Con l’inizio del nuovo anno scolastico l’Italia si trova a fare i conti con un problema che da tempo segna profondamente il panorama educativo: le disuguaglianze territoriali nell’offerta di servizi scolastici fondamentali. Il Rapporto di Save the Children,“Scuole disuguali. Gli interventi del Pnrr su mense, tempo pieno e palestre”, evidenzia come, nonostante gli sforzi e gli investimenti previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), la situazione rimanga critica, soprattutto nelle regioni del Sud e nelle Isole.
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Pnrr fallisce con la scuola al Sud: la situazione attuale
In Italia, solo due bambini su cinque della scuola primaria hanno accesso al tempo pieno, mentre meno della metà degli alunni della primaria e secondaria può usufruire di una palestra o di una mensa. Ciò rappresenta un problema perché, come sottolineano gli esperti, la disponibilità di tempo pieno e servizi simili nelle scuole è cruciale per offrire ai più piccoli e ai ragazzi un ambiente educativo completo e stimolante.
Tuttavia la povertà educativa, spesso correlata alla deprivazione economica delle famiglie, compromette l’accesso a tali opportunità, specialmente nelle aree più svantaggiate del Paese.
In Italia, secondo i dati esposti nel report di Save The Children, circa 1,3 milioni di minorenni vivono in condizioni di povertà, le disuguaglianze territoriali sono evidenti, con il Sud e le Isole che presentano i livelli più elevati di dispersione scolastica. La Sardegna, la Sicilia e la Campania sono tra le regioni con i tassi di Early School Leavers (Esl, alunni che lasciano la scuola prima del previsto) più alti in Europa, rispettivamente del 17,3%, 17,1% e 16%.
Perché il Pnrr ha fallito? I numeri su risorse, docenti e studenti
Le risorse per la scuola del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) sono state stanziate con l’intento di trasformare radicalmente il sistema italiano, migliorando le infrastrutture, la qualità dell’insegnamento e l’accesso ai servizi educativi. Tuttavia, i risultati finora ottenuti sollevano interrogativi significativi sul successo di queste iniziative. Per comprendere meglio perché il PNRR potrebbe aver fallito nel settore educativo, è utile esaminare i numeri relativi a risorse, docenti e studenti, e considerare come questi aspetti influenzano l’efficacia delle riforme.
Per esempio, nel 2020, i Paesi dell’OCSE hanno dedicato in media il 5,1% del loro Pil agli istituti di istruzione, che comprendono tutti i livelli, dalla scuola primaria all’istruzione terziaria. L’Italia, in confronto, ha investito solo il 4,2% del Pil nel settore educativo. Di questa quota, il 30% è stato destinato all’istruzione primaria e il 16% all’istruzione secondaria inferiore.
La spesa per studente in Italia ammontava a 10.639 euro all’anno, minore rispetto a quella media dell’Ocse di 11.766 euro. Questo dato indica che, nonostante la spesa per studente in Italia sia proporzionalmente allineata al Pil pro capite, le risorse destinate all’istruzione sono limitate rispetto a quelle di molti altri paesi sviluppati.
Inoltre anche se, rispetto all’anno scolastico 2014/15, nell’anno scolastico 2022/23 il numero degli insegnanti in Italia è aumentato di 155.374 unità, questo incremento ha migliorato il rapporto tra numero di insegnanti e numero di studenti ma non è stato omogeneo tra le varie categorie di insegnanti. Di conseguenza, il rapporto tra contratti a tempo determinato e contratti a tempo indeterminato è passato dal 14,7% nel 2014/15 al 24,9% nel 2022/23. E questo aumento dei contratti temporanei, prevalentemente riservati agli insegnanti di sostegno, ha avuto un impatto negativo sulla continuità educativa e sulla stabilità del personale docente.
Infine, non ci sono buone notizie sul numero degli studenti in Italia, che è destinato a diminuire significativamente nei prossimi anni. Secondo le stime del Ministero dell’Istruzione e del Merito, entro l’anno scolastico 2033/34 si prevede che la popolazione scolastica scenderà a poco più di 6 milioni di studenti, con una riduzione annuale tra i 110mila e i 120mila ragazzi e ragazze. Questa diminuzione è confermata anche dalle previsioni del Censis nel 2023.
