Il Mediterraneo sta cambiando volto. Non più soltanto culla di biodiversità e risorsa economica strategica per le regioni costiere, ma teatro oggi di una crisi profonda e strutturale che mette a dura prova l’intero comparto della pesca. Secondo le ultime stime di Confcooperative Fedagripesca, l’attività di pesca si è ridotta fino al 40% in alcune zone.
E il motivo è da ricercare in un fenomeno tanto insidioso quanto ormai familiare, ovvero le ondate di calore marine.
Cosa c’è dietro al calo della pesca
Quando si parla di cambiamento climatico, spesso ci si concentra sugli effetti visibili a terra: agricoltura compromessa, incendi boschivi, siccità. Ma sotto la superficie del mare si sta consumando una crisi altrettanto drammatica e, per certi versi, ancora più insidiosa.
Le alte temperature delle acque marine causano un vero e proprio stress termico sui pesci, alterandone i comportamenti, riducendo la capacità riproduttiva fino al -30% e modificando interi ecosistemi.
Questa alterazione incide su specie chiave per la pesca commerciale nel Mediterraneo, come il pesce spada, tonno rosso, lampuga, sardine, ricciola. Sono animali che vivono prevalentemente nei primi strati della colonna d’acqua, quelli più esposti al riscaldamento. Quando il mare si scalda in modo anomalo e prolungato, questi pesci si spostano, diventano più difficili da trovare e da catturare, oppure riducono la loro presenza a causa della scarsa riproduzione.
Il risultato è che le reti dei pescatori restano vuote o semivuote, soprattutto nei periodi che un tempo erano considerati i più redditizi.
Un habitat sconvolto
A denunciare il caos negli habitat marini è Fedagripesca, che spiega come l’innalzamento delle temperature non solo colpisce direttamente le specie commerciali, ma modifica l’intera catena alimentare marina.
Alcune specie temperate, come sardine e acciughe, migrano verso nord alla ricerca di acque più fresche. Le specie carnivore, come cernie, squali e dentici, diminuiscono drasticamente, a causa sia della carenza di prede sia dello stress ambientale.
Al contrario, aumentano le specie erbivore, che prosperano grazie alla proliferazione delle alghe favorita proprio dal caldo.
In sostanza, l’equilibrio ecologico del Mediterraneo viene stravolto. E quando l’ecosistema marino si sbilancia, la prima vittima è l’economia ittica.
Come se non bastasse, alla crisi delle specie autoctone si somma la proliferazione di specie aliene, che alterano ulteriormente l’equilibrio ecologico e mettono a rischio le filiere tradizionali. Secondo Fedagripesca, entro cinque anni una specie su tre sarà aliena nel Mediterraneo.
Oggi queste rappresentano già il 6% del totale, circa 1.200 specie tra pesci, molluschi e crostacei originari di altre aree del pianeta, introdotti spesso involontariamente attraverso le acque di zavorra delle navi o in seguito all’apertura del Canale di Suez, che trovano nelle acque calde del Mediterraneo un ambiente perfetto per proliferare.
Alcune di queste specie sono persino invasive, predatrici di pesci autoctoni o concorrenti diretti per cibo e habitat.
Le conseguenze economiche
Il risultato di questa crisi è un crollo dei ricavi e un aumento dei costi. Le marinerie italiane – in particolare quelle della Sicilia, della Puglia, della Calabria e della Campania – registrano una forte contrazione delle giornate di pesca utili, mentre i costi di gestione aumentano a causa del caro carburante, della necessità di coprire distanze maggiori per trovare i pesci, della manutenzione più onerosa delle reti e delle imbarcazioni.
Molti operatori del settore stanno abbandonando l’attività o ricorrendo agli ammortizzatori sociali. I giovani si allontanano dalla pesca, scoraggiati da un futuro incerto e da un mestiere sempre più faticoso e meno redditizio. E questo rappresenta una minaccia concreta alla sopravvivenza stessa dell’economia ittica mediterranea.
A questo si aggiunge il fatto che, con la diminuzione dell’offerta, i prezzi al consumo aumentano, ma spesso ciò non si traduce in maggiori guadagni per i pescatori, bensì in margini più alti per intermediari e rivenditori. Il pescato locale viene spesso sostituito da prodotti importati, provenienti da mari lontani dove le condizioni ambientali sono ancora più favorevoli, ma dove i controlli su qualità e sostenibilità sono spesso meno rigorosi.