È da poco trascorso il terzo anniversario della data che ha cambiato per sempre la storia contemporanea dell’Unione europea e della Gran Bretagna. Deve aver provato un intenso brivido lungo la schiena David Cameron, ex primo ministro inglese, per anni paladino del Partito conservatore britannico, quando lo scorso 1° febbraio i media e i tabloid del Paese hanno ricordato quel giorno di tre anni prima in cui la Brexit prese corpo in maniera ufficiale, facendo scende da 28 a 27 il numero di Stati membri del Continente europeo. Un processo culminato dopo anni di trattative estenuanti tra i vertici europei e le istituzioni d’oltremanica, mentre tutto era cominciato con un referendum popolare quanto mai inatteso che proprio David Cameron aveva indetto sulla scia delle proteste del Partito indipendentista (Ukip) guidato dal suo istrionico leader Nagel Garage.
Cameron era contrario all’uscita dalla Ue
L’allora premier inglese, David Cameron, convinto di poter indire una consultazione fra i sudditi di Sua Maestà pur schierandosi contro l’uscita dall’Unione europea, venne travolto dalla scelta dei suoi concittadini. Fu costretto a rassegnare le dimissioni, per poi uscire dai riflettori della scena pubblica, troppo scottato per rimanere in un ruolo centrale, tanto nel suo partito quanto a Downing Street. Oggi al suo posto c’è Rishi Sunak, giovane miliardario nato nella città di Southampton ma con la famiglia di origini africane (da parte di padre) e indiane (da parte di madre). Ora – dopo diversi anni di caos con i governi di Theresa May e di Boris Johnson, fino all’ultimo esecutivo di Liz Truss durato poco più di un mese – tocca a lui trovare un accordo con il Vecchio Continente su alcune questioni davvero scottanti.
Trovato un accordo commerciale tra Gran Bretagna e Unione europea: cosa prevede l’intesa
Il tema più dirimente per l’opinione pubblica dell’isola riguarda il confine fisico che si verrebbe a creare tra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord nel caso in cui non venisse trovato a stretto giro un definitivo accordo commerciale tra la Gran Bretagna e l’Unione europea. Questo perché l’Irlanda, che ancora fa parte stabilmente dei 27 Paesi membri europei, ha un limite territoriale condiviso con la sua omologa del Nord: qualora non si giungesse in tempi brevi ad un patto per import ed export, lo scenario più surreale vedrebbe la necessità di erigere un muro vero e proprio tra i due Stati per consentire la regolamentazione nel transito di merci e cittadini. Una divisione che non esiste più da oltre un secolo e che oggi rischia invece di tornare attuale, cancellando in un attimo decenni di battaglie per una convivenza pacifica.
Per scongiurare tutto questo, il numero uno del governo di Londra ha incontrato Ursula von der Leyen e insieme pare abbiano trovato una soluzione allo stallo attraverso il cosiddetto “schema Windsor” (dal nome della cittadina in cui si sono visti, luogo celebre in tutto il mondo per la residenza secolare dei rappresentanti della Corona). In sostanza, si è arrivati alla definizione di un’intesa che prevede la creazione di un “corridoio verde” per la compravendita di prodotti e servizi che rimangono in Irlanda del Nord, per i quali non ci sarà pressoché nessun controllo, accompagnato però da un “corridoio rosso” per tutti quei beni che invece vengono destinati al mercato europeo.
Nuovo “corridoio rosso” per gestire il flusso commerciale tra Europa e Regno Unito
Ed è qui che il tema arriva a toccare anche, in parte, i nostri interessi. Secondo l’ultimo report stilato dal ministero degli Esteri italiano (grazie alla collaborazione con Confindustria e l’ambasciata inglese di stanza a Roma), nel 2022 l’export del nostro Paese verso la Gran Bretagna è tornato a registrare un valore complessivo che supera i 26 miliardi di euro complessivi. Un dato che non si vedeva dal 2019, ossia dall’ultimo anno prima della brusca frenata causata dall’emergenza sanitaria globale da Covid-19. Sintomo di come le nostre imprese – in primis quelle di macchinari e apparecchiature, che guidano le vendite all’estero con un fatturato annuo da oltre 3 miliardi di euro – stiano tornando ad essere centrali per gli acquisti di Londra.
Ora però, nonostante l’intesa trovata tra il premier inglese e la presidente della Commissione europea, il rischio che le nuove regole ostacolino questo percorso di crescita si fa sempre più concreto. Come sempre capita ci vorranno mesi, forse anni, affinché i nuovi meccanismi di commercio con la Gran Bretagna vengano assimilati dalla Comunità europea. Con buona pace di altri comparti molto forti nelle vendite oltremanica: osservando i dati della Farnesina, anche l’enogastronomia è tornata ai livelli precedenti alla pandemia (con il valore dell’export che supera i 2 miliardi di euro annui), così come il settore dell’automotive (2,7 miliardi di euro nel 2022) e quello dell’abbigliamento (1,9 miliardi di euro annui).
Cambiano le regole per l’export verso la Gran Bretagna: tutti i settori dell’industria italiana che ne risentiranno
Per proseguire nell’elenco delle attività commerciali che si stanno interrogando su quale sarà il destino a breve termine delle loro esportazioni verso la Gran Bretagna, sopra la quota di 1 miliardo di euro di vendite annue si collocano ben altri 7 ambiti industriali. Partendo dal più virtuoso (ed escludendo i primi 4 già citati), troviamo il settore dei prodotti farmaceutici e delle ricette cosmetiche, che è tornato a navigare oltre il valore di 1,6 miliardi di euro annui. Alle sue spalle c’è il comparto dei fertilizzanti e dei prodotti chimici per le imprese, che registra un’attività di export da 1,3 miliardi di euro nei dodici mesi del 2022. Di poco più basso quello dei prodotti di metallurgia, che segna un valore di 1,2 miliardi di euro annui; stessa cosa vale per gli articoli realizzati in pelle (esclusi quelli relativi all’abbigliamento), utilizzati soprattutto per i rivestimenti. Ci si chiede, inoltre, cosa cambierà con la Brexit per lo shopping online.
Intanto, superano quota 1 miliardo di euro di valore complessivo anche le esportazioni in Gran Bretagna del comparto elettrico ed elettronico – compresi i classici strumenti come prese e ciabatte presenti nelle case di qualsiasi cittadino – e del settore dei mezzi di trasporto, la cui voce comprende “navi e imbarcazioni, locomotive e materiale rotabile, aeromobili, veicoli spaziali e altri mezzi militari”. Infine l’industria delle bevande, che registra numeri da record nel 2022, dato che storicamente è sempre stato molto più importante il volume delle importazioni nel nostro Paese rispetto a quello delle vendite oltre confine.