Perché è un problema? Perché la contrazione della popolazione studentesca comporta una serie di sfide per il sistema educativo. Con un numero inferiore di studenti, le scuole possono trovarsi a gestire strutture e risorse che non sono più ottimizzate. Aule, palestre e attrezzature scolastiche possono diventare sottoutilizzate, generando sprechi di risorse e aumentando i costi per studente. Questo può portare a inefficienze nel sistema educativo e una minore capacità di utilizzare al meglio i fondi disponibili.
Per di più, la contrazione della popolazione studentesca può influenzare negativamente i finanziamenti pubblici destinati alle scuole. In molti sistemi educativi, infatti, i finanziamenti sono legati al numero di studenti. Con una diminuzione degli iscritti, le scuole potrebbero ricevere meno fondi, rendendo difficile mantenere gli standard educativi e i servizi offerti. Questo può portare a tagli nei servizi essenziali, come il sostegno educativo e le attività extracurriculari.
Dove i servizi sono più carenti
I dati più recenti rivelano forti disparità territoriali nella disponibilità di servizi come mense scolastiche, tempo pieno e strutture sportive, evidenziando una crescente disuguaglianza tra le regioni del Centro-Nord e quelle del Sud e delle Isole.
Nel 2020, solo il 36,9% degli alunni delle scuole primarie e secondarie di primo grado aveva accesso al servizio mensa nelle scuole statali. Tuttavia, questa percentuale nasconde una realtà molto diversa tra le diverse aree del paese. Le province del Centro e del Nord Italia, come Biella e Monza e della Brianza, registrano percentuali di accesso superiori al 50%, con la Provincia Autonoma di Trento che raggiunge addirittura il 91,3%.
Al contrario, nelle province del Sud, in particolare in Sicilia, l’accesso alla refezione scolastica è drammaticamente basso. In città come Agrigento, Foggia, Catania, Palermo, Siracusa e Ragusa, la copertura non supera il 10%. Queste regioni presentano anche una percentuale più elevata di alunni provenienti da famiglie con bassi livelli socioeconomici, il che amplifica le disuguaglianze esistenti.
Il tempo pieno, che prevede 40 ore settimanali di lezione, è invece offerto a meno del 40% degli alunni delle scuole primarie, mentre il tempo prolungato è disponibile per poco più di un quarto delle classi della scuola primaria e secondaria di primo grado.
Le province del Centro e del Nord Italia offrono una maggiore copertura di queste opzioni educative, con Milano e Monza e della Brianza che superano il 65%. Tuttavia, al Sud e nelle Isole, le province con meno del 10% di classi a tempo pieno o prolungato includono Ragusa, Catania, Palermo, Siracusa, Campobasso e Isernia. Ancora una volta, queste aree sono caratterizzate da una maggiore percentuale di alunni provenienti da famiglie socioeconomicamente svantaggiate.
Infine, meno della metà delle scuole statali primarie e secondarie è dotata di una palestra. Le province del Sud e delle Isole presentano le maggiori carenze in questo ambito, con province come Vibo Valentia, Catania, Catanzaro e Cosenza dove la percentuale di scuole dotate di palestra è inferiore al 25%. Questa carenza di strutture sportive è particolarmente preoccupante in aree dove l’offerta di attività fisiche e sportive è già limitata, aggravando ulteriormente le disuguaglianze esistenti.
D’altra parte, alcune province del Sud, come Barletta-Andria-Trani, Lecce, Taranto e Bari, mostrano una percentuale sorprendentemente alta di scuole dotate di palestre, dimostrando che è possibile offrire strutture adeguate anche in contesti socioeconomicamente svantaggiati. Al Nord, province come Prato, Firenze, Savona e Genova presentano percentuali superiori al 60%, con alcune aree che raggiungono o superano il 70%
Le evidenti disparità nei servizi scolastici essenziali tra le diverse regioni italiane riflettono una maggiore disuguaglianza nell’accesso alle opportunità educative e alle risorse e queste differenze non solo influenzano la qualità dell’istruzione e il benessere degli studenti, ma perpetuano anche le disuguaglianze socioeconomiche, con le regioni del Sud e delle Isole che spesso lottano per fornire servizi adeguati in contesti di maggiore svantaggio socioeconomico.