“Il raccolto di quest’anno ormai lo diamo per perduto, purtroppo non c’è niente da fare. E anche per quanto riguarda le piante già germogliate, quelle seminate da poco, la probabilità che muoiano tutte è molto alta. Anzi, è quasi una certezza. In questi giorni non ho pace, cerco di non pensare a ciò che è accaduto ma al momento è impossibile: la notte non si dorme, si piange e basta, in silenzio, con la speranza che l’acqua se ne vada il prima possibile. D’altronde, al momento, non possiamo fare altro”.
Nelle frasi di Sandro Verdi (nome di fantasia), agricoltore romagnolo di 56 anni (di cui 40 trascorsi a lavorare nei campi), c’è tutto il dolore e lo sconforto di una terra che sta vivendo uno dei periodi più difficili della propria storia. Il comparto più colpito dalla terribile alluvione dei giorni scorsi è ovviamente il suo: un settore, quello del commercio ortofrutticolo, che rischia di ricevere il colpo di grazia dopo ben 17 mesi in cui la siccità e la mancanza d’acqua (sembra surreale dirlo ora) avevano già causato da danni per centinaia di milioni di euro.
Alluvione in Emilia Romagna, la disperazione degli agricoltori: “Dobbiamo buttare tutto”
Nella lettera che ha scritto alla redazione di Qui Finanza (chiedendo di mantenere il riserbo sul proprio nome, rimanendo lontano dai riflettori e mostrando tutto l’orgoglio che da sempre caratterizza questa terra di lavoratori infaticabili), ha parlato anche delle colture devastate dalla pioggia che si è abbattuta – con ben due alluvioni mai viste prima nello spazio di meno di 10 giorni – in particolare sulle province di Forlì, Cesena, Ravenna e Rimini, coinvolgendo anche il ferrarese, il bolognese, la provincia di Modena e la zona più a Nord delle Marche.
Siccità da una parte, mancanza d’acqua dall’altra. Per un agricoltore come lui (che da 40 anni porta avanti l’azienda di famiglia, senza mai voler strafare ma con una solidità di fondo costruita nel tempo), osservare il proprio frutteto allagato è come vedere un coltello nel petto della propria madre. A questo sentimento di violazione e ingiustizia si aggiungono lo sconforto e l’enorme fastidio per il fatto di non poter agire in prima persona – com’è abituato a fare chiunque abbia tra le mani un’impresa personale – per salvare il salvabile.
“A differenza che in altre aree, dove anche le abitazioni sono ancora sommerse da acqua e fango, qui le case sono tornate accessibili – specifica ancora Veronesi – anche se le vediamo stravolte al loro interno dalla violenza con cui sono state colpite dai canali. La stessa cosa però non si può dire per le piantagioni, dove il terreno delle colture è ancora sommerso da diversi metri di d’acqua. In queste condizioni le radici delle piante muoiono velocemente. È questo il vero dramma, siamo stati colpiti da una disgrazia a cui non possiamo opporci in alcun modo”.
Alluvione in Emilia Romagna, le cause spiegate dagli esperti
Centinaia di fiumi straripati – non solo quelli principali, ma anche gli affluenti, con i torrenti e i corsi di collina che hanno letteralmente inondato le valli del territorio, alterando la fisionomia del paesaggio come mai successo prima d’ora – sono il risultato di un cambiamento climatico che in questa regione risulta più evidente che altrove. Come spiegano gli esperti della Protezione civile, i problemi che hanno accompagnato la Romagna negli ultimi decenni sono sempre stati relativi alla siccità e alla secchezza dei terreni, mentre è sempre stata l’Emilia l’area costretta a convivere con forti precipitazioni sporadiche.
Per questo, sui fiumi delle province di Parma, Reggio Emilia e Piacenza (in particolare il Secchia, il torrente Parma e il Baganza) sono state costruite le cosiddette casse di espansione, che consentono la diramazione dell’acqua su tutto il territorio nei momenti di piogge intense. Stesso compito è quello affidato alle dighe di sbarramento, che permettono la gestione delle piene quando le precipitazioni si intensificano. Niente di tutto questo è stato pensato per la Romagna, con i risultati a cui tutti abbiamo assistito in questi giorni.
Quali sono le piante da frutto devastate dall’alluvione in Emilia Romagna
Venendo al tema delle colture devastate dall’acqua, sono essenzialmente 4 le tipologie di frutti che vengono esportate in tutta Italia (e non solo) grazie alle coltivazioni ortofrutticole della Romagna. Prodotti che, come viene facile intuire, subiranno un inevitabile aumento del proprio prezzo al dettaglio, sia per chi le acquista nei supermercati o all’ingrosso nei discount, sia per chi si rivolge ai piccoli negozi di vicinato e alle botteghe presenti nelle frazioni.
Secondo una prima analisi condotta da Confagricoltura Emilia Romagna, concentrandosi solo sulla produzione di albicocche, ci sono circa 5.300 ettari di frutteto che non potranno essere utilizzati (in tutto o in parte) per la raccolta iniziata appena poche settimane fa. I frutti che sarebbero maturati fino ad agosto iniziano già ora ad aprirsi e spaccarsi, ripieni d’acqua, mostrando i primi segni di deterioramento. Nel giro di pochi giorni finiranno per marcire e non potranno essere portati ai centri di smistamento che ogni anno riforniscono tutta la penisola.
La stessa cosa sta accadendo alle pesche, le cui piante risultano essere le più delicate sotto questo punto di vista: bastano dalle 24 alle 48 ore di troppa acqua e i prodotti degli arbusti diventano inutilizzabili. Il problema – come sottolinea il Centro servizi ortofrutticoli – è che parliamo di oltre duemila ettari di pescheti condannati a morte.
Prezzi in aumento per questi prodotti dopo l’alluvione in Romagna
I due esempi citati sono probabilmente i più drammatici, sia osservando la mole di alberi irrecuperabili, sia per le dirette conseguenze sulle logiche di mercato. Sia le albicocche che le pesche vedranno schizzare il loro costo medio: le prime stime formulate dai consorzi territoriali parlano di un raddoppio del prezzo delle cassette, anche se il dato pare destinato ad essere solo parziale, con la concreta possibilità che il valore di ogni singolo frutto aumenti dalle 3 alle 4 volte se confrontato con quanto sarebbe successo senza le alluvioni.
Infine, ci sono altre due tipologie di coltivazioni che vedranno accrescere il costo dei propri frutti nel periodo compreso tra giugno e settembre. Stiamo parlando dei kiwi (che contano ben 3mila ettari di terreno nella sola Emilia Romagna) e delle ciliegie, con quest’ultime che stanno già marcendo a causa dell’alta capacità di assorbimento d’acqua in un tempo ristretto.
Per questi prodotti il prezzo medio di vendita vedrà un aumento spaventoso (non solo da noi, ma in tutta Europa) a causa di un altro fattore concomitante: oltre all’Italia, l’altra grande area in cui vengono coltivati è la penisola iberica, che in queste settimane è stata colpita da un’intensa ondata di caldo afoso che ha portato le temperature medie di città come Barcellona e Siviglia a superare i 42 gradi per diverse ore durante il giorno.