Abbiamo un primo testo della Manovra 2025 e in questo il Governo conferma di aver stanziato 1,3 miliardi di euro (in più) per il Sistema sanitario nazionale (Ssn) nel 2025. Le promesse erano però ben diverse. Nonostante l’impegno dichiarato a investire oltre 3 miliardi per nuove assunzioni di personale sanitario, la Manovra si ferma a una cifra che è insufficiente per affrontare le numerose criticità. Per il settore, per usare le parole dei sindacati, si tratta dell’ennesima delusione.
Nessuna svolta nella Sanità: promesse non mantenute
Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, aveva promesso una “svolta” con oltre 3 miliardi di euro per rafforzare la sanità pubblica e reclutare nuovi medici e infermieri. La realtà della Manovra finanziaria racconta un’altra storia. Il testo depositato alla Camera prevede un aumento complessivo di 2,5 miliardi di euro per il 2025, sommando i fondi previsti nella legge di bilancio dello scorso anno.
Ma gran parte di queste risorse sono destinate a coprire vecchi impegni, portando l’aumento netto della spesa sanitaria allo 0,4% del Pil, una cifra che non raggiunge nemmeno un miliardo di euro. La decisione non è passata inosservata e ha scatenato forti reazioni da parte del settore, che si trova in affanno.
Cosa prevede (davvero) la Manovra
I numeri della Manovra, al netto delle dichiarazioni da social (come quelle della premier Giorgia Meloni), sono chiari.
Dei 1,3 miliardi aggiuntivi, 150 milioni saranno destinati all’aumento delle indennità per il personale sanitario, in particolare per i medici e gli infermieri che operano nei pronto soccorso. Una misura accolta con delusione dalle organizzazioni sindacali, perché si traduce in “17 euro netti al mese per i medici e 7 euro per gli infermieri e non sono certo la svolta che ci aspettavamo”. Denunciano così sindacalisti di Anaao e Cimo-Fesmed.
Anche le aspettative di un piano straordinario per nuove assunzioni sono state completamente disattese: non ci saranno nuovi medici o infermieri nel 2025 e il piano di assunzioni è stato posticipato al 2026.
Oltre a questo, la manovra prevede 184,5 milioni di euro per il taglio delle liste d’attesa, ma con un forte coinvolgimento della sanità privata. Il governo ha infatti deciso di aumentare i fondi destinati agli specialisti ambulatoriali convenzionati e ai servizi del privato accreditato, favorendo strutture private soprattutto in Lombardia e Lazio, regioni dove questo settore è particolarmente florido.
Schillaci nega tagli: trend invertito e positivo
In questo contesto di scontro, le dichiarazioni del ministro Schillaci appaiono in contrasto con la realtà dei fatti. Il ministro ha sottolineato che “quest’anno non ci sono stati tagli alla sanità” e che si sta invertendo la rotta, ma i numeri della Manovra raccontano una storia diversa. L’aumento netto della spesa sanitaria, secondo le stime, ammonta a solo lo 0,4% del Pil, ben lontano dalle necessità di un settore che soffre da anni di sotto-finanziamento cronico.
Il ministro ha anche puntato il dito contro la cattiva gestione delle risorse a livello regionale, affermando che alcune Regioni non hanno utilizzato i fondi stanziati per ridurre le liste d’attesa. Vero, confermano dal settore, ma la critica non basta a giustificare il ridotto stanziamento complessivo, che non è sufficiente nemmeno a coprire le esigenze di assunzione di nuovo personale o a risolvere le criticità dei pronto soccorso sovraffollati.
Risorse insufficienti per la sanità pubblica
Con questo stanziamento, il Governo non arriva nemmeno a coprire la metà dei fondi necessari per affrontare le emergenze attuali della sanità, secondo la segretaria del PD Elly Schlein. La mancanza di fondi sufficienti per il reclutamento di personale sanitario, insieme al ritardo dell’attuazione del piano straordinario di assunzioni, fa sì che le criticità esistenti (lunghe liste d’attesa, pronto soccorso sovraffollati e personale insufficiente) continuino ad aggravarsi.
Le risorse destinate al privato, inoltre, riducono ulteriormente la capacità della sanità pubblica di rispondere alle esigenze dei cittadini. La fondazione Gimbe ha espresso preoccupazione per il fatto che i pochi fondi stanziati saranno assorbiti dai rinnovi contrattuali, lasciando ben poco spazio per migliorare realmente i servizi offerti.
Aumentano le tensioni: verso lo sciopero del settore
Le tensioni sul finanziamento della sanità non si limitano alle dichiarazioni del Governo, ma stanno sfociando in uno scontro aperto con i sindacati e l’opposizione. Mentre il ministro della Salute Orazio Schillaci e la premier Giorgia Meloni mantengono la posizione del “quest’anno non ci sono tagli alla sanità”, la realtà dipinta dai numeri della Manovra e dalle critiche sembra apparire molto diversa.
Secondo i sindacati degli operatori sanitari Anaao Assomed, Cimo-Fesmed e Nursing Up, i fondi destinati alla sanità sono “una riduzione del finanziamento rispetto a quanto proclamato per mesi”, con un incremento netto di appena 1,3 miliardi di euro che non copre nemmeno la metà delle necessità urgenti. La delusione ha spinto i sindacati a organizzare uno sciopero nazionale per il 20 novembre, in segno di protesta contro la Manovra e il mancato stanziamento di risorse adeguate per il settore pubblico.
Sarà il primo sciopero contro la legge di Bilancio, con la partecipazione anche del Movimento 5 Stelle, il cui leader Giuseppe Conte ha denunciato che così “4 milioni e mezzo di cittadini rinunciano alle cure a causa dei tagli”. Anche la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha confermato la sua partecipazione allo sciopero e lanciato un duro attacco contro il Governo, definendo il finanziamento alla sanità “una batosta clamorosa per il servizio sanitario nazionale”.
Mentre il Governo insiste sulla necessità di una migliore organizzazione delle risorse esistenti, i sindacati e l’opposizione vedono in questa manovra l’ennesima occasione persa per rafforzare il Sistema sanitario nazionale e rispondere alle esigenze dei cittadini. La tensione culminerà con la mobilitazione di medici, infermieri e altre sigle sindacali che hanno già annunciato proteste a partire dal 13 novembre con un’altra manifestazione a Roma, seguita dallo sciopero generale il 20 novembre.