuridico.
A grandi linee possiamo dire che si tratta di una corrente di pensiero che valorizza le produzioni locali e combatte gli sprechi e lo sfruttamento dell’ambiente e dei lavoratori. Si pone in aperto contrasto con la globalizzazione e il capitalismo, e mira alla conservazione delle eccellenze del territorio e dell’arte culinaria tipica. Insomma, niente di sbagliato. Almeno su carta.
Anche in ambito accademico si discute però sulla validità di questo tipo di politiche e sulla loro efficacia. In particolare viene sottolineato che chilometro zero non equivale sempre a miglior qualità del prodotto, né a minor impatto ambientale o sociale. Alcuni luoghi, ad esempio, potrebbero non beneficiare di un tipo di agricoltura su piccola scala. E inoltre sarebbero più esposti ai rischi connessi a disastri naturali locali.
L’attuazione di una piena sovranità alimentare, poi, rivoluzionerebbe in maniera radicale i metodi di produzione e le aziende agricole. E non è detto che nelle campagne questo cambiamento sia auspicabile o desiderato dagli stessi addetti ai lavori.
Francesco Lollobrigida ha già fatto sapere, in parte, quali piani intende attuare. Tra questi togliere il limite ai terreni incolti, con un piano per ottenere fino a un milione di ettari coltivabili, il rinnovo dei contratti di filiera chiari per aiutare i produttori, l’istituzione di nuovi fondi per le aziende in crisi.
E poi la lotta all’etichetta Nutri-Score creata in Francia e ai cibi Italian sounding – che hanno cioè nomi riconducibili ai nostri prodotti a denominazione protetta. Si è detto inoltre contrario ai cibi prodotti in laboratorio con un minor utilizzo di materie prime. Posizioni che sembrano piacere ad alcune associazioni di settore, come Coldiretti e Slow Food. Bisognerà dunque aspettare l’attuazione del programma per capire se il ministro porterà effettivamente l’Italia indietro, come temono in molti, se aiuterà un settore in crisi a riprendersi o se, a conti fatti, a cambiare sarà solo il nome del suo dicastero.