Industria italiana sempre più giù, ma è boom nella produzione di farmaci

Ennesimo tonfo per la produzione industriale italiana, che raggiunge così il 14esimo mese di fila con il segno meno

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

La produzione industriale italiana continua a scendere, registrando un calo del 3,5% a marzo rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Si è così arrivati al 14esimo mese consecutivo di contrazione. Secondo l’Istat, la diminuzione rispetto al mese precedente è del 0,5%.

I settori: bene quello dei farmaci e prodotti petroliferi, male abbigliamento e macchinari

Ormai sono mesi che la produzione industriale in Italia è con il segno meno. Tra i principali raggruppamenti industriali, si nota una crescita su base mensile solo nel settore dell’energia (+1,7%); invece, diminuiscono i beni intermedi (-0,1%), i beni di consumo (-0,6%) e i beni strumentali (-3,8%).

Su base annua, la diminuzione osservata a marzo coinvolge tutti i principali comparti: il calo è modesto per l’energia (-0,1%) e i beni intermedi (-1,8%), mentre è più significativo per i beni di consumo (-4,6%) e i beni strumentali (-5,7%). I settori economici con i maggiori incrementi sono la produzione di prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici (+4,8%), la fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (+4,4%) e la fabbricazione di prodotti chimici (+3,2%). Le diminuzioni più significative si riscontrano nelle industrie tessili, dell’abbigliamento, delle pelli e degli accessori (-9,3%), nella fabbricazione di mezzi di trasporto (-8,8%) e nella fabbricazione di macchinari (-5,9%).

Una Caporetto! Peggio di così non si può. Non solo su base annua prosegue indisturbata la caduta, che, come rileva l’Istat, dura da 14 mesi, ma il pessimo trend riguarda anche i beni di consumo, totali, durevoli e non durevoli, che precipitano anche loro da febbraio 2023. Insomma, dati allarmanti e preoccupanti” afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.

Secondo lo studio dell’associazione, se la produzione di marzo 2024, nei dati corretti destagionalizzati, è scesa dello 0,5% su febbraio 2024, nel confronto con gennaio 2023, ossia prima che iniziasse la discesa ininterrotta, è inferiore del 4,1%. Per i beni di consumo il gap sale al 7%, che diventa addirittura -12,1% per i beni di consumo durevoli. “Insomma, un burrone. E’ evidente che se non si rilanciano i consumi delle famiglie la produzione industriale non può che andare male” commenta Dona.

Cresce a febbraio il fatturato dell’industria

L’Istat ha diffuso anche i dati sul fatturato dell’industria, relativi al mese di febbraio, periodo in cui l’andamento della produzione risultava meno negativo. A febbraio, si stima che il fatturato dell’industria (ovvero i ricavi influenzati anche dall’inflazione) registri un aumento sia in valore (+2%) sia in volume (+1,4%) su base mensile, con incrementi dell’1,1% sul mercato interno (+0,6% in volume) e del 4,0% su quello estero (+2,8% in volume). Rispetto a febbraio 2023, il fatturato dell’industria segna una flessione dell’1,7% in valore (-2,5% sul mercato interno e -0,1% su quello estero), ma registra un incremento dello 0,7% in volume (+0,6% sul mercato interno e +0,9% su quello estero), considerando anche l’effetto dei giorni lavorativi, che sono stati 21 contro i 20 di febbraio 2023.

L’Istat, in un focus incluso nella nota sull’andamento dell’economia italiana, osserva che il calo dell’inflazione, in corso da alcuni mesi, potrebbe subire delle interruzioni temporanee. Il processo di disinflazione osservato dalla primavera del 2023 è stato principalmente guidato dai beni con prezzi le cui variazioni hanno carattere persistente, come beni e servizi per la casa e servizi di trasporto privati. Tuttavia, si evidenzia che la dinamica di riduzione a medio termine dei prezzi di beni e servizi potrebbe subire interruzioni di natura temporanea, a causa dell’apporto dei prezzi dei beni con variazioni non persistenti, tra cui trasporto, istruzione, servizi sanitari e culturali